15. Therapy ⚠️
Alla fine, la fantomatica Sezione 22 non aveva nulla di diverso dall'ala dell'infermeria da cui proveniva: ambulatori, stanzette chiuse e un corridoio d'attesa con le sedie.
Isairel era da solo, nessun'altro era stato chiamato in quell'ala dell'edificio.
Quando la porta che aveva di fronte si aprì, ne uscì un infermiere anziano, stempiato e secco come un chiodo.
«Entra ragazzino. – indicò un angolo della sala – Cambiati dietro quella tenda, spogliati, rimani in mutande e ti metti questo camice. Legatelo dietro con i lacci, tanto resta comunque aperto. Quando hai fatto chiamami che ti porto a fare la risonanza.».
Isairel era candidamente stupito. «Cos'è una risonanza?».
L'infermiere roteò gli occhi. «È un esame diagnostico fatto con una macchina particolare, una specie di grande magnete che produce delle immagini tridimensionali dell'anatomia interna del corpo umano. Ci serve per vedere ossa, muscoli e altri tessuti molli. Serve a vedere se state bene, se il vostro corpo è sano anche all'interno.».
Con una mano scostò lievemente una tenda, lasciandogli intravedere un enorme macchinario a tubo.
Isairel era rimasto affascinato da quella spiegazione e si chiese, mentre si spogliava, perché avessero tanto a cuore la loro salute.
I piedi scalzi sul pavimento fresco gli permisero di concentrarsi su altre sensazioni che non fossero il fastidio di un camice leggero, aperto sulla schiena, che si appiccicava allo strato di sudore sulla pelle ogni volta che faceva un passo.
«Devo mettermi qui?». L'infermiere annuì e lo fece distendere su un lettino mentre, con poca grazia, iniziava a bloccargli i polsi alle spondine con delle cinghie.
«Perché mi stai legando?».
«L'esame che andiamo a fare è delicato e bisogna scongiurare il minimo movimento.».
«Ma credo di essere abbastanza grande da riuscire a rimanere immobile.».
«Bisogna essere previdenti, altrimenti le immagini non vengono bene.».
Isairel notò il cambiamento nel tono della voce dell'uomo e nella cadenza delle parole. Lo stava trattando come un bambino, nello stesso modo in cui si spiegano le cose ai bambini petulanti.
Quando anche le caviglie furono strette dalle cinghie e il lettino fu spostato, allora Isairel comprese che, forse, quell'uomo non era stato del tutto onesto con lui.
«Ehi! Dove stiamo andando?» chiese, senza ottenere alcuna risposta, alzando sempre di più il tono della voce ed insistendo nel richiedere spiegazioni.
«Adesso mi hai davvero rotto le palle!». Il vecchio fermò il lettino e sparì per qualche momento.
Isairel si accorse del suo ritorno solo quando una mano gli afferrò il volto e gli cacciò in bocca, dietro i denti, una pallina di gomma dura, cava e con dei fori.
E mentre l'infermiere gli scostava bruscamente la testa per legare quella specie di bavaglio, Isairel iniziò a ripensare alle parole di Ianco.
Te ne frega qualcosa della tua cazzo di vita, almeno?
Gli dolevano le mascelle e le cinghie stringevano polsi e caviglie.
Il tessuto del lenzuolo, fresco e ruvido sotto la schiena nuda, non gli dava sollievo. Il camicione leggero che indossava, aperto sul retro non lo faceva sentire a proprio agio.
Provò a muoversi per rendere confortevole quel suo stato di prigionia, scalciando e provando a muovere le braccia, ma era tutto inutile.
«Adesso smettila di agitarti!».
Il vecchio infermiere era spazientito. «Ti ho già dovuto chiudere la bocca, non farmi stringere di più le cinghie adesso!».
«Che cosa succede qui?».
L'infermiere sobbalzò all'arrivo del Professore. «Dottor Vestergaard! Questo ragazzino non vuole collaborare!».
Il vecchio dottore gli si avvicinò, le dita ossute a ghermirgli la mascella mentre il tanfo di tabacco gli entrava nelle narici, nauseandolo.
«Tu mi dai un sacco di grattacapi. Perché non vuoi collaborare? Renderebbe tutto più semplice e meno doloroso.».
Scosse la testa per togliersi da quella presa, mugugnando sonoramente il suo disappunto. Era l'unica cosa che poteva fare con quella specie di palla rigida a bloccargli la bocca.
«Devo passare alla sedazione, Dottore?».
Isairel scosse violentemente il capo, spalancando gli occhi: sapeva cosa voleva dire tutto quello e, pur pervaso da una paura che gli attanagliava le viscere, voleva restare lucido.
Voleva essere consapevole di ciò che stavano per fargli e voleva ricordare ogni cosa, soprattutto le loro facce di merda.
Il camice del Professore era candido, intonso e perfettamente stirato, quasi fuori posto in tutta quella situazione.
Al lettino, dove il ragazzo era imbavagliato e legato come uno dei peggiori criminali, si avvicinò un'altra figura, che Isairel aveva riconosciuto benissimo.
Le guance costellate di lentiggini dell'Assistente Holmberg si tirarono in un sorriso cupo. «Non credo serva. Guardate, si è calmato. Possiamo procedere con il chip intanto?».
«Certo, Holmberg. Poi vediamo come reagisce.».
L'infermiere si avvicinò con una sorta di pistola in metallo lucido. L'aggeggio montava un ago corto e tozzo.
Con poca grazia scostò la schiena di Isairel dall'imbottitura del lettino, disinfettando la pelle e appoggiando l'ago appena oltre il collo.
Senza alcun preavviso premette quell'arnese nella carne, facendolo urlare, mentre, con un sono clack, veniva sparato nel muscolo un piccolo microchip, simile a quelli utilizzati per marcare il bestiame.
E Isairel aveva capito che lì dentro, bene o male che fosse, tutti erano bestie.
Vittime come animali da macello e carnefici come mostri senza scrupoli.
Le lacrime gli rigarono le guance per il dolore e per la paura. Il sale bruciava sulla pelle secca del viso.
L'Assistente Holmeberg si avvicinò a lui, afferrandolo per i corti capelli neri, strattonandolo. «Sei dei nostri ora, Gates.».
La sua risata gli procurò un brivido lungo la schiena, incollata da un sudore freddo sul materasso del lettino.
«Sei mio da adesso. – sentenziò il Professore – Sei il paziente perfetto, con la tua smisurata forza di volontà e i tuoi attacchi d'ira continui. Faremo di te una persona migliore, senza paura di nulla e di nessuno. Io e te faremo grandi cose insieme.».
Lo vide posare una mano sulla spalla dell'Assistente. «Apriamo il fascicolo per il prototipo B02 e cominciamo i test, Holmberg. Spostatelo nell'altra sala.».
«Procedo con l'aloperidolo?» L'infermiere guardò Holmberg in cerca di un cenno di conferma.
L'avevano trasferito in una sala adiacente, candida e che odorava di candeggina. A quel punto qualsiasi odore era meglio della puzza tremenda del sigaro di Vestergaard, che si attaccava alle cose e ai vestiti come la muffa.
Holmberg stava indossando dei guanti in lattice nero con una lentezza esasperante, misurando ogni singolo gesto. «Cinque milligrammi intramuscolo... - era pensieroso – Dovrebbero bastare. Poi attendiamo dieci minuti che faccia effetto. Io preparo la macchina.».
Allungò una mano verso l'alto, sistemando una luce forte verso la faccia di Isairel, costringendolo a chiudere gli occhi.
L'infermiere armeggiò con del disinfettante, passandolo con foga sulla parte alta del braccio. L'iniezione fu delicata, ma più lenta rispetto a quella avuta poco prima sul collo, che ancora gli doleva. Ogni gesto, ogni tocco sembrava essere amplificato dalla paura.
La preparazione fisica da soldati stava plasmando i loro muscoli, dando a lui e ai suoi compagni una forza e una resistenza mai avute.
Imparavano economia, politica, psicologia. Tutti, nessuno escluso, anche i più giovani.
In tutta quell'apparente cura verso la loro istruzione e la loro salute fisica, nessuno dei suoi compagni si era mai domandato a che scopo lo stessero facendo.
Nessuno si era mai chiesto che fine facevano alcuni di loro, quelli più deboli nello spirito e nel corpo.
Isairel ora capiva: quello che stava vivendo era un vero e proprio incubo. Un incubo ad occhi aperti.
Non sarebbe stato meglio morire a Ibion, allora?
Un lieve torpore cominciava ad avvolgerlo e udiva tutti i suoni ovattati, distanti.
Un fresco sollievo sulla fronte e sulle tempie lo fece sospirare, rilasciando per un momento la tensione.
Il camice che indossava venne scostato, lasciando scoperto il petto, percepì la pelle sollevarsi per quella piacevole sensazione di fresco improvviso. Mosse piano la testa, come se fosse negli attimi che precedono il sonno, incapace di pensare coerentemente.
Qualcuno attaccò qualcosa sul petto ed un suono insistente ed acuto invase la sua testa ad intervalli regolari.
Una sensazione di freddo gli bloccò gli ultimi pensieri: un ronzio fastidioso sulle tempie si aggiunse al fastidioso bip che sentiva nella testa.
Le voci gli giungevano ovattate e le palpebre si facevano sempre più pesanti...
«Elettrodi posizionati, Signor Holmberg. Monitoraggio encefalografico e cardiaco posizionati come richiesto.».
Il Professor Vestergaard attendeva sulla soglia, a braccia conserte, osservando quanto i due uomini stavano facendo col giovane Isairel Gates.
Un sorriso compiaciuto gli increspò le labbra quando vide l'Assistente accendere la TEC*.
«Delmas, là sopra c'è il mio taccuino. La prego di annotare sulla data di oggi quanto segue: Beta zero-due, primo test trattamento, aloperidolo cinque milligrammi intramuscolo. TEC sessanta volt a zero-virgola-tre ampere. Scarica a zero-virgola-zero-uno secondi.».
Holmberg fece una breve pausa per dare il tempo all'infermiere di trascrivere quanto dettato. Prese un profondo respiro, prima di accendere un secondo interruttore sulla macchina e manovrare una manopola scura dell'interfaccia. «Scarica in tre...due...uno...»
If you could read my mind, you would not like what you'd find
And you should read my mind, you'd know just how far I'd go
But now you don't want to make me lose my shit 'cause heads will roll
Now you just need to worry that I just don't lose control
Now you just need to worry that I just don't lose control.
~ Sum 41 ~
- - -
*macchina per terapia elettroconvulsivante o elettroshock
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