14 - 12 - 2021


Emma si sedette a gambe incrociate sul tappeto bianco.

Quella stanza la conosceva a memoria, c'era stata mille volte: le pareti dipinte di rosa pastello, il letto da un lato, la scrivania con sopra gli scaffali bianchi e vicino l'armadio dall'altro, la porta scorrevole e la finestra con le tendine a rullo.

Era tutta piena di oggettini carini, sulle mensole, appesi alle pareti, appoggiati sul tavolo e radunati negli angoli della stanza: fiorellini, pupazzetti di pezza, piccole bambole e statuine di fate ed elfi e animaletti, quadrifogli e campanellini e anche uno scacciasogni intrecciato di piume e perle azzurre.

Emma trascinò lo zaino accanto a sé e si sistemò più comoda sul tappeto: Eleanor le aveva detto di aspettare in camera sua mentre lei chiedeva a sua madre due tazze di tè.

Nonostante avesse potuto fare una planimetria perfetta della stanza, ammesso che fosse stata capace di disegnare, continuava a guardarsi attorno interessata: notò un paio di nuovi libri sulla mensola che la riempivano, - Eleanor li avrebbe presto spostati, le piaceva avere sempre un po' di spazio vuoto, diceva che era aesthetic, - osservò un paio di palline di Natale foderate di stoffa appese alla testiera del letto e vide che sulla scrivania c'era un piccolo fagotto di stoffa bianca con un ago conficcato dentro, probabilmente una nuova bambolina che avrebbe presto visto la luce.

Eleanor entrò con calma, anticipata dal rumore ovattato dei calzini antiscivolo che era solita portar in casa, facendo attenzione al vassoio che teneva in mano: c'erano due tazze, due cucchiaini e la zuccheriera. A Eleanor piaceva il tè al naturale, in realtà, non ci metteva mai lo zucchero. Lo portava per Emma, perché sapeva che lei ne metteva a tonnellate.

Ciò perché a essere sinceri, a Emma il tè non piaceva. Lo beveva solo perché l'amica era solita farlo.

Eleanor era alta, aveva i capelli mossi e chiari, le labbra a cuore che spiccavano rosate sulla pelle bianca e gli occhi di un azzurro ghiaccio meraviglioso: il suo sguardo era acuto e morbido allo stesso tempo, a volte allietato da un sorriso accennato che sembrava sussurrare segreti impronunciabili. La sua voce era bassa e melodiosa, vellutata come stoffa, la sua pelle delicata e lei profumata di viole. Suonava il pianoforte e aveva le dita lunghe e affusolate, e quando si arrabbiava allungava le braccia lungo i fianchi e abbassava le sopracciglia, una più giù dell'altra.

Eleanor appoggiò il vassoio a terra, si sedette di fronte all'amica e si mise a soffiare sulla tazza che aveva preso in mano, Emma prese l'altra e ci rovesciò almeno tre cucchiaiate di zucchero prima di afferrarla.

«Com'è andata la versione?»

Ellie alzò gli occhi, cercando di richiamare le impressioni che aveva avuto sulla storiella, che aveva tirato fuori a forza dal testo in latino per pura forza di volontà. «Credo bene. Non ricordo.»

Era tipico di lei, quando era in stress si dimenticava le cose.

«Sei sicura che non avresti voluto stare a casa? Non hai la verifica di fisica domani?»

«Ah, sì,» Emma prese un sorso di tè, spiando l'amica con gli occhioni blu da sopra la tazza. «La sufficienza ce l'ho assicurata.»

«Non vorresti puntare un po' più in alto?» esclamò Eleanor, inclinando la testa.

«Chi? Io??» la ragazza dai capelli neri scosse energicamente la testa. «La scuola è solo uno dei miei passatempi, non deve assorbire la mia vita. Mi piace il basket, mi piace uscire con gli amici, e mi basta studiare il minimo indispensabile. Non ho voglia di mantenere una media alta. Vivi il presente, baby!»

Emma trattò per un attimo la tazza come avrebbe fatto un pirata, ed Eleanor sorrise ma sollevò un sopracciglio: a lei veniva naturale, non faceva fatica a capire e memorizzare.

«È anche il motivo per cui ho scelto di non fare latino,» bofonchiò Emma, «Sa di morto.»

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