18. How to explain the bad and the good

Giorno 151 - mattino

«Guarda che alla fine è solo un giorno come un altro.».
Isairel era particolarmente svogliato quella mattina e continuava a girare il cucchiaio all'interno del porridge, fissandolo come se, da un momento all'altro, si sarebbe trasformato in una barretta di invitante cioccolato.
Sarebbe stata una cosa che avrebbe di sicuro reso speciale quel giorno.

Ianco era totalmente stranito dall'affermazione dell'amico. «Ma come puoi dire una cosa del genere, Isa!».

«Abbassa-la-voce!», scandì a denti stretti.

«Ma è il giorno del tuo compleanno! – sussurrò – non possiamo non festeggiare!».
Isairel roteò gli occhi. Ricordava bene che, appena un mese prima, per il compleanno di Ianco era riuscito a farsi dare una fetta di torta extra. Era più che sicuro che lui volesse ricambiare quella cortesia.

Se il festeggiare il compleanno di Ianco era stato un modo diverso per riavere la loro normalità, la ricorrenza di quel giorno riportava a galla pensieri spiacevoli e fantasmi che a stento riusciva a seppellire.

Avere diciotto anni non significava nulla se non erano accompagnati dalla libertà.

In più, da oltre un mese, quello scambio di baci e di esternazioni di un'amicizia troppo profonda non aveva trovato un degno confronto.

Si sforzò di mangiare la brodaglia, in un silenzio forzato.

Se avere Ianco presente era di solito un sollievo, ora gli risultava pesante. «Per favore, smettila. Ci ripensiamo più tardi.».

Giorno 151 - notte

La porta si aprì con un cigolio sinistro, quel poco che bastava per far passare una persona.
Ianco sgattaiolò nella stanza, infilandosi subito sotto le coperte dell'amico. «Ehi...».

Non era la prima volta che succedeva, erano amici da una vita e spesso l'uno andava a dormire a casa dell'altro.

Per Ianco, tuttavia, quella volta era diversa. Un fremito aveva percorso la sua schiena appena aveva sentito il calore del corpo dell'amico.
Istintivamente lo abbracciò.

La stanza era completamente buia: la luna nuova aveva lasciato orfano il cielo ed una calma oscurità regnava nell'istituto.

Percepì Isairel muoversi, avvertendo la stretta di un abbraccio attorno alla vita.
La mano del biondo si sollevò a tastare il volto del moro, percorrendo con le dita fresche la linea della mascella e la zona della bocca.
«Ti sta crescendo la barba, Isa.».
Il tono di Ianco era sorpreso.

«Non mi hai badato per tutto il giorno. - si lamentò Isairel – Mi aspettavo almeno una fetta di torta!».

«Non sembravi proprio in vena di festeggiare, sbaglio?».

«No, non ero dell'umore adatto.».

Calò il silenzio tra di loro, rotto solo dal respiro pesante ed assonnato di Isairel.
«Posso darti il mio regalo?».

L'oscurità della stanza nascondeva l'espressione incredula di Isairel a quelle parole.
«Che vuoi dire? Cosa hai rubato?».

«Non ho rubato niente, Isa. Ho solo una cosa per te. Spero...», fece una lunga pausa.

«Speri? Speri cosa, Ian?».

Percepì il fiato caldo dell'amico sulla bocca e le sue labbra morbide posarsi sulle proprie, in un bacio appena accennato.
«Ti voglio bene, Isa. In un modo che non avrei mai immaginato...».

«Ian, smettila di parlare per niente, tiri fuori sempre la stessa frase! Sono stufo! Mi baci appena e non ti spieghi mai e questo...mi confonde, cazzo! Ti comporti in maniera strana...mi allunghi sigarette rubate e stecche di cioccolato. Che sta succedendo?», sbraitò spingendolo via in malo modo.

La risposta di Ianco tardò ad arrivare, tanto che Isairel lo stava per sbattere davvero fuori dalla stanza.
«Io... Hai ragione, ti devo molte spiegazioni».
Tuttavia, ciò che Ianco gli raccontò in seguito, fu solo l'inizio di un incubo.

Isairel, scosso oltre ogni aspettativa, si era progressivamente allontanato dall'amico durante il suo orrendo racconto, appoggiandosi al muro fresco della cella per cercare un sollievo che non arrivava mai. «Da quando... Da quanto tempo va avanti tutta questa merda?».

Ianco era seduto sul bordo del letto, probabilmente stava pensando di andarsene.
Isairel non aveva proferito parola durante il suo lugubre racconto di botte e abusi e perciò si convinse di aver sbagliato a confidarsi in quel modo.
«Più o meno due mesi...».

«La rivolta? È stata quella? È colpa di quella specie di stupida protesta che abbiamo fatto?».

Ianco scosse la testa, senza mai guardare Isairel, alzando le spalle: «Poco prima...ma tanto...un giorno in più o in meno non cambiano quello che è successo.».

Il groppo in gola si fece più pesante. «Quindi, quella balla sul pugno di Frandsen?».

«Una balla, appunto.».

Nell'oscurità Isairel percepì il peso mancante sul materasso.
«E forse facevo meglio a starmene zitto.».

Si alzò anche Isairel, di corsa, finendo per sbattere addosso all'amico e destabilizzarlo. Lo abbracciò stretto per non perdere l'equilibrio.
«Non stare mai zitto con me, Ian. Non lo sopporterei.».

Sentì le mani ruvide dell'amico posarsi sulle proprie, carezzandole.
«Non ho un carattere facile, lo sai. Ho la lingua tagliente e il pugno facile. A te è toccato l'isolamento, a me questo. E forse me lo merito.».

Isairel lo fece voltare e, pur non vedendolo, a tastoni gli prese il volto tra le mani.
«Nessuno merita questa violenza. Tu meno di tutti.».

Lo udì ridacchiare. «Non sei cambiato in questo, Isa. Sei il solito idealista.».
Ianco si liberò delle mani di Isairel e si diresse lentamente verso la porta, aprendola per far passare uno spiraglio di luce. Prima di uscire riuscì a scorgere gli occhi arrossati di pianto dell'amico e fu come se gli avessero tirato un calcio nello stomaco.


Giorno 152 – 05.25

Vestergaard entrò nell'ambulatorio stropicciandosi gli occhi, ancora assonnato, osservando l'uomo seminudo che lo attendeva seduto sul lettino, stupendosi di vederlo lì. «Sei mattiniero oggi, Holmberg.».

«Non riesco a dormire ultimamente, Signore».

Il vecchio osservò l'uomo con la coda dell'occhio, mentre indossava lo stetoscopio e preparava la siringa per l'iniezione.
«Ti darò una dose di torazina per stanotte, così non avrai problemi».

Percepì i suoi occhi addosso. «Non quella, mi rincoglionisce. Ho bisogno di essere lucido.».

Controllò in silenzio il foglio di lavoro che aveva sul tavolino e poi si sforzò di parlare. «Cosa ti turba, Logan?».
Essere informale con i propri pazienti gli dava un vantaggio: li faceva sentire a loro agio e loro si fidavano di lui.

Lo udì sospirare pesantemente, «La versione beta».
A quelle parole Vestergaard esitò con l'iniezione. «Cosa intendi?».

Gli occhi ambrati dell'uomo divennero due fessure dietro gli occhiali. Holmberg raccontò che, anche quella notte, aveva visto Milner uscire dalla stanza di Gates al di fuori dell'orario del coprifuoco. E ipotizzò una soluzione quasi indolore a queste piccole fughe fuori programma.

Vestergaard aveva un cuore da malvagio e si divertiva a condurre esperimenti illegali sui propri pazienti, ma Holmberg aveva dalla sua il sadismo e una mente estremamente raffinata.
Se si dice che non c'è limite alla fantasia, in lui non vi era neppure limite nell'immaginare azioni volte a strutturare forme di sofferenza a maggiore livello di complessità.

L'ago penetrò nella carne senza troppa grazia. «Non voglio casini, Logan! Non azzardarti a mettere a repentaglio l'esperimento per il tuo piacere personale. Non sarebbe la prima volta, lo sai.».

A quel punto, il sorriso che fece preoccupò ancora di più il professore.

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