29 - 11 - 2021
Perfino la maniera in cui quel bastardo si sistemava gli occhiali era terribilmente irritante: se li spingeva sulle orecchie un lato per volta, alternando la mano con cui scriveva, perché il bastardo era ambidestro. Pure.
Aveva i voti migliori in ogni materia ed era anche simpatico, era il rappresentante di classe, era sempre circondato da un capannello di persone che lo apprezzavano, lo innalzavano e lo celebravano alla stregua di una maledetta divinità, era intelligente, aveva il talento e la logica e la creatività e la mano ferma e la forza, l'agilità, l'umorismo, lo spirito, tutto quello che chiunque avrebbe potuto desiderare lui ce l'aveva.
E sembrava non rendersi neanche conto della fortuna che gli era toccata, e girava per i corridoi con un sorriso stampato in faccia e la voce allegra.
Aveva un soprannome per ogni maledetta persona che avesse mai messo piede all'interno della classe, che fosse uno studente, un insegnante o chiunque altro, a parte lui.
No, per lui ne aveva un numero ridicolo, e perché? Perché lui di nome faceva Virgilio, e nella testa bacata di quel maledetto Virgilio poteva equivalere a qualsiasi cosa, soprattutto dato che aveva notato la sua attitudine per l'epica.
Il bastardo aveva iniziato a chiamarlo coi nomi degli eroi classici, Ulisse, Aiace, Orfeo, Ercole, Menelao, Telemaco, Giasone, Perseo, Enea, Achille.
Achille.
Quando gli aveva chiesto perché, lui si era limitato a rispondere "Virgilio non voleva imitare i poemi classici?"
Lo avrebbe ucciso. Se solo avesse potuto, l'avrebbe ucciso volentieri.
Mentre la campanella della ricreazione aggradava la scuola con quel suono stentatello e traballante per cui la detestava, lui squadrò con astio la data scritta invano sul quaderno, 29 novembre, e si chiese come fosse possibile odiare tanto una persona che conosceva da meno di tre mesi.
Uscì dalla classe appena in tempo per vedere il professore di matematica che scriveva alla lavagna la data della verifica successiva: sospirò e si diresse verso il cortile.
Fuori faceva un freddo cane, e mentre rabbrividiva nel giubbetto nero, si trovò a imprecare contro i suoi compagni che si ostinavano a voler trascorrere nel parcheggio davanti alla scuola ogni ricreazione, ogni giorno, quando c'era stato un caldo mortale a settembre e a gennaio, che avrebbe piovuto come il diluvio universale.
Appoggiò un piede alla staccionata e si mise a mangiare in silenzio, guardando l'asfalto grigio e sconnesso, fin quando non vide un paio di scarpe da tennis dirigersi verso di lui: alzò gli occhi e realizzò che sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto.
«Io ho la sensazione che tra noi non sia iniziata bene,» lui gli tese la mano. «Quindi ciao, mi chiamo Wúxiàn.»
Virgilio lo squadrò con scettica arroganza e un filo sottile di disgusto.
Aveva i capelli neri, la pelle bianca come una maledetta distesa di neve, gli occhi allungati e color castano vivo, sembrava rosso sotto il debole sole di fine novembre.
I suoi occhiali erano neri con le aste dorate, incredibilmente circolari e talmente grandi che, nel suo sorriso perpetuo, gli si appoggiavano sulle guance, e un orecchino nero gli si confondeva con i capelli.
Era basso.
Lo passò di nuovo con un'occhiata inceneritrice, da capo a piedi; la sua mano era ancora tesa, e attendeva di essere stretta.
«Non mi piace risultare sgradevole alla gente, quindi se ho fatto qualcosa per infastidirti mi dispiace,» fece, sinceramente preoccupato.
Virgilio dovette trattenersi per non spaccargli il naso: quella sua onestà così pura e innocente lo infastidiva oltre il limite dell'umanamente sopportabile, non sapeva neanche perché.
"Non gli darò la soddisfazione di essermi amico," pensò, e infatti non accettò il suo saluto né le sue scuse: si limitò ad alzare gli occhi sui suoi e a fissarlo con visibile irritazione.
«Io mi chiamo Virgilio.»
Nonostante Wúxiàn fosse rimasto spiazzato dalla sua perpetrata ostilità, gli sembrò che dopo quelle quattro parole il suo sorriso, anche se annebbiato dalle nuvolette che il freddo traeva dal suo respiro, si fosse fatto più vivace.
Quando la campanella concesse alla scuola la grazia di suonare ancora, tornando in classe, Virgilio pensò soltanto che Wúxiàn era un maledetto idiota.
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