i. la sfiga supera il tempo e lo spazio
LA GIORNATA era iniziata nel migliore dei modi. Sul serio.
Darcy si era svegliata fresca e riposata, la brezza mattutina che spirava dalla finestra della sua stanza ad Okinawa, il suono delle onde nelle orecchie e il profumo di mare che le riempiva le narici. Non aveva pensato di dover ringraziare Arion per averla portata con lui, ma a quanto pareva avrebbe dovuto farlo. Una vacanza del genere non capitava spesso.
Lei e suo fratello erano partiti per Okinawa tre mesi prima, come rappresentanti della Raimon inviati da Axel Blaze in persona. Il loro compito era insegnare il calcio a le nuove generazioni di ragazzini: "Programma di Reintegrazione al Calcio" l'avevano chiamato. In poche parole consisteva in Arion che correva da una parte all'altra di un campo, rincorso da mocciosetti, mentre Darcy lo guardava con un ghigno, un cocktail in mano, e stesa su una sedia a straio.
Non c'era modo migliore di cominciare il giorno che osservare il ragazzo venire preso a pallonate in faccia da un paio di bambini.
Però c'era da ammettere che nel giro di così pochi mesi, i sei mostriciattoli che abitavano lì vicino erano migliorati parecchio. Il numero di palloni volanti si era ridotto a soli cinque al giorno.
«Ragazzino, hai mancato!» urlò Darcy dalla sua postazione. Il bambino la guardò interrogativo, dato che aveva segnato un semplice gol. «Andiamo, Arion era proprio davanti a te! Come sei riuscito ad evitarlo?!».
«Perché non vieni anche tu a giocare invece di stare lì ferma a ridere?» le domandò suo fratello, con un sospiro.
La ragazza sbuffò: «Mi chiedi la stessa identica cosa da tre mesi e io rispodo sempre allo stesso modo . . . ». Lo guardò con un sorrisetto: «Perché dovrei sudare giocando a calcio se lo faccio già da qui? Almeno stando seduta posso guardarti faticare, e credimi . . . » rise, allacciando le gambe. «È molto più divertente che stare a difendere una porta».
In realtà, c'erano state delle volte in cui aveva aiutato pure lei, dopotutto non le dispiaceva sgranchirsi un po' le gambe di tanto in tanto. Arion era un centrocampista orientato all'attacco, Darcy era un difensore orientato . . . beh, a quello che fanno di solito i difensori. E per quanto poteva essere noioso badare a dei mocciosi, lei era l'unica opzione disponibile per insegnare un minimo di difesa.
«Vedi di darti una mossa! Il nostro volo parte tra tre ore e tu non hai ancora fatto la valigia!» gli ricordò Darcy, alzandosi dalla sua sedia e dirigendosi verso il loro alloggio.
Il suono di qualcuno che scivolava e cadeva di sedere a terra non fece altro che allargare il suo sorriso.
«Tre ore?!».
«Mmh mmh» confermò la ragazza, senza guardarsi indietro. «E se non arrivi in tempo, giuro sul tuo pallone preferito che torno a Tokyo senza di te!».
Quella era una bugia, ma Arion era talmente stupido da crederci. E chi era Darcy per non approfittarne?
• [𖧷] •
«Mi ripeti perché siamo a scuola, per giunta in uniforme, alle cinque e mezza del pomeriggio?».
Erano tornati a Tokyo da qualche ora, e dopo aver sistemato le loro cose a casa di zia Silvia, Arion aveva insistito per andare a scuola. Insomma, Darcy era abbastanza intelligente per capire che suo fratello voleva salutare i loro amici; tuttavia, faticava a comprendere il perché di farlo in divisa, appena tornati da una vacanza di tre mesi, dove erano stati costretti a svegliarsi al canto del gallo ogni santa mattina. Quel fanatico di un centrocampista poteva essere iperattivo quanto voleva, ma a Darcy non gliene fregava di meno.
«Non sei emozionata di rivedere i ragazzi?!» le chiese, saltellando da un piede all'altro.
Si trovavano davanti all'entrata della Raimon, l'iconico fulmine arancione che svettava verso il cielo e il verde degli alberi che si confondeva con il blu elettrico dei muri della scuola. Magari le era mancata un pochino.
«Tanto quanto sono emozionata di ripredere le lezioni» rispose, ma poi schioccò le dita in maniera sarcastica. «Oh, cavolo, se solo lo fossi!» gli rise in faccia, per poi mettergli una mano sulla spalla. «Io torno a casa».
Provò a fare dietrofront quando si sentì prendere e tirare per un polso.
«Porca put— Arion!». Lui rispose con una risata, continuando a trascinarla verso il campo da calcio situato di fronte all'ingresso dell'edificio vero e proprio.
Mal grado tutto, Darcy continuò a correre, lasciando che decine di espressioni non molto simpatiche le uscissero dalle labbra.
Quando suo fratello si fermò, la ragazza sbattè talmente forte sulla sua schiena che per poco non cadde all'indietro. Si portò una mano al naso: «Si può sapere che ti salta per la testa?! Perché diavolo ti sei fermato così all'improvvi—».
Le parole le morirono in gola quando prese nota dello scenario davanti a lei.
« . . . so».
Nel punto in cui ci sarebbe dovuto essere un campo da calcio, il loro grande, verde e meraviglioso campo da calcio, adesso vi era uno da baseball. E non qualcosa di provvisorio, no: era un vero e proprio campo professionale, con la sabbia, le basi e tutto. C'era persino una partita in corso.
Darcy si scordò immediatamente del dolore al naso, avvicinandosi a suo fratello, che come lei era rimasto a bocca aperta.
«Uhm . . . » mugugnò. «Devo aver sbattuto la testa molto forte . . . Vedi—Vedi anche tu quello che vedo io?».
«S—Sì . . . » balbettò Arion, scuotendo la testa. «M—Ma di sicuro non è niente. In fondo abbiamo il centro sportivo per allenarci, no? Avranno deciso di dare più spazio alla squadra di baseball. Credo . . . ».
«Stronzate» mormorò Darcy fra sé e sé. Era della Raimon di cui stavano parlando! Non di una scuola qualunque. Era il simbolo del calcio giovanile da più di vent'anni! Non potevano aver tolto loro quel campo. Non quello di fronte al vecchio club di Mark Evans.
«Forza, andiamo al centro sportivo, di sicuro i ragazzi si staranno allenando lì». Non le diede tempo di reagire che l'aveva di nuovo presa per un polso.
Sta volta Darcy non protestò.
• [𖧷] •
Ricordate il modo in cui era iniziata la giornata? Così bello e perfetto? Ecco. A quanto pare non era riuscita a durare più di cinque ore.
«Dimmi che è uno scherzo».
Lì dove appena pochi mesi prima si stagliava un enorme campo da calcio, munito di spalti, panchine e macchine per l'allenamento, adesso si trovavano un campo da basket, uno da tennis e addirittura una zona per la ginnastica ritmica.
Fino al giugno precedente non esisteva neanche un club del genere!
«Deve esserlo» deglutì Arion, rispondendo al tono stupito della sorella con uno sguardo preoccupato. «Non possono averci tolto il centro sportivo. T—Tutto questo appartiene alla squadra di calcio!».
«Apperteneva, a quanto pare» contestò la ragazza, indicando tre tizi che stavano giocando a pallacanestro. «Sembra che il nostro club abbia una nuova location. O almeno lo spero . . . Che ne dici di andare a chiedere a quelli là dove ci hanno spostato? Io vado a cercare qualcuno dei nostri, magari sanno qualcosa».
Arion sospirò, adocchiando i tre ragazzi davanti a loro con aria scettica: «Non puoi farlo tu? Sei molto più brava di me in questo genere di cose».
Darcy alzò un sopracciglio: «Intendi a parlare con i ragazzi più grandi? Cavolo, Ary, sei un gran bel fratello maggiore».
«Veramente la maggiore saresti tu».
«Non ha importanza!» protestò. Forse non era una così buona idea averlo costretto a ricordare quei tre minuti che li distaccavno. «Sii uomo e vacci a parlare. So che significa un grade sforzo per te, l'essere uomo, non l'andare a parlare, ma abbiamo problemi più grandi in questo momento, non credi?».
Suo fratello ignorò il suo commento "sull'essere uomo" e annuì rasseganto: «Hai ragione».
«Come sempre» gli fece l'occhiolino. «Ci vediamo tra dieci minuti all'entrata del centro».
Non lo salutò e corse via.
• [𖧷] •
I dieci minuti erano passati, ma neanche l'ombra di uno dei suoi amici, né quella di un campo da calcio. Darcy stava iniziando a perdere le speranze e la cosa la spaventava non poco. Cosa diavolo era successo?
Fu proprio quando girò l'angolo per il centro sportivo che vide in lontananza suo fratello parlare con Riccardo.
Il sollievo la investì come un'ondata di vento e corse verso le due figure, un sorriso sulle labbra.
«Oh, era ora!» esclamò una volta arrivata davanti ai due. «Si può sapere che è capitato qui? Sul serio, Ricky, tutti i campi da calcio sono spariti e—».
«Ci conosciamo?». La domanda la prese talmente in contropiede che le parve un pugno allo stomaco.
«Ehm, sì?» rispose lei, incerta. Rivolse uno sguardo a suo fratello, che però scrollò le spalle in maniera allarmata, il suo sguardo confuso tanto quanto il proprio. Tornò a guardare l'altro ragazzo: «Oh, andiamo, che diavolo è tutto questo? Una specie di scherzo? Ci stai prendendo in giro? Insomma, sarebbe la prima volta, visto che di solito non ti piace scherzare—».
«Sì, infatti» la interruppe Riccardo, guardandola con sguardo freddo e interrogativo. Troppo freddo, anche per uno come lui. «Non mi piace scherzare. Anzi, per niente. Siete nuovi? Se volevate entrare in un club di calcio allora avreste dovuto scegliere un'altra scuola».
Le sue parole erano una più strana dell'altra. Non avevano senso. Nulla di ciò che stava accadendo lo aveva.
Darcy era così scioccata da non aver più aperto bocca, esattamente come suo fratello.
«Ci si vede» concluse il ragazzo dalla pelle chiara, mentre si girava e scompariva lungo il vialetto, i suoi capelli d'argento che gli sfioravano le spalle.
Passarono dieci secondi dove nessuno dei gemelli Sherwind osò spiccicare parola. Entrambi continuavano a fissare imperterriti il punto dove il loro amico era scomparso.
Fu un pensiero a risvegliare la mente di Darcy, un unico piccolo pensiero che la fece rabbrividire da capo a piedi e indossare il suo miglior sguardo determinato.
«Devo trovare Luke . . . » sussurrò.
«C—Cosa?».
«Devo trovare Lucian!» scattò un secondo dopo, come se si fosse risvegliata da una trance. «I—Io devo trovarlo . . . ». Si portò le mani ai capelli, improvvisamente terrorizzata dalla situazione. «S—Se gli è successo qualcosa . . . ».
«Ehi, Dars, calmati—».
«Calmarmi?!» sbottò lei, guardando suo fratello dritto in faccia e rivolgendogli l'occhiata più furente che lui le avesse mai visto addosso. «Ma ti rendi conto di cosa—cosa— Argh! Non so neanche io cosa sia tutto questo! Il club di calcio è sparito, i campi da gioco pure! H—Hai . . . hai visto Riccardo! Non ci ha riconosciuto, Arion, riconosciuto! E se pure gli altri non lo facessero? Dobbiamo trovarli, adesso!».
La sola ipotesi che Lucian, Aitor, Gabi o chiunque altro della loro squadra si fosse dimenticato di loro, di lei, la fece quasi vomitare.
Con sua grande sorpresa, Arion annuì deciso: «Avvertimi con un messaggio quando trovi qualcuno. Questa situazione non mi piace per niente».
Darcy rabbrividì, prima di stringere i denti e iniziare la ricerca. Anche se una parte di lei sapeva già non ci fosse speranza.
• [𖧷] •
Era più di mezz'ora che girava per il campus, e del suo migliore amico Lucian nemmeno l'ombra.
Aveva incontrato Aitor e Gabi, perfino Subaru, ma nessuno di loro le era stato d'aiuto: parlava con loro, non la riconoscevano e se ne andavano. Ormai si era messa l'anima in pace sulla scomparsa dei campi, e tutto ciò che chiedeva agli studenti che incontrava era se avessero visto Lucian da qualche parte.
E tutti gli rispondevano la stessa cosa: chi era Lucian? "Mai sentito", "Sei sicura di stare bene?". Darcy non ne era più così convinta.
Tutto attorno a lei era . . . diverso. Nessuno la riconosceva e nessuno aveva idea dell'esistenza di un club di calcio della Raimon. Questo non era uno scherzo, non era possibile. Era . . . troppo.
Correva da uno studente all'altro, nella speranza che qualcuno le desse uno spiraglio di speranza—speranza su qualunque cosa, non le importava più ormai. Tutto ciò che aveva in testa era che doveva trovare Luke, doveva farlo.
Chiese all'ennesimo ragazzo che le passava accanto ma la sua risposta fu uguale. Darcy non lo ringraziò e continuò nella sua ricerca.
Fu quando sentì una voce chiamarla alle spalle che un accenno di luce la fece sperare.
«Ehi, tu! Ragazzina!».
Tuttavia, a chiamarla era stato un tizio che non aveva mai visto prima. A giudicare dalla sua stazza doveva essere uno degli studenti dell'ultimo anno di liceo.
«Che vuoi?» non si preoccupò di essere educata, tanto era tesa. Non aveva bisogno di altri grattacapi.
«Ho sentito per caso che stai cercando un ragazzo di nome—».
«Lucian!» esclamò la ragazza, il viso che si illuminava. «Conosci Luke?! Dove lo posso trovare?».
Al suo entusiasmo, lo sconosciuto storse il naso: «Non capisco perché sei così impaziente di incontrarlo, uno del genere non dovrebbe neanche essere conosciuto dagli studenti della Raimon. Sei una sua parente?».
Darcy strinse i pugni. Non le piaceva per niente il modo in cui la situazione si stava evolvendo: «Non sono affari tuoi. E poi cosa cazzo stai dicendo?».
Il tizio sbuffò: «Hai almeno un'idea di chi stai cercando, ragazzina? Lucian Dark, giusto?».
Annuì, improvvisamente spaventata. Perché parlava di Lucian in quel modo? Sembrava fosse un crimine anche solo pronunciare il suo nome.
«Beh, mi dispiace dirtelo ma non troverai quel ragazzo alla Raimon. A dire la verità non credo vi abbia mai messo piede» la guardò scettico, come se potesse saltargli addosso da un momento all'altro. Darcy si stette zitta, troppo scioccata da quelle parole per aprire bocca. «Lucian Dark è uno dei giocatori di punta della squadra della Royal Academy, chiunque segua il calcio ne è a conoscenza. La Royal è imbattuta in Giappone da più di sessant'anni».
Un'Angelo Perduto di Victor Blade tra le costole avrebbe fatto meno male.
Non credo di essere in grado di descrivere il sentimento che Darcy provò in quel momento, quando tutte le sue certezze si sgretolarono davanti ai suoi occhi. Fu come se il suo corpo di congelasse, come se andasse in standby. Le sembrava di essere di nuovo al suo primo giorno alla Raimon, un anno e mezzo prima, quando tutto quello che faceva era osservare suo fratello che si allenava con il resto della squadra. E lei che si sentiva un pesce fuor d'acqua.
All'epoca non sapeva neanche tirare un calcio ad un pallone, figuriamoci a bloccare o a dribblare qualcuno. Era stato Lucian ad aiutarla. Il piccolo e dolce Lucian.
«Ehi, ci sei?».
Tornò alla realtà quando il tizio iniziò a scuoterle una mano davanti alla faccia.
«Sì» rispose Darcy. La sua voce era scura come una delle sue tecniche. «Grazie».
Lo superò con una spallata, e prima che potesse anche prendere una decisione, le sue gambe lo fecero per lei e iniziò a correre.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee.
• [𖧷] •
Non prestò attenzione alle decine di chiamate perse di Arion. Sentiva il suo telefono vibrare nella tasca, ma lo ignorò.
E ignorò anche suo fratello quando lo udì alle sue spalle. Era solo una voce nella sua testa, un sussurro insignificante in mezzo all'oceano dei suoi pensieri.
«Ti ho cercata dappertutto!» lo sentì dire, ed ebbe l'impressione che si sedesse vicino a lei, lì, su una delle scalinate dei quello che prima era il campo al fiume. Un campo di calcio, adesso solo uno dei tanti da baseball che aveva visto quel giorno.
«È incredibile, tutti i nostri amici non mi hanno riconosciuto. Persino JP. L'unica a farlo è stata Skie, curioso vero? Peccato che neanche lei si ricordasse del club di calcio». Darcy non rispose, continuando a fissare il fiume.
Le parole di Arion, anche se calme, la colpirono una dopo l'altra, più forti di una pallonata.
«È così strano . . . Per loro il calcio era tutto. Com'è possibile che se ne siano dimenticati?».
La ragazza continuò a non rispondere, ma sta volta si avvicinò al fratello, poggiando la fronte sulla sua spalla. Non era solita mostrare affetto, non in modo così diretto, ma Arion la accolse, avvolgendo un braccio attorno alle sue spalle.
«Lucian va alla Royal» mormorò. «Non è mai venuto alla Raimon, nessuno lo conosce». Non commentò il modo in cui suo fratello sobbalzò, preso alla sprovvista. «Almeno sembra che le altre squadre esistano, la Royal Academy è ancora imbattuta». Si fermò e Arion non disse nulla, aspettando che la sorella continuasse. «Ho dato un'occhiata al vecchio club dell'Allenatore Evans mentre venivo qui. Il cartello non c'è più, è tutto sparito».
Si accorse di star piangendo solo quando vide la divisa di suo fratello bagnata di lacrime.
«Su internet non si dice niente. La Raimon non ha mai avuto una squadra di calcio, Mark Evans non è altro che un tizio qualunque, e l'Inazuma Japan non ha mai vinto i mondiali di dieci anni fa».
Quelle parole suonavano così sbagliate.
«Tutto questo non ha senso» disse Arion, saldando la presa su sua sorella, quasi fosse l'unico scoglio a cui potersi appoggiare in quel momento. Darcy annuì e si avvicinò ancora di più, cercando di ingoiare ogni tentativo di singhiozzo.
«Sembra quasi che il calcio sia stato . . . cancellato» sussurrò il ragazzo.
Il problema fu che nessuno dei due l'aveva visto arrivare.
Un secondo prima erano da soli, l'uno che godeva della presenza dell'altra e viceversa, e quello dopo una nuova voce risuonava nell'ambiente attorno a loro.
«Negativo. Il calcio non è stato cancellato».
Il viso di Darcy scattò in avanti, e la presa su Arion si sciolse. Si alzò e così fece su fratello.
«Cosa diavolo è stato?» disse fra sé e sé la ragazza.
«Il calcio non è stato cancellato» ripeté la voce. «Non del tutto».
Darcy ne aveva viste di cose. Ma mai si sarebbe aspettata di incontrare un tizio capace di teletrasportarsi.
Si trovava giù per la scalinata, un ragazzo poco più grande di loro, che li osservava con dei magnetici occhi grigi. Solo che un attimo dopo, invece, con un flash di luce celeste, era in piedi dietro di loro.
«Woah!» esclamò Arion, girandosi verso il ragazzo.
«Arion e Darcy Sherwind» esordì il tizio, e Darcy per poco sobbalzò per il tono autoritario nella sua voce. Il suo sguardo era freddo come il ghiaccio, talmente apatico che ricordava quello di un robot. A dirla tutta, niente in quel ragazzo sembrava umano. «Tra non molto il calcio non esisterà più per voi».
«Ok, fermo un attimo». La ragazza guardò prima suo fratello e poi il nuovo arrivato, squadrandolo da capo a piedi. Le sue parole non gli piacevano per niente, ma servirono a svegliarla. «Prima di tutto, cosa cazzo stai dicendo. Secondo, e tu saresti? Non mi sembra ci fosse una festa a tema Power Rangers da queste parti».
Per un attimo fu certa di aver visto il sopracciglio dello sconosciuto muoversi irritato.
«Il mio nome è Alpha» annunciò il ragazzo, e Darcy per poco non scoppiò a ridere. I capelli di "Alpha" erano di un viola pallido, molto più chiaro del proprio, ed erano acconciati in una forma che alla ragazza ricordava le ali di un gufo.
«E il mio compito è quello di cancellare il calcio».
Questa affermazione la fece tornare seria in un attimo.
«Come, prego?».
«Cancellare il calcio?!» esclamarono i due gemelli, prima di scambiarsi un'occhiata. Poterono entrambi vedere la determinazione negli occhi dell'altro.
«Le tracce rimanenti conducono a voi due. Siete tutto ciò che ne rimane».
Darcy non sapeva dire se era più scioccata per la situazione, le parole del tizio o per la scoperta che lei e suo fratelli fossero gli unici ancora a conoscenza del calcio della Raimon.
«Tu sei pazzo . . . » sibilò lei, «Non so che stia succedendo, ma non lascierò che un damerino in tutina attillata distrugga tutto quello che mi sono creata qui».
E suo fratello la pensava allo stesso modo. Lo vide stringere i pugni e fare un passo avanti verso Alpha, gli occhi scuri che mandavano scintille. «Qualunque cosa tu abbia fatto, fa ritornare tutto come prima! Ridacci il calcio!». Lo disse con così tanto fervore che Darcy si ritrovò a ghignare, sostenendo suo fratello.
«Quello che ha detto lui» disse, indicandolo con un dito.
Non aveva la più pallida idea di come fosse possibile cancellare il concetto di calcio dalla mente di qualcuno, soprattutto in maniera così radicale. Ma tutto ciò che voleva in quel momento era sfogare la sua rabbia, e quella mancata copia di un Power Ranger sembrava la scelta più ovvia.
«Negativo. Ho paura che non sia possibile».
Quello che successe dopo, beh, era troppo surreale per descriverlo.
Alpha materializzò dal nulla un pallone da calcio, bianco e con alcuni strani cerchi colorati sulla superficie. Ne cliccò uno con un piede.
«Modalità Viaggio Temporale» disse una voce robotica.
Darcy arretrò istintivamente di un passo: «Che diavolo—».
L'ultima cosa che vide prima di scomparire fu una forte luce rossa e suo fratello che le precipitava addosso.
—— angolo autrice!
questo capitolo mi piace e lo odio allo stesso tempo. non so . . . non mi convince al 100%.
voi che ne dite?
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