La notte ha il colore del sangue

L'attacco arrivò nel cuore della notte più buia, quando anche le stelle sembravano aver chiuso gli occhi per non vedere.

Katsuki si svegliò di colpo, strappato dal sonno da un istinto animale che gli gelò il sangue nelle vene. Qualcosa non andava. L'aria sapeva di morte, il silenzio era troppo perfetto, troppo innaturale.

Rotolò silenzioso dalla sua stuoia e strisciò verso l'apertura della capanna. Fuori, il villaggio giaceva immobile sotto la luna scarsa sche sbucava a tratti dalle nubi dense, ma le ombre si muovevano dove non dovevano muoversi. Forme scure scivolavano tra le capanne come spiriti maligni, silenziose e letali.

I Figli del Tuono.

Il cuore di Katsuki si fermò per un battito. Erano venuti.

Sapevano... In qualche modo avevano scoperto del cervo sacro, e ora erano venuti a reclamare il prezzo del sacrilegio.

Accanto alla sua stuoia, nascosta sotto una pila di pellicce apparentemente accatastate in modo casuale, c'era la gerla che aveva preparato tre notti prima. Quando la colpa aveva iniziato a rodergli l'anima e la paura a sussurrargli cosa sarebbe potuto accadere. Dentro c'erano le sue armi migliori, cibo secco per una settimana, la pietra focaia, l'acciarino, tutto quello che serviva per sopravvivere sulle montagne.

L'aveva preparata sperando di non doverla mai usare.

La afferrò con mani che tremavano come foglie nella tempesta quando il primo grido di guerra squarciò il silenzio come una lama di selce che taglia la carne. Poi altri, sempre più numerosi, finché l'aria notturna si riempì di urla che promettevano vendetta.

I Figli del Tuono emersero dalle ombre come i demoni dell'inferno, i corpi dipinti di rosso e nero, le facce trasformate in maschere di guerra terrificanti. Portavano lance dalla punta di pietra, asce di rame affilate, archi tesi e frecce che fischiavano nell'aria come vespe.

«SVEGLIA!», la voce di Shota tuonò sopra il caos, potente anche a quaranta inverni. «SVEGLIA, FIGLI DELLA MONTAGNA! IL NEMICO È ALLE NOSTRE PORTE!»

Il capo emerse dalla sua capanna già armato, la grande lancia del comando nella mano destra, lo l'arco di traverso sulle spalle. I suoi occhi neri brillavano di una furia gelida che prometteva morte a chiunque minacciasse la sua gente.

Ma Katsuki vide anche altro in quegli occhi quando lo sguardo del padre adottivo si posò su di lui.

Vide comprensione, e la terribile certezza di chi sa esattamente perché è arrivata la guerra.

«Katsuki...», la voce di Shota si spezzò per un istante. «Figlio del mio cuore... cosa hai fatto?»

Non ci fu tempo per rispondere: un'ascia volò nell'aria tra loro, mancando Katsuki per un soffio, e il tempo delle parole finì nel sangue e nel fuoco.

Eijiro emerse dalla capanna come un orso svegliato nel cuore dell'inverno, la sua lancia fu macchiata subito del sangue del primo nemico che aveva incontrato. I capelli neri volavano selvaggi attorno al volto, gli occhi brillavano di quella furia protettiva che lo rendeva terribile in battaglia.

«Padre!», gridò, lanciandosi al fianco di Shota mentre tre guerrieri nemici li circondavano. «Sono troppi!»

«Allora moriremo da uomini!» rispose quello, la sua ascia che danzava mortale nell'aria, ogni fendente una gola tagliata, ogni pugno alzato una testa spaccata. La punta di rame trovò il cuore di un altro attaccante, poi si girò per parare il colpo del secondo. «Proteggete le donne! Portate i bambini alle grotte!»

Ma era troppo tardi per creare strategie perché i Figli del Tuono erano ovunque, li travolgevano come un fiume in piena che aveva rotto gli argini. Le capanne iniziavano a bruciare, le fiamme che leccavano il cielo stellato mentre le grida dei morenti si mescolavano al crepitio del fuoco.

Katsuki combatteva come un pazzo, la colpa trasformata in furia cieca. Ogni nemico che abbatteva era una preghiera di perdono agli spiriti, ogni goccia di sangue versato un tentativo disperato di cancellare il suo errore... Ma sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza.

"È colpa mia!", pensava mentre la sua lancia trafiggeva la gola di un guerriero dipinto. "Tutto questo è colpa mia!"

Quando, col nemico a terra, tentò di estrarre la lancia, lo vide.

Il capo dei Figli del Tuono era un gigante in confronto a lui e a Eijiro, con le spalle larghe e cicatrici rituali che gli coprivano il volto e il petto come un abito di guerra. I suoi occhi brillavano di pura furia, e nella mano destra stringeva un'ascia di pietra nera.

E si stava dirigendo dritto verso Shota.

«PROFANATORE!» gridò il gigante, la voce che risuonava sopra il caos della battaglia. «HAI VERSATO IL SANGUE SACRO! HAI UCCISO IL DONO DELLA MADRE TERRA!»

Shota si voltò, comprendendo tutto in un istante. I suoi occhi trovarono quelli di Katsuki attraverso il fumo e le fiamme, e in quello sguardo c'era perdono. Perdono e una tristezza infinita per il figlio che aveva amato e che ora aveva condannato tutti loro.

Il gigante scagliò l'ascia prima che lui se ne rendesse conto.

L'arma roteò nell'aria come un uccello di morte, la lama di pietra così lucida che rifletteva la luce degli incendi. Shota provò a schivare, ma un altro nemico lo colpì al fianco con una lancia, facendolo barcollare.

L'ascia lo colpì al petto con un suono sordo, come quando il tuono rotola tra le montagne.

«NOOO!». Il grido di Eijiro  squarciò l'aria mentre vedeva il padre adottivo cadere in ginocchio, l'ascia conficcata tra le costole, il sangue che iniziava a macchiare la terra del cerchio centrale.

Divenne un demonio: la sua lancia si mosse come il fulmine, trapassando il gigante da parte a parte prima che l'uomo potesse nemmeno reagire. Poi si girò sui nemici circostanti, abbattendoli uno dopo l'altro con l'ascia di metallo, con una furia che non conosceva pietà né paura.

Ma quando l'ultimo attaccante cadde, era troppo tardi.

Si gettò in ginocchio accanto ad Shota, le mani che tremavano mentre tentava di fermare il sangue che invece filtrava tra le sue dita come acqua di sorgente, caldo e rosso nella luce delle fiamme. «Padre... Padre, resisti...»

Shota aprì gli occhi, già velati dalla nebbia della morte che si avvicinava. La sua mano si mosse verso l'arco decorato che portava sempre con sé, quello che era appartenuto al capo prima di lui, e a quello prima ancora. Le incisioni sui legno raccontavano la storia di generazioni di capi tribù saggi e coraggiosi. «Prendilo, Figlio del Sole.» sussurrò, la voce appena un respiro. «Ora... ora sei tu il capo...»

Eijiro  afferrò l'arco con mani insanguinate, sentendo il peso della responsabilità schiacciarlo come una montagna. «Non morire, ti prego... ho bisogno di te...»

«Vendetta...». La parola uscì dalle labbra di Shota come un ultimo respiro di vita. «Chi ha portato... maledizione... deve pagare...»

I suoi occhi si girarono verso Katsuki, che combatteva poco distante, e in quello sguardo morente c'era un'accusa silenziosa che bruciava più del fuoco stesso.

«Il cervo... sacro...» sussurrò Shota. «Lo sapevo... lo sapevo...»

E poi il grande silenzio.

Il Padre di tutti i cacciatori giacque immobile tra le braccia di Eijiro, gli occhi aperti verso le stelle che avevano guidato la tribù per generazioni senza numero. Attorno a loro la battaglia continuava, ma per un momento che sembrò eterno, il mondo si fermò.

Quando Eijiro alzò il capo,, lo sguardo fu diretto verso Katsuki come una freccia mortale.

Il biondo si era appena girato, il volto dipinto di sangue nemico e terrore, gli occhi che si riempivano di orrore quando vide il corpo immobile del padre adottivo.

«TRADITORE!». Il grido di Eijiro spaccò l'aria come un'ascia fa con la legna secca. «TRADITORE MALEDETTO! HAI VIOLATO IL PATTO SACRO! HAI UCCISO NOSTRO PADRE!» e puntò la lancia insanguinata verso Katsuki, come se fossero gli spiriti stessi ad accusarlo.

Katsuki sentì il mondo crollargli addosso: il terrore, la colpa, la vergogna... si mescolarono in una tempesta che gli offuscò la mente.

Doveva correre.

Doveva fuggire prima che Eijiro lo uccidesse, prima che i sensi di colpa lo divorassero vivo.

Ma mentre si girava per scappare, un guerriero nemico gli saltò addosso con un coltello di osso in mano, il volto dipinto con fuliggine e macchiato del sangue del suo popolo.

Eijiro scattò in avanti per raggiungerlo, ma altri due Figli del Tuono gli sbarrarono la strada. Dovette fermarsi a combattere, la furia che lo accecava mentre vedeva il fratello traditore lottare per la vita a pochi passi da lui.

Katsuki sentì la lama tagliare la carne del braccio sinistro, ma l'adrenalina e la disperazione gli diedero forza sovrumana. Afferrò il polso dell'attaccante e lo spezzò con uno scricchiolio secco, poi gli piantò il proprio coltello nella gola.

Il guerriero cadde gorgogliando sangue, ma ce n'erano altri che arrivavano.

Devo andarmene. Ora!

Si girò verso la sua capanna, la gerla già pronta che lo aspettava. Corse attraverso il caos della battaglia, schivando lance e frecce, saltando sopra corpi di amici e nemici. Le fiamme illuminavano la sua fuga come torce dell'inferno, il fumo gli bruciava i polmoni mentre correva verso la sua ultima possibilità di sopravvivenza.

Afferrò la gerla e se la caricò sulle spalle. Era pesante, ma conteneva tutto quello che gli serviva e che aveva preparato nei giorni in cui la colpa fresca gli rosicchiava l'anima come un verme.

Un altro nemico gli saltò addosso mentre usciva dalla capanna.

Questa volta il coltello di Katsuki fu più veloce. La lama di selce entrò sotto lo sterno e salì verso il cuore, uccidendo l'uomo sul colpo. Il sangue caldo gli schizzò sulla faccia mentre estraeva l'arma, mescolandosi al sudore e alle lacrime che non sapeva nemmeno di versare.

E poi corse.

Corse via dal villaggio in fiamme, dalle urla dei morenti, dal corpo immobile del padre che aveva amato più della vita stessa.

Corse via dalla rabbia di Eijiro e dalla vendetta che vedeva bruciare nei suoi occhi.

Corse via dalla sua vita, dalla sua famiglia, da tutto quello che aveva mai amato e che aveva condannato all'oblio.

Le sue gambe lo portarono verso le montagne buie, verso i sentieri che conosceva da bambino, verso un esilio che sapeva non avrebbe mai avuto fine.

Dietro di lui, il villaggio bruciava come una pira funeraria gigantesca.

E da qualche parte in quel inferno, un fratello giurava vendetta sui morti.

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