dash cam

Il pomeriggio scivolava lento e caldo, con un sole basso che dipingeva di miele i marciapiedi e le foglie degli alberi. Era una di quelle giornate in cui la scuola sembrava distante, come se l'aria stessa volesse prendersi una pausa.

Aveva messo in moto la macchina da poco e il motore aveva risposto con un ruggito pigro, come se non avesse nessuna voglia di ripartire dopo una giornata passata a scaldarsi sotto il sole nel parcheggio della U.A.

Aveva appena finito di studiare in biblioteca, e come al solito si era offerto di accompagnare a casa chi ne avesse bisogno. Era il tipo da "non è un problema, ci passo comunque", anche se poi doveva fare mezz'ora di strada in più.

E così si era ritrovato a guidare con il finestrino abbassato e una playlist lo-fi che gracchiava piano dalle casse dell'auto, mentre il sedile del passeggero era occupato da Iida, rigido e dritto come sempre. Sul retro Ojiro sbadigliava con la testa appoggiata al finestrino, gli occhi persi nell'oro del tramonto che si rifletteva sulle vetrine dei negozi lungo la strada.

«Giuro... mi fai un favore enorme, Midoriya! Davvero, non so come sarei tornata dai miei nonni senza la tua macchina!»

Izuku accennò un sorriso mentre guidava. «Non è un problema, sul serio... Metto l'indirizzo su Maps o sai la strada?»

«La so! Ti guido io. È un po' nascosta, ma tanto non abbiamo fretta, vero?»

Era sempre stata così, Hagakure. Solare, giocosa, un po' troppo disinvolta per uno come lui, che non riusciva a non irrigidirsi ogni volta che lei si piegava in avanti per parlare tra i sedili, o si sedeva a gambe incrociate mostrando appena le cosce nude.

Lei era stata l'ultima passeggera che aveva caricato: era apparsa sulla soglia dell'ingresso della scuola, visibile, il che non era scontato. Da qualche tempo portava al polso due piccoli bracciali scuri che, a quanto pareva, emettevano un campo ottico inverso. Si vedevano le sue pupille brillanti e il sorriso furbo, ma anche il resto del corpo, in quel momento, era lì. Jeans corti, top bianco annodato sotto il petto e zainetto sulle spalle.

Il primo a scendere fu proprio Iida, che si congedò con un inchino e un saluto impeccabile. «Grazie per il passaggio, Midoriya. Sei sempre gentile. La prossima volta però ricambio il favore e guido io.» disse Iida, mentre gli occhiali brillavano di un riflesso caldo .

«Non è un problema, davvero...» rispose Izuku, accennando un sorriso. «Mi fa piacere. Tanto dovevo comunque uscire per di qua.»

Pochi isolati dopo toccò a Ojiro, che salutò il suo chauffeur con una scrollata pigra della coda, mentre si allontanava. «Avanzi un altro gelato!», gli urlò mentre la macchina si allontanava.

L'automobile si infilò con disinvoltura tra le vie laterali del quartiere residenziale, dove i palazzi si facevano via via più radi e gli alberi cominciavano a reclamare spazio tra i marciapiedi. Dopo qualche curva, il paesaggio cambiò ancora: una zona più verde, tranquilla, punteggiata da case basse e giardini curati, si apriva davanti a loro come una parentesi silenziosa nel brusio cittadino.

Toru parlava a ruota libera, accaldata ma sorridente. Commentava il caldo estivo, scherzava sul fatto che i suoi nonni vivevano "in mezzo ai campi, come nei cartoni", e rideva ogni volta che Izuku le faceva una domanda troppo precisa, come se la puntualità delle sue osservazioni la divertisse e, insieme, la confondesse. Le sue risate riempivano l'abitacolo con leggerezza, come una melodia estiva.

La strada divenne più stretta, meno curata. L'asfalto lasciò il posto a una superficie irregolare, fiancheggiata da file di alberi e cancelli arrugginiti. Il cielo, sopra di loro, si tingeva lentamente di arancio, come se qualcuno avesse spennellato la luce con dita stanche. Le prime cicale avevano cominciato a cantare, un sottofondo vibrante che sembrava provenire direttamente dai tronchi.

Dopo una decina di minuti, mentre attraversavano una zona pressoché deserta - solo alberi, qualche recinzione sbilenca e case sparse a distanza di sicurezza - la conversazione si era spostata su un professore distratto e sulle ultime esercitazioni di gruppo: ridevano, parlavano sopra l'altro, allegri. Lei continuava a piegarsi in avanti tra i sedili per guardare Izuku mentre parlava, con le gambe nude che sfioravano i bordi dei sedili anteriori. Ogni movimento sembrava spontaneo, leggero.

Poi accadde.

Izuku non vide la buca sull'asfalto e la centrò in pieno con la ruota anteriore. L'auto sobbalzò, facendo tremare il telaio e sballottando anche la passeggera. Toru rise, sistemandosi meglio sul sedile posteriore,  e si lasciò ricadere all'indietro, allungando le braccia con un sospiro esagerato.

La ragazza si fermò: qualcosa, sopra lo specchietto centrale, aveva catturato la sua attenzione.

Una lucina rossa, fioca, ma accesa.

«Cos'è quello?»

Izuku sbatté le palpebre. «Cosa?»

Lei si sporse del tutto in avanti, afferrando con disinvoltura lo specchietto e toccando con due dita una piccola fessura sopra il cruscotto: una telecamera. Una dash cam. Montata non sul parabrezza, ma orientata verso il sedile posteriore.

«Ooooooh.», la sua voce suonava innocente, quando in realtà non lo era affatto e Hagakure sorrise, con l'aria di chi ha appena trovato una scatola segreta sotto il letto. «Midoriya... che cos'è questa

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