8. The other side of the fence

Giorno 6 - h 15:15

«I militari e gli atleti combattenti devono essere forti, molto forti in qualsiasi circostanza! Non solo! Devono essere in grado di esprimere la loro forza nei movimenti specifici della propria attività militare o sportiva.».

Il supervisore Palmer era logorroico e adorava ascoltare la propria voce. In quella settimana tutti lo avevano capito e l'attenzione dei ragazzi era molto bassa quando spiegava qualunque attività andassero a fare.
In quel momento non era diverso e a nessuno interessavano i benefici di una corretta e costante attività fisica, dato che la maggior parte dei ragazzi avevano lavorato nei campi o già fatto lavori troppo faticosi per la loro età, ma al nord era così: o lavoravi o non mangiavi. Solo i "cittadini" non conoscevano la vera fatica.

«Tra un mese verrete sottoposti al test di selezione, chi lo supererà avrà la possibilità di entrare nei corpi speciali del Regio Esercito e dare lustro all'Änderung Institut!».

Ianco sputò della saliva sul terreno. «Quante stronzate...» sussurrò.

Poi il supervisore lasciò la parola ad un paio di istruttori, che nessuno di loro aveva mai visto.

«Oggi comincia il vostro addestramento, faremo un test a circuito per verificare il vostro livello di preparazione fisica. Nelle prossime settimane imparerete anche le tecniche di difesa personale e affronteremo un allenamento di tipo funzionale, che si integrerà al meglio con le arti marziali e altri sport di combattimento.»

Isairel aggrottò la fronte, chiedendosi perché si stavano prendendo la briga di allenarli in quella maniera. Non si erano radunati lì per una semplice lezione di ginnastica all'aperto?





Giorno 6 - h 21:43

Quelle prove fisiche l'avevano devastato.
Credeva che si sarebbe addormentato immediatamente, ma era così scioccato ed esausto che continuava a vagare col pensiero.
La corsa, le trazioni alla sbarra, lo spostare copertoni di trattori – così grandi non ne aveva mai visti – gli avevano fatto dolere così tanto i muscoli che neppure la doccia calda era riuscita a lenire il fastidio.
Quello che, però, più di tutto lo teneva sveglio era un'ansia lieve e costante, che lo rendeva particolarmente vigile. Intorno a sé udiva i rumori con una chiarezza insolita e quasi inquietante.

«Non dormi?».

Ianco lo fissava, disteso a letto come un morto nella bara, neppure lui riusciva a muovere un muscolo, se non il collo per voltarsi a osservare l'amico.

«No. Ho la testa un po' piena.».

«Non sei stanco?».

«Tanto, ma ho un po' di ansia.».

«Per quello che ti ha detto oggi Frandsen?». Isairel incurvò le labbra.

«Anche...».

Ianco sbadigliò. «Io provo a dormire. Domani ci cambiano di stanza da come ho capito a cena.».
Isairel mugugnò in assenso, sempre perso tra i propri pensieri.

«Domani vado a farmi dare un calmante in infermeria. Vieni con me, Isa?».

«Credo che la tua non sia una cattiva idea. Buonanotte, Ianco.».

«Notte, Isa.».





Giorno 7 - h 01:01

Si svegliò di soprassalto per un dolore lancinante al piede, come se tra l'alluce e le altre dita avessero fatto passare un coltello.

Nell'oscurità dello stanzone un bagliore rossastro lo fece svegliare del tutto e scalciare via le coperte, saltando giù dalla branda cercando di spegnere il fuoco che aveva tra le dita dei piedi.

Una risata sguaiata dall'altro capo della stanza e i lamenti di Isairel fecero svegliare quasi tutti.

I pezzetti di carta igienica tra le dita dei piedi, a cui era stato dato fuoco mentre Isairel dormiva, erano ormai cenere sul pavimento e tra le lenzuola.

Frandsen e un altro lo fissavano ridendo, appoggiati allo stipite della porta del dormitorio. Dov'erano i guardiani? Perché non stavano vigilando?

E mentre Ianco si prodigava a portare in bagno Isairel per bagnargli i piedi con acqua fresca, Arthur Frandsen artigliò il moro per una manica, avvicinandosi al suo orecchio, sibilando a denti stretti «Questo è solo l'inizio».





Giorno 7 - h 11:03

In quell'ufficio vi era un certo tepore, cosa non prevista nella maggior parte degli ambienti dell'istituto.
Tutta la stanza odorava di sigaro troppo forte e di chiuso.

La giacca color cammello era tutta spiegazzata sulla sedia, da cui il Professore si era appena alzato, fermandosi accanto all'ampio finestrone.

«L'ordine e la disciplina sono condizioni per realizzare il trattamento rieducativo, quindi l'Istituto è un luogo dove ci sono regole precise. Conoscerle e rispettarle serve anche a non peggiorare la situazione già instabile o fragile dei ragazzi. Mi sono spiegato, signor Frandsen?».

Il biondo se ne stava immobile sulla sedia di fronte alla scrivania, le nocche delle mani arrossate e un ginocchio che si muoveva con una certa impazienza.

«Sissignore.», disse senza troppa convinzione.

Il professor Vestergaard si riaccomodò alla propria scrivania, prendendo una boccata dal sigaro.

«Forse è pretendere troppo? Per quanto vuole comportarsi come un ragazzino? L'Ordinamento prevede che lei osservi le norme che regolano la vita dell'Istituto. Se questo non le sta bene possiamo parlarne e concordare la sua buona uscita.».

Gli occhi azzurri di Arthur fissarono il professore: doveva avere all'incirca cinquant'anni, ma la costellazione di rughe attorno alla bocca e agli occhi lo invecchiava terribilmente. E quel suo assurdo, fastidioso accento gutturale!

«Cosa intende con "buona uscita"?». In quel momento un ghigno gli passò sulla faccia, adombrando il volto magro di Vestergaard e facendo rabbrividire il giovane che aveva di fronte.

Voleva sbarazzarsi di lui?

«Lei è un giovane perspicace, Frandsen. E immagino che sarà altrettanto collaborativo al riguardo.».

Arthur deglutì a fatica, sapeva che quello che aveva combinato quella notte gli sarebbe valsa una strigliata di capo, ma l'espressione di Gates era impagabile e avrebbe sopportato qualunque ramanzina. Solo che non si sarebbe mai atteso una minaccia diretta di morte.

«Cosa devo fare?», fece, mentre si torturava le mani, che già avevano subito dieci scudisciate dal supervisore Palmer.

«Lei è fuori età per qualsiasi attività, Arthur. – quell'improvviso tono colloquiale lo allarmò – E ho ben compreso che le disposizioni impartite dal personale le stanno strette, non è così?».
Il biondino annuì, non capendo ancora dove quel vecchio volesse andare a parare.

«Quindi, per non avere conseguenze spiacevoli, le offro due possibilità: la prima è quella di continuare a stare con gli altri ragazzi fino alla prova di selezione, evitando i comportamenti non consentiti, e le "piccole marachelle", come amo chiamarle io...».

«E la seconda possibilità?».

Il Professore si prese tutto il tempo per lasciarlo sulle spine, fumando e sfogliando distrattamente il dossier che aveva sulla scrivania.

«Professore?», incalzò il giovane, in trepidante attesa.

«Vista la sua indole e la sua età, la seconda possibilità è quella di formarla come uno degli altri operatori dell'Istituto, dapprima come assistente, via via ad arrivare al grado di Assistente o Sovrintendente.».

Arvo Vestergaard inclinò la testa, osservando il giovane che si mordeva il labbro, carico di ansia e di quella voglia di primeggiare che solo i giovani ambiziosi e senza alcuno scrupolo hanno.

«Devo prendere il suo come un silenzio-assenso, Frandsen?».

Il biondo era ancora titubante: «Qua-quando pensava di farmi cominciare la formazione?».

«Anche da oggi pomeriggio. Appena avremo smistato le camerate, lei e il suo amico, Nicholas Wyatt... Entrambi verrete inoltrati verso l'ala sud, con le altre guardie. Sarà il signor Holmberg a farvi da tutore, finché lo riterrà opportuno.».

«Ha già parlato anche con Nicholas?».

Il Professore corrugò la fronte, quasi fosse incredulo all'udire quella domanda.

«Certamente no. Ritengo che sia opportuno che gli spieghi dettagliatamente la proposta e le eventuali conseguenze di un suo rifiuto. Ho ritenuto più ragionevole parlare con qualcuno di sveglio e perspicace, che capisse esattamente la situazione.».

Con un cenno della mano gli fece segno di alzarsi.
«La saluto, signor Frandsen. La ringrazio per la sua disponibilità».

Quando Arthur fu uscito da quell'ufficio, si appoggiò alla porta chiusa. Quella proposta aveva suscitato in lui uno strano sentimento.
Si osservò i palmi delle mani prima di stringerli in due pugni.

Quella sensazione di onnipotenza s'impossessò di lui, animando i suoi passi svelti e facendogli raddrizzare la schiena al pensiero, che, di lì a qualche ora, sarebbe stato dall'altro lato della barricata.

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