26. A wolf in sheep's clothing

Anno 1 – giorno 114 - notte

Il ragazzo era uscito dalla stanza sbattendo la porta con la furia di un tornado.
I due uomini guardarono il giovane Ianco disteso a letto e poi si scrutarono.

«Hai decisamente esagerato, Logan». Il tono del Professore non ammetteva repliche.
«E lui sa che sei stato tu. Come la mettiamo?».

Gli occhi ambrati di Holmberg si illuminarono e un largo sorriso si dipinse sul volto costellato di efelidi. Si chinò a raccogliere gli occhiali, una lente incrinata.
«Tecnicamente, – fece con tono allegro – non sono stato io!».
Vestergaard rilasciò un sospiro spazientito e si trattenne dal ribattere a quella sfacciataggine.

«Non vuole sentire cos'ho in mente, Dottore?».

Gli occhi grigi dell'uomo lo squadrarono da capo a piedi. «Sinceramente no, ma non credo di avere altra scelta.».

Il rosso si sedette accanto al letto, osservando il giovane paziente con una meticolosità innaturale. «Ho bisogno di riacquistare la sua fiducia. E l'unico modo per farlo è lenire la sua sete.».

«Si spieghi meglio, signor Holmberg.».

Quel tono formale gli fece raddrizzare la schiena e voltare il capo immediatamente verso Vestergaard. Il suo continuo passare dal "lei" al "tu" gli stava dando sui nervi.
Era come se fosse un padre che non voleva fare il padre, ma il semplice tutore di tutte quelle piccole anime perse.

«Gli darò quello che vuole: vendetta. Non deve passare troppo tempo, ma il ragazzo è ancora acerbo. Lui avrà quelle teste di cazzo e noi avremo la nostra cavia. Le sta bene come proposta?».

La mano di Holmberg carezzava debolmente quella di Ianco, leggera come un battito di ciglia. Le dita del ragazzo si mossero sotto quel tocco, percependolo e rispondendovi.
Il Professore prese il suo fidato taccuino ed annotò il progresso del paziente, prima di ricacciarlo nella tasca del camice.
«E se lui dovesse riprendersi? A questo ci ha pensato?».

Holmberg rimase pensieroso per un istante: le ciglia di fuoco si muovevano impercettibilmente, accompagnando il movimento di quegli occhi chiari.
«Non succederà. Lo guardi ancora: come potrebbe mai riprendersi? Interrogherò comunque quei due, prima di avvicinarmi a Gates.».

Un profondo sospiro uscì da Vestergaard, che rimaneva scettico sui metodi e sulla proposta fatta dall'Assistente. «Chi altro sa di questa cosa? Qualcuno potrebbe parlare?».

Holmberg fece spallucce, prima di alzarsi dalla sedia ed avvicinarsi alla porta: «Il vecchio inserviente non ha visto nulla, se non una porta sbattuta in faccia, nessuno ha udito nulla perché nessuno va mai in lavanderia se non è di turno. Chi lo ha trovato non ha visto i miei uomini. Fine della questione, Dottore. Si fidi di me, l'ho mai delusa?».

Il vecchio scosse la testa. «Purtroppo, no. Sei il migliore in tutto e sai di esserlo. Si può dire che abbia davvero creato un mostro.».



In quel momento avrebbe avuto bisogno di una sigaretta. Una di quelle che Ianco ogni tanto gli procurava.
Fissò il letto, immacolato, come lo aveva lasciato cinque giorni prima.
Da quando aveva fatto ritorno dall'allenamento speciale era riuscito a passare in camera solo un paio di volte. Ogni momento libero lo aveva passato al capezzale di Ianco.

Si sentì mancare il respiro e la terra da sotto i piedi. Cadde in ginocchio, poggiando la testa sul materasso ed avvolgendo le braccia al corpo, stringendosi con le mani le spalle.
Strinse forte, fino a sentire le unghie che premevano oltre i vestiti, bramando la pelle, la carne.
Smise di respirare per un momento.
La mascella serrata, le labbra in mezzo ai denti, gli occhi spalancati così tanto da voler quasi uscir fuori dal cranio.
Aveva tentato di sopportare, di essere forte, di stare sveglio tutta la notte e di non pensare.
Si sentiva sopraffatto dal suo stesso dolore, immaginando ciò che avesse provato Ianco.
Cosa sentiva, adesso, su quel letto?
Provava dolore? O non sentiva nulla per i farmaci?
Percepiva la sua presenza?
Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra e riprese a respirare, affamato d'aria.
Gli dolevano le dita per il troppo stringere. In bocca aveva il sapore metallico del sangue.

Si sentì prendere per le spalle e sollevare delicatamente da terra.
«Dai... Andiamo... Siedi sul letto... Così... Da bravo...».
Udiva quella voce come ovattata, distante. La vista era annebbiata dalle lacrime e tutto quello che gli occhi restituivano era l'immagine di stivali scuri e di pantaloni color sabbia.
Avrebbe voluto gridare, ma era prigioniero di sé stesso.
Stavano cercando di allentare la presa delle sue mani sulle braccia, sforzandole, stritolandogli i polsi. Forse c'erano riusciti o forse era lui che adesso le stava cercando di portare sulla faccia.
Sentiva il bisogno graffiarsi la pelle, percepire le unghie nella carne.
Provare dolore per scacciare il dolore.

L'ho lasciato da solo.

Di nuovo le mani erano lontane dal suo viso, sostituite da schiaffi e da una presa salda tra i capelli.
«TORNA IN TE!», sentì urlare.
Eppure, era come non essere padroni del proprio corpo.


Più tardi, quella stessa notte, si risvegliò di soprassalto con una strana sensazione addosso ed un malessere diffuso in tutto il corpo.
Aveva la nausea e dei capogiri fortissimi che lo fecero mugolare.
Un rumore leggero attirò la sua attenzione, nella stanza in penombra.

«Almeno non sei morto.», la voce di Holmberg era rauca, assonnata e difficilmente riconoscibile ad un orecchio poco attento.

Isairel stava così male che non ebbe neppure la forza di ribattere.
Nel muoversi sul letto, notò la comodità di quel materasso e una strana morbidezza nel tessuto delle lenzuola che gli accarezzava la pelle nuda delle gambe.

«Dove sono?», domandò spontaneamente, cercando di fermare con una mano il vortice che gli faceva girare la testa. L'Assistente Holmberg si avvicinò a lui, sbadigliando.

«Nella mia stanza, sul mio letto.».

Quella frase bastò a farlo rinsavire, mettendosi seduto a discapito del conato di vomito che premeva per uscire. L'Assistente non si mosse di un passo, ma si limitò a sospirare, notando il tentativo maldestro del giovane di fuggire.

Con una spinta lo ricacciò disteso sul materasso, sedendosi subito dopo accanto a lui, con una lieve risata. «Rilassati. Non ti mangio.», ma quelle parole sembravano più una presa in giro che una rassicurazione.
Isairel cercò di rannicchiarsi contro il muro, provando a sfuggirgli, in preda all'ansia e alla paura.
Lo udì esalare un sospiro rassegnato. «Dico sul serio, rilassati e riposati. Ne hai bisogno.».

Il comportamento dispotico dell'Assistente sembrava svanito nel nulla e la dolcezza di quel sussurro gli parve innaturale.

«Perché sono qui?».

«Hai avuto un attacco di panico molto forte, svegliando quasi tutti. Ho dovuto chiamare un infermiere e sedarti. Sai, lasciarti ad urlare nella tua stanza non era proprio il massimo. Questo mi è sembrato il posto più sicuro e tranquillo per te.».

Isairel grugnì, incapace di credere alle sue parole, ancora troppo scosso per Ianco.
«Allora perché sono mezzo nudo?».

Un'altra debole risata. «Ti sei vomitato addosso. Ti stavo portando in infermeria e ti sei vomitato addosso, sporcando anche me, vedi?».

S'indicò la maglietta chiara: «Mi sono dovuto cambiare pure io.».

Vi fu un attimo di silenzio, in cui l'imbarazzo di Isairel per quella situazione fu quasi palpabile.
La luce gialla della scrivania rifletteva ombre lugubri sul volto di Holmberg, ma i suoi occhi, rivolti verso il ragazzo, sembravano stranamente comprensivi e teneri.
Per un breve lasso di tempo, qualcosa nel cuore di Isairel gli suggerì di non preoccuparsi e di fidarsi di quelle parole e di quello sguardo.
«Non voglio stare qui», fece, con tono asciutto, deglutendo a vuoto un paio di volte.

«Non sei incatenato. Non ti sto trattenendo.».

Isairel si mosse, strisciando sul letto, mettendosi a sedere a fianco dell'uomo, i piedi nudi a toccare il pavimento fresco. Rabbrividì e un nuovo capogiro lo fece aggrappare con le unghie alle coperte.

«Fossi in te, aspetterei domattina. Questo tuo malessere deve essere una qualche reazione al sedativo».
Isairel trattenne un nuovo conato di vomito e guardò l'uomo; ancora una volta, notò i riflessi leggermente dorati dei suoi capelli, colpiti dalla flebile luce.
Lo vide passarsi una mano sulla testa e sul collo, sembrava esausto.
«Rimettiti a letto e dormi. Per domani... Ti do il permesso di saltare le lezioni e stare in infermeria con Milner.».

Holmberg si alzò dal letto, indossando una felpa e risedendosi alla scrivania, chino su alcuni fogli e libri aperti.

«Perché sta facendo questo? Io... Io la odio, lo sa, non è vero? Signore?».

Il rosso si girò verso il ragazzo. «Lo so benissimo. Tuttavia, devo assumermi le mie responsabilità per ciò che hanno fatto i miei sottoposti, in maniera totalmente arbitraria. Te l'ho già detto, non è me che devi odiare o uccidere, Isairel. Perciò adesso dormi, sogna la tua vendetta e domani... Domani imparerai un'altra lezione.
Bisogna saper curare oltre che ferire o combattere. E con il Professor Vestergaard abbiamo deciso che ti occuperai di Milner, fino a che non si sveglia.».

Si osservarono, preda e predatore nella stessa gabbia. «Ti sta bene?».

Isairel esitò. «Sìssignore...».

«Bene. Adesso vedi di smetterla con le domande idiote e dormi.».

Il ragazzo si distese e appoggiò la testa sul cuscino morbido, fissando la schiena dell'Assistente china sulle sue scartoffie.
«Lei non dorme?». Lo vide alzare la testa e scuoterla leggermente.

«Riposerò più tardi».

Gli occhi si fecero pesanti e stanchi, lo stomaco era in subbuglio e temeva di vomitare di nuovo da un momento all'altro. Provò a tenersi sveglio ancora un po'.
«Chi è lei, Holmberg? Un medico come il professore? Un militare?».

L'uomo non rispose subito, colto impreparato da quelle domande. Non alzò la testa, limitandosi ad un tono di voce basso e calmo.
«Sono stato un militare e lo sono ancora. Lo hai visto, lo hai provato tu stesso. Ora sono uno studente come te e sto imparando dal Professore come meglio posso. E sto imparando che posso essere tante cose...».

«Che sta dicendo?».

«Rispondo alle tue domande.».

Isairel si voltò dall'altro lato, verso il muro, irritato da quel tono di voce così calmo e misurato, innaturale. «Sta dicendo delle cose senza senso.», borbottò.

L'Assistente si alzò e andò a rimboccargli le coperte. Quel gesto così premuroso lo confuse, forse più della carezza sulla testa che ricevette subito dopo.
«Imparerai anche tu a diventare quello che vuoi. In fondo, tu sei come me.».

Quelle parole lo fecero rabbrividire e scattò a sedere sul letto immediatamente, preda di una nuova ondata di paura.
Il volto dell'assistente era solcato da un ghigno malevolo, come se fosse tornato in sé ed avesse abbandonato ogni vestigia di dolcezza.

Holmberg gli afferrò il viso con una mano, accentuando la sua espressione di sorpresa nella stretta delle dita sulla mascella. Poteva sentire il fiato caldo dell'uomo sulle labbra da quanto i loro visi erano vicini.
Di nuovo, quella sensazione era così familiare che un calore si propagò nel basso ventre, facendogli esalare un sospiro rumoroso.

«Questa notte passa così: io a quella scrivania e tu qui, ma sappi che non vorrai davvero avere a che fare con me la prossima volta, dovesse ricapitare una situazione del genere. Quindi, zitto e dormi.».
Holmberg lasciò la presa e tornò ai suoi libri con un grugnito di fastidio.

Isairel si tuffò sotto il lenzuolo, accoccolato accanto al muro, cercando di trovare un solo pensiero felice per tranquillizzarsi e dormire.
Fu solo verso l'alba, vinto dalla stanchezza, che sprofondò in un sonno senza sogni.

Listen, mark my words, one day
You will pay, you will pay
Karma's gonna come collect your debt.
~ Set it off ~

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