13. Night pills and other messes
Giorno 86 - h 04:00
Nella penombra della stanza fissò la poca acqua nel bicchiere, che rifletteva fieramente la luce di una luna piena spettacolare.
Aveva il sonno sempre più leggero.
Si era svegliato di soprassalto dopo l'ennesimo incubo.
Era tornato ad avere attacchi di panico e i graffi vermigli che gli solcavano gli avambracci erano il ricordo dell'ultimo, quello più forte avuto da solo, prima che qualcuno fosse venuto a dargli una mano.
La pastiglia della mattina attendeva sul comodino, illuminata dal riflesso argenteo della luna che si specchiava nell'acqua.
Vedere la poesia nelle cose semplici, forse questo riusciva a salvare l'anima da tutti gli orrori del mondo.
Si allungò verso il comodino, afferrando il bicchiere e trangugiando quella piccola pastiglia ovale, che lasciava un sapore così amaro sul retro della lingua.
Non sarebbe più riuscito a prendere sonno, lo sapeva, era già successo più volte. E le profonde occhiaie violacee ne erano la riprova.
Forse, pensò, non mi sento al sicuro qui.
A quell'ora della notte, però, tutti i pensieri erano sconnessi e il sonno, più o meno elegantemente, sperava di percorrere quei sentieri senza sforzo; tuttavia, ad ogni inciampo, gli occhi di Isairel si riaprivano su una nuova questione.
Al di là della porta udì un rumore di passi e un borbottio sordo. Poi tutto si arrestò di nuovo e nel corridoio cadde un silenzio tombale.
Potrei scappare, potremmo scappare tutti.
A qualcuno però quel posto piaceva: avevi un tetto sulla testa, una coperta che ti scaldava il corpo e del cibo che riempiva lo stomaco. Che importava di tutto il resto?
Udì delle risate lontane ed un pianto.
Ne udiva sempre più spesso nelle sue nottate insonni, a volte erano i pianti legati a vecchi ricordi.
Anche lo stesso Isairel ne era vittima e, con molta probabilità, erano proprio i ricordi che gli causavano tutti quegli scompensi del sonno.
Altre volte erano i pianti disperati della solitudine e della paura, che rimaneva l'unica fedele amica di tutti.
Quella notte, tuttavia, quel pianto era diverso: basso, soffocato, angosciante.
Uno di quei pianti che, una volta udito, non lo dimentichi più.
Giorno 96 - sera
«Abbiamo tutti il diritto di saperlo!».
Non era stata una rivolta vera e propria, assomigliava più ad un ammutinamento silenzioso.
Si erano tutti accordati per saltare qualsiasi lezione e tutti gli allenamenti, ritrovandosi in refettorio, silenziosi.
Era una semplice dimostrazione di forza: le guardie potevano avere manganelli, alzare le mani, urlare, gli insegnanti potevano protestare ed abbassare qualsiasi voto volessero.
Nessuno in quella sala se ne sarebbe mai andato senza una vera spiegazione. Non dopo tre mesi in cui tutte le domande erano state glissate o lasciate in un angolo ad ammuffire.
Il supervisore Palmer si passò nervosamente una mano sulla fronte sudata, mordendosi il labbro, il suo sguardo scorreva su tutti i ragazzi e le mani tremavano nell'attesa che il Comandante delle guardie parlasse.
«Litharand, Agaea e Ibion sono state attaccate da una legione di ribelli.».
Il tono, solenne e greve, della sua voce calda fendeva l'aria con un'intensità tale da far battere quasi all'unisono i cuori di tutti i ragazzi presenti.
Alcuni giovani di Agaea, all'udire il nome del proprio paese, abbassarono il capo, visibilmente commossi.
«Hanno attaccato queste cittadine, facendo scempio dei nostri compaesani: genitori, fratelli e sorelle, amici e conoscenti.».
La voce dell'uomo assunse un tono strano, più acuto ed umido, segno di una commozione ben evidente.
«Voi siete stati fortunati, per caso o per volere divino siete scampati all'eccidio e siete qui.».
Il militare fece una breve pausa e diede un'occhiata alle proprie spalle, verso il dottor Vestergaard, apparso a verificare la situazione.
Il dottore fece qualche passo in avanti e continuò il discorso: «Sappiamo molto bene che questo posto non è come casa vostra, che avreste voluto rimanere con i vostri cari defunti, ma l'etica... La morale... Non ci ha permesso di lasciarvi morire. Avete visto, in questi mesi, quanto è duro riprendere a vivere e sapete bene che le difficoltà non sono finite e non mancheranno di certo. Questa per voi sarà la vostra nuova casa – fece una breve pausa – che lascerete solo quando sarete idonei a farlo.».
Si pulì gli occhiali, alitandoci sopra e strofinandoli con la manica del camice.
Ogni gesto era lento e misurato, estenuante alla vista.
Tossì. «Fino a quando non lo deciderò io, iniziative di questa portata non sono ammesse e verranno punite con sanzioni disciplinari, commisurate alla gravità dell'insubordinazione. Intesi?».
Nessuno fiatò.
Vestergaard, scettico, alzò un sopracciglio e, con esso, il tono della propria voce.
«Mi sono spiegato?».
Qualche timido "sì" si levò tra i tavoli, mentre più persone abbassavano il capo.
«Stupidi mocciosi...», sussurrò al Comandante mentre si allontanava dalla mensa.
Giorno 96 - notte
«Mi dici chi te l'ha data?».
Il biondo guardò l'amico in maniera strana. «Una delle guardie mi doveva un favore. Così mi sono fatto lasciare un paio di sigarette e di fiammiferi.».
«Un favore?».
Erano sgattaiolati in cortile ed ora Ianco, decisamente più esperto, stava accendendo la prima sigaretta per passargliela all'amico.
«Oh, ti piacerà, vedrai! Distende i nervi e non ti fa sentire i crampi della fame.».
Per Isairel, alla prima boccata, fu come tornare a tre mesi prima: il fumo che usciva dalle narici, la sensazione di bruciore in gola e nel petto, tutto riconduceva a quella dannata sera.
E più che provare disgusto, inspirò avidamente per provare ancora quell'angoscia straziante.
Si meravigliò di quanto potente fosse il cervello umano, se, a partire da una piccola molecola di fumo, riusciva a ricostruire cose che sembravano perdersi nella memoria.
Si sentiva a testa leggera, come se fosse stato stordito.
Ianco fumava appoggiato al muro, con gli occhi chiusi e un'espressione pacifica sul volto.
«Sai, – cominciò il biondo – ho sentito che hanno completato l'ala nord. E qualcuno mi ha detto che l'hanno nominata Sezione 22.».
Isairel roteò gli occhi. «E questo qualcuno sarebbe chi? Quel baba* di Pedersen?».
«Sfotti pure, intanto lui ha visto uno di quelli di Litharand tornare mezzo rincoglionito da una visita, l'altro pomeriggio.».
A Isairel non importava della gente che tornava rincoglionita dalle visite per chissà che cavolo di motivo. «Hai una vaga idea di quanto me ne possa fregare?».
E tornò a prendere una profonda boccata dalla sigaretta che teneva elegantemente tra le dita.
Ianco si staccò dal muro e gli cavò dalle labbra la sigaretta, gettandola a terra, non ancora consumata del tutto, tra le proteste del moro.
«E se fossi io a tornare mezzo rincoglionito? Te ne fregherebbe qualcosa?».
Sputò a terra tra i piedi dell'amico, lanciando poi il più lontano possibile da loro la propria sigaretta, prima di andarsene.
«Te ne frega qualcosa della tua cazzo di vita, almeno?».
______
* persona (generalmente anziana) piuttosto pettegola, chiacchierona
Bạn đang đọc truyện trên: TruyenTop.Vip