Capitolo 12 - Solo affari
𝑇𝑅𝐸 𝐴𝑁𝑁𝐼 𝑃𝑅𝐼𝑀𝐴
Vesper si abbandonò all'indietro sulla poltrona, massaggiando la fronte pesante. Il giradischi riproduceva uno dei suoi allegretti preferiti, ma concentrarsi con quel caldo era impossibile: dalle finestre spalancate non entrava un refolo di vento, il meccanismo a pale sul soffitto smuoveva aria bollente, la seta della camicia era fuoco sulla pelle. Strofinò gli occhi e fissò le poche parole impresse sul foglio incastrato nella macchina da scrivere, a malapena un paragrafo, ma erano rimaste solo le ultime pagine da trascrivere. Forse sarebbe riuscito a concludere prima del tramonto, aveva solo bisogno di un caffè con ghiaccio per riattivare i sensi e poi sarebbe tornato al lavoro, nessuna pausa, nessuna distrazione.
«Tua sorella ha il ciclo o cosa? Mi ha lanciato addosso un fottuto soprammobile!»
La voce improvvisa lo fece sobbalzare. Si voltò e vide Kolt scavalcare la finestra, accompagnato dal tintinnio metallico delle catenelle che aveva al collo. Aveva i capelli sciolti, una canotta nera che metteva in risalto i muscoli delle spalle e un sogghigno sfacciato che fece dimenticare a Vesper qualunque cosa stesse pensando prima. Le labbra si allargarono in un entusiasmo che lo rinvigorì all'istante – non troppo evidente, mai troppo evidente. Come se il cuore non cominciasse a battere più forte solo guardandolo, come se non sentisse la sua voce risuonare nell'anima, come se la sua presenza non gli togliesse il respiro più dell'afa.
Ruotò la poltrona di sbieco e accavallò le gambe, abbandonandosi sullo schienale in una finta posa rilassata da sono moderatamente felice di vederti qui. «Cos'hai fatto?»
«Io? Nulla, sono innocente come un bambino» disse Kolt, alzando le spalle mentre si rimetteva in piedi. «Fosfor mi ha visto entrare, ha tirato giù il solito monologo sul fatto che devo lasciarti in pace, che sono una cattiva influenza e menate varie, poi mi ha tirato addosso un... Cazzo ne so, una statuetta, credo? Mi ha fatto buttare fuori urlando!»
«E cosa le hai detto prima che ti cacciasse?»
«Che non è colpa mia se l'endometrio le distrugge le ovaie e diventa una pazza isterica per gli ormoni impazziti.»
Vesper si trattenne a malapena dal ridere. «Tanto per cominciare, non è così che funziona. Ho l'impressione che tu non sappia esattamente cos'è l'endometrio.»
«Scusa tanto, non tutti hanno la schiera di insegnanti privati del ricco paparino.»
«Hai mai pensato che mia sorella potrebbe essere meno ostile nei tuoi confronti se la trattassi in modo più cortese? Quantomeno rispettoso.»
«Che palle, Vi. Così non è divertente per un cazzo. E comunque ha iniziato lei, quindi—»
«Vesper! Non osare farlo entrare in casa!»
La voce di Fosfor lo raggiunse insieme al suono dei passi rapidi con cui calpestava le scale. Vesper massaggiò la fronte in un respiro lento, fece cenno a Kolt di aspettare e poi uscì in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle. Non si scontrò con sua sorella per un soffio: era già lì davanti, le braccia rigide lungo i fianchi e l'espressione furiosa. Gli occhi si fecero sottili quando guardò la porta chiusa alle sue spalle, e sbuffò come un toro infuriato.
«Lo so che è lì dentro, Ves. Hai cinque minuti per buttarlo fuori o chiamo la sicurezza.»
«Gli ho chiesto io di venire, Fifì. Sai che lo fa apposta per darti fastidio, non lo pensa davvero. Lascialo perdere.»
«Sei tu che devi lasciarlo perdere. È un coglione!»
«Lo so.»
«Se stai per aggiungere qualcosa come "ma è il mio coglione" vado a rimettere» lo anticipò Fosfor, incrociando le braccia al petto. «Non state insieme, non ci scopi neanche, non puoi continuare a morirgli dietro. Capisco perché ti piace, davvero, ci sono passata anch'io: è un gran figo e quando vuole sa come farti perdere la testa, ma è tutto lì. Meriti di meglio, Ves. Questa stupida cotta è durata anche troppo, devi togliertelo dalla testa.»
Vesper respirò a fondo. Kolt era il meglio. Era un coglione, sì, ma lo amava anche per quello. Soprattutto per quello. Perché sapeva essere fastidioso e irresistibile al tempo stesso, perché era divertente anche quand'era pessimo e lo faceva sentire vivo, felice, normale. Lo amava perché era il sole e bruciava, bruciava tanto da farlo sciogliere, ma non poteva vivere senza la sua luce e avrebbe sempre preferito consumarsi al suo fianco.
«Sì, beh» borbottò soltanto, passandosi una mano tra i capelli. «Non credo che succederà.»
«Santo il Signore della Luce, Ves. Quello lì ti farà uccidere, lo sai, vero? Ti ha già fatto finire in ospedale, la prossima volta potrebbe andare peggio!»
«Non è stata colpa sua.»
«Ti ha portato lui in quello squallido locale, certo che è colpa sua! Non puoi andare in posti così affollati, è pericoloso e lui dovrebbe saperlo. Ti ha fatto scappare dalla finestra, sante stelle! Del primo piano! Non ha alcun riguardo nei tuoi confronti.»
«Almeno lui mi tratta come una persona, non come l'incarnazione della mia malattia. Voi sapete fare altro, oltre a dirmi cosa non posso fare?»
Fosfor spalancò gli occhi e l'irritazione si addolcì nelle tinte di pietà e senso di colpa mescolate insieme. «È per te che lo faccio, per tenerti al sicuro» sussurrò, cercando la sua mano. Lui lasciò che la trovasse, che la stringesse nella sua. «Non voglio che ti accada nulla di male, Ves. Solo questo. Sai che ti voglio bene, vero?»
«Lo so. Anch'io ti voglio bene. Ma non sono più un bambino, e se ci tieni a me devi anche rispettare le mie scelte.»
«Ma Kolt è—»
«La mia scelta. Sarà sempre la mia scelta.» Sorrise mentre lo diceva, e tenne gli occhi fissi nei suoi. «Gli ho davvero chiesto io di venire, Fifì. Per favore.»
Fosfor si sciolse in un sospiro, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Digli che, se dovesse succederti qualcosa, sarà la volta buona che gli spacco il naso. Racconterò a papà come stanno le cose e saranno affari suoi.»
Fosfor gli scoccò un bacio sulla guancia, poi se ne andò. Vesper chiuse la porta dietro di sé quando tornò in camera – a chiave, nel caso sua sorella decidesse idea o venisse a controllare. Era imbarazzante quando aveva tredici anni e lo era ancora di più ora che ne aveva diciotto, ma "non sono più un bambino" era la parte del discorso che sua sorella dimenticava con più facilità.
La musica si era fermata. Il braccio del giradischi era sollevato e Kolt stava frugando nel mobiletto sottostante, sfilando e rimettendo a posto una copertina dietro l'altra fin quando non trovò quella che fece distendere le sue labbra in un sorriso. A Vesper bastò guardare il rosso vivo dello sfondo per riconoscere che era uno dei dischi che gli aveva regalato lui – prestato, aveva detto, per avere qualcosa di buono da ascoltare quando andava a trovarlo. Vesper aveva finto di credergli, Kolt di non sapere che mentiva.
«Tua sorella dovrebbe ringraziarmi.» Kolt sfilò il disco dalla custodia e lo posizionò sul piatto. «È molto più figa quand'è incazzata, me lo fa venire duro all'istante.»
«Grazie, è proprio l'informazione che speravo di ricevere.»
Tutti preferivano Fosfor a lui, ma Vesper era invidioso di lei solo quand'era Kolt ad apprezzarla. Quel sentimento gli raschiava ancora il petto ogni volta che lo sentiva fare uno di quei commenti, poi lo vedeva sorridere e pensava solo a quanto fosse fortunato per essere lì ad ammirarlo. Era Fosfor quella che glielo faceva venire duro, eppure Kolt non aveva esitato a fare la sua scelta quando lei l'aveva minacciato di bandirlo dal suo letto se non avesse smesso di frequentare Vesper. Non mi piace chi mi dice cosa devo fare, aveva detto, ma Vesper avrebbe tenuto stretta al cuore l'idea che l'avesse fatto per lui.
«Perché volevi vedermi?» Kolt azionò l'interruttore del giradischi e gli ingranaggi sul fianco cominciarono a muoversi, facendo abbassare il braccio mentre il piatto cominciava a girare.
Il rullo della batteria riempì la stanza, seguito da contrabbasso e trombone in un ritmo vivace che le rapide note di pianoforte rendevano imprevedibile. Gli piaceva quella musica così spontanea e ancora di più gli piaceva vedere Kolt muoversi a tempo, facendo oscillare il capo in rapidi schiocchi di dita. Vesper immaginò di venir trascinato da lui su una pista da ballo, di danzare mano nella mano tra saltelli e giravolte, e solo quando Kolt gli rivolse lo sguardo si rese conto che non aveva ancora risposto.
«Volevo salutarti prima che partissi per Rustown.»
Gli diede le spalle con la scusa di chiudere il taccuino. La sua voce era abbastanza ferma? Signore della Luce, quant'era difficile mostrare indifferenza. L'entusiasmo lo stava divorando, e la paura, ma ormai aveva gettato l'amo e tutto ciò che poteva fare era andare avanti. Sentì Kolt che si spostava alle sue spalle, chinandosi a cercare il suo sguardo, e seppe di aver catturato il suo interesse.
«E tu come fai a saperlo?»
«Ormai dovresti aver capito che so molte cose.»
«Ma come fai a sapere questo? So di essere irresistibile, però cominciare a spiarmi mi sembra un po' eccessivo. Da quando sono diventato la tua ossessione?»
Sei sempre stato la mia ossessione.
«Sono gli affari degli Ebon Marauders che sto spiando, non te» disse Vesper, concedendosi di guardarlo. Quel sorriso intrigato gli faceva venire voglia di baciarlo – non così in fretta, non ancora. Aveva trascorso troppo tempo a pianificare quel giorno per bruciare tutto a un passo dal finale. Aveva finalmente tra le mani un'informazione con cui tentare il tutto e per tutto, non l'avrebbe sprecata. «So che ti hanno ingaggiato per rintracciare Austin Kleen, un membro attualmente disperso che potrebbe o non potrebbe aver deciso di cambiare fazione, e so che le ultime voci lo collocano nei bassifondi di Rustown.»
«Ma che bravo, Blackstar! Non è che per caso sai anche dove si trova? Quello sì che sarebbe utile.»
«In effetti, sì. So qual è la gang che lo ha reclutato, dove si trova il suo rifugio e persino cosa l'ha spinto a tradire gli Ebon Marauders.» Vesper tirò fuori dal cassetto una cartellina tenuta chiusa da un laccio, la agitò davanti agli occhi di Kolt e poi la appoggiò sulla scrivania. «Tutto quello che ti serve sapere è qui dentro.»
Kolt liberò uno sbuffo incredulo. «Come cazzo hai fatto a scoprirlo così in fretta?»
«Il nome Aureli apre più porte di quanto possa fare il tuo. Alle gang piace litigare per la città, ma tutti sanno chi la controlla davvero» disse Vesper. Kolt allungò una mano verso la cartellina, ma lui fu rapido ad afferrargli il polso. «Non ho detto che potevi prenderla.»
«E perché me ne hai parlato, allora? Volevi sbattere il cazzo sul tavolo e far vedere quanto ce l'hai grosso?»
«Una persona che stimo molto mi ha suggerito che non bisogna mai fare qualcosa gratis.»
Kolt liberò un fischio di ammirazione, lo sguardo che brillava di vivace curiosità. «La stellina ha imparato fin troppo bene. D'accordo, se vuoi giocare, giochiamo. Hai un lavoretto da affidarmi? Consideralo fatto. Dammi qualsiasi obiettivo, un nome, un luogo, un oggetto... Qualunque cosa tu abbia in mente sono certo di poterlo fare. Ho parecchie abilità in vendita e sono il migliore in tutto, perciò spara: cos'è che vuoi?»
Vesper prese fiato fino in fondo, serrò le labbra perché le sentiva tremare. Doveva dire solo due parole eppure aveva il petto bollente, le mani gelide, il cuore che batteva così forte che non sentiva più la musica. Sarebbe stato più facile attraversare la città saltando di tetto in tetto e se Kolt avesse detto no sarebbe caduto, ma almeno l'avrebbe fatto cercando di volare.
«Te» sussurrò, incatenando lo sguardo al suo. «Voglio te.»
«Rallenta, Blackstar. Un lavoretto è un conto, ma non ho intenzione di affiliarmi a una gang, e lo stesso vale per la tua famiglia.»
«Non la mia famiglia, io.» Vesper avanzò e gli sembrò di fare un passo sul bordo del baratro, il viso di Kolt così vicino, il vuoto altrettanto. «Io. Ti voglio.»
Kolt lo guardò e poi lo guardò. Vesper vide nei suoi occhi l'esatto momento in cui la verità lo raggiunse, e le sue labbra si schiusero in un'espressione di stupore impareggiabile.
«Tu.» Kolt lo indicò e lui annuì. «Vuoi venire a letto con me?»
«Sì.»
«Mi stai davvero prendendo per il culo!»
Scoppiò a ridere e Vesper avrebbe voluto sprofondare, ma era una risata incredula e non una da mi fai schifo, perciò si costrinse a mantenere neutra la sua espressione mentre lui vagava per la stanza.
«Mi risulta che ci sia anche quello tra le tue abilità in vendita.»
«Sì, ma per le donne. Non ho clienti maschi, non mi piacciono gli uomini.»
Sì, quello lo sapeva. Kolt lo diceva spesso, però c'erano anche le cose che faceva, gli sguardi che gli lanciava, le frasi allusive, i gesti ambigui e quei maledetti sorrisi, e non sempre quello che Kolt diceva corrispondeva alla verità. Quasi mai. Non aveva ancora detto no, e Vesper lo conosceva bene a sufficienza da sapere che senza un rifiuto la partita era ancora aperta.
«Peccato, mi sembrava avessi detto di riuscire in qualunque cosa.»
«Ci riuscirei eccome!» Kolt lo raggiunse in passi rabbiosi. Vesper trattenne un sorriso di vittoria quando si trovò schiacciato tra lui e la scrivania, il suo corpo bollente che lo sovrastava, lo sguardo così intenso da paralizzarlo. «Potrei farti venire senza nemmeno toccarti, finiresti per supplicarmi di sbattertelo dentro finché non perdi la voce urlando il mio nome. Potrei farti avere la scopata migliore della tua vita, ti farei godere come mai prima d'ora.»
«E allora perché non lo fai?» Quello era il momento per sorridere, un trucco che aveva imparato da lui. «Hai paura che potrebbe piacerti?»
Kolt si allontanò in uno sbuffo ironico, ma aveva distolto lo sguardo e tanto bastava.
«La mia è un'offerta di lavoro, significherebbe solo che sai riconoscere un ottimo affare quando lo vedi» continuò Vesper, rigirandosi l'anello che teneva al medio. Anche quello gliel'aveva dato Kolt – per esercitarsi con la prestidigitazione, aveva detto. Sapeva che non era vero, lo sapevano entrambi, ma se era necessaria una bugia a tenerlo con sé allora Vesper ci sarebbe annegato volentieri. «Con il mio nome e le mie conoscenze potrei rivoluzionare il tuo lavoro, e ho pensato che magari... magari potremmo esserci utili a vicenda.»
Kolt lo squadrò da capo a piedi e rilassò la postura rigida in un respiro lento. Si passò una mano sul viso e poi sulla nuca, sistemando le collane al collo come se fossero diventate insopportabili. «Cos'altro c'è sotto?»
«Perché dovrebbe esserci qualcosa?»
«Perché una scopata non vale quel genere di informazioni e so che tu non sei un idiota. Potresti pagare chi vuoi.»
«Non vedo perché dovrei pagare qualcun altro quando posso avere te. Sei o non sei il migliore in quello che fai?»
Lui sghignazzò. «D'accordo, questa te la sei giocata bene, ma non riuscirai a comprarmi solo con le lusinghe.»
«A quello servono le informazioni.» Vesper sfiorò la cartellina sulla scrivania, rigirandosi tra le dita le estremità del cordoncino che la chiudeva. «È uno scambio equo anche per me. Prenditi pure gioco dei miei sentimentalismi, ma non voglio che la mia prima volta sia con uno sconosciuto. Voglio che ne valga la pena, che significhi qualcosa.»
Si morse un labbro. Avrebbe dovuto fermare il discorso a metà, ma il resto delle parole era scivolato fuori dalla sua bocca. Alzò lo sguardo verso Kolt, la sua espressione non era cambiata ma nei suoi occhi c'era una luce diversa, e Vesper seppe che aveva capito. Sapeva cosa c'era sotto, forse l'aveva sempre saputo, ma erano entrambi troppo impegnati a fingere di non aver capito niente.
«Tu sei stato il primo in molte cose.» Abbandonò la cartellina e si allontanò dalla scrivania, muovendo lenti passi verso di lui. «Prima volta sul tetto, prima sigaretta...»
«Prima fuga di nascosto da casa» ridacchiò Kolt. Non gli andò incontro ma neppure indietreggiò, e Vesper continuò a camminare.
«Primo orecchino.»
«Prima sbronza.»
«Prima truffa degna di tale nome.»
«Cazzo» soffiò Kolt, le labbra incurvate in un sogghigno così vicine a lui. «Ora mi pento di non essere stato anche il tuo primo bacio.»
Vesper trattenne un respiro a metà, il petto sul punto di squarciarsi sotto la spinta del suo cuore. Signore della Luce, come poteva ignorare quello? Il modo in cui Kolt fissava le sue labbra, la malizia del suo sorriso, il tono languido con cui aveva parlato... Lo voleva, lo voleva tanto quanto lui, ma l'attimo dopo sbattè le palpebre e drizzò il busto, prendendo le distanze.
«Per la collezione, intendo» borbottò in una scrollata di spalle. «Avrebbe... Sai, no, fatto numero. È una bella lista di traguardi.»
«Potresti aggiungere questo, alla collezione» disse Vesper, ma il sorriso che tentò di abbozzare venne fuori a stento, così lo abbandonò. «Kay, io... Non voglio una persona qualunque. Voglio te. Voglio qualcuno che non mi tocchi come se fossi fatto di cristallo.»
Kolt liberò un sospiro pesante e a Vesper sembrò che fosse sul punto di dire qualcosa, ma cambiò idea e gli diede le spalle. Aveva osato troppo? Non avrebbe dovuto scoprirsi tanto, sarebbe stato meglio continuare a stuzzicare il suo ego e renderla una di quelle scommesse a cui non era in grado di resistere, oppure—
«Ho tre regole.» Kolt alzò il braccio del giradischi e la musica si interruppe in un brusco suono strisciante, poi calò il silenzio. «Numero uno: sono solo affari. La tua è una proposta vantaggiosa e nient'altro, non farti strane idee e non dirlo in giro, chiaro?»
Vesper boccheggiò, sgranando gli occhi. «Chiaro.»
«Numero due: scordati che faccia le cose da fighetta. Non lo tocco, non lo prendo in bocca, figuriamoci in culo. Se ti sta bene è così, o non se ne fa nulla.»
«M-mi sta bene.»
«Numero tre...» Kolt avanzò, tenendo lo sguardo fisso su di lui fin quando non fu abbastanza vicino da sussurrare. Aveva addosso un'espressione così seria che Vesper stentava a riconoscerlo. «So quello che vuoi, Vesper. Ma se ti faccio male in qualsiasi modo devi dirmelo, devi fermarmi subito. D'accordo?»
«D'accordo» mormorò lui, così piano che dubitò di aver parlato davvero finché non vide Kolt annuire.
«Allora abbiamo un accordo. Ci sto.»
«Ok» disse Vesper, e si rese conto che era l'unica parola che riusciva a pronunciare. «Ok.»
Il suo corpo aveva dimenticato come muoversi, come respirare, la vista non riusciva più a mettere a fuoco e i suoi pensieri erano straripati fino a sommergerlo. Non si era accorto di quanta tensione avesse accumulato fin quando quelle parole non l'avevano rilasciata, e insieme ad essa era svanita ogni traccia di energia. Aveva immaginato quel momento così tante volte che non sembrava fatto per esistere fuori dalle sue fantasie, e forse era così, forse era solo un sogno più realistico del normale da cui si sarebbe presto svegliato. Doveva esserlo, perché altrimenti Kolt gli aveva detto sì e lui stava facendo la figura dell'idiota, immobile dopo aver insistito tanto, a fissare il vuoto mentre riusciva solo a ripetere ok.
Sentì Kolt sghignazzare e sbattè le palpebre finché la sua immagine non tornò nitida ai suoi occhi. Aveva di nuovo la sua espressione di sempre, che era un po' faccia da schiaffi e un po' vorrei baciarti fino a soffocare.
«Devo rimettere su la musica o—?»
«Posso baciarti?»
Kolt sollevò un sopracciglio. Piegò la testa di lato, facendo tintinnare gli orecchini dorati che pendevano dai lobi. «Non è per questo che siamo qui?»
«Ti ho chiesto di venire a letto con me. Non è sottinteso altro, magari questo non—»
Kolt lo zittì premendo la bocca sulla sua. Una scarica gli attraversò il corpo e Vesper perse ogni capacità di pensare, schiuse le labbra e il mondo si ridusse al sapore della lingua di Kolt che danzava con la sua. Si sciolse tra le sue braccia e si accasciò contro il suo petto, l'aveva sognato così tanto che pensava di sapere tutto e invece non sapeva niente. Gli girava la testa per quant'era bello, avrebbe voluto vivere il resto dei suoi giorni con il respiro di Kolt mischiato al suo, l'odore di fumo che gli solleticava il naso, la sua mano affondata tra i capelli. E quando si staccò da lui, lasciandolo affamato d'aria, Vesper cercò i suoi occhi e se qualcuno gli avesse chiesto di che colore era il paradiso non avrebbe esitato a rispondere.
«Per chi mi hai preso?» soffiò Kolt sulle sue labbra. Forse era ancora stordito, ma gli sembrò di sentire la sua voce tremare. «Sono un professionista. Faccio le cose per bene o non le faccio.»
«Ok» disse Vesper. «Ok.»
Per il Signore della Luce, era davvero un idiota. Ma era un idiota fortunato, perché Kolt era lì, lo stringeva a sé e gli accarezzava il viso, gli aveva detto ci sto e che poteva baciarlo. Poteva baciarlo.
Chiuse gli occhi, tese il collo e lo baciò.
Come anticipato, ho accorciato il testo rispetto alla oneshot eliminando tutta la parte con Fosfor, purtroppo 😭
Mi piaceva molto il paragrafo in cui parlava di Kolt, o quando puntualizzava a Fosfor che lui lo tratta "come una persona, non come l'incarnazione della mia malattia" e lo definisce la sua scelta ç_ç "SARA' SEMPRE LA MIA SCELTA" ♥
Mi rendo conto che era un taglio necessario, perchè la sua presenza nel capitolo 11 aveva senso e qui la dinamica sarebbe stata ripetitiva, ma UFF. Spero che avrò modo di riciclare!
Nel frattempo vi do appuntamento al prossimo capitolo, che avrà ancora il POV di Vesper. Si va alla ricerca di informazioni, daje!
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