Capitolo 17 - Regina di cenere e macerie

𝐷𝑂𝐷𝐼𝐶𝐼 𝐴𝑁𝑁𝐼 𝑃𝑅𝐼𝑀𝐴


Il pugno di Realgar lo colpì al centro dello stomaco, spezzandogli il fiato. Kolt era migliorato a incassare, ma restò comunque senz'aria e le sue braccia non si mossero quando Realgar gli circondò il busto. Scalciò, ma si ritrovò presto ad agitare i piedi a mezz'aria e l'attimo dopo volava sopra la testa di Realgar.

Piegò la testa in avanti e alzò le braccia a proteggere il collo, cadendo di schiena sul ring. Quello che i Rascals avevano all'interno della loro base era vero, con imbottitura, tela elastica e tutto il resto, ma un atterraggio mal eseguito faceva comunque male. Una scarica di dolore si diramò lungo il suo corpo quando impattò contro il tappeto, e un lamento gli sfuggì dalle labbra. Realgar lo costrinse a toccare il ring con entrambe le spalle, Kolt tentò di alzarne una ma fu inutile. Era come cercare di smuovere una montagna. Come faceva a essere così forte? Era più grande di lui, ma era pur sempre una ragazza. E lui era un Dotai, Signore della Luce! Avrebbe dovuto essere più prestante di un comune essere umano, Gari se ne vantava di continuo, ma in sette mesi non era riuscito a sferrare un singolo pugno o a liberarsi da una sua presa.

Vagha contò fino a tre, poi fischiò la conclusione dell'incontro. Il primo era stato l'unico che lui e Realgar avevano affrontato di fronte a un pubblico: lei sosteneva che non sarebbe stata una sfida abbastanza interessante e che avrebbe cambiato idea se le avesse dimostrato il contrario, ma non c'era ancora riuscito.

«La tua faccia non è una sfida interessante» bofonchiò Kolt mentre Realgar scendeva giù dal ring, acclamata dai Rascals che erano lì ad assistere. Dorotea si alzò sulle punte per baciarla, poi si affacciò oltre il bordo del ring. Era così bassa che riusciva a malapena a poggiare le braccia, si vedevano solo il viso tondo e i corti capelli verdi pettinati all'insù.

«Datti una mossa, Scemolt.»

Kolt si accigliò. «Io faccio quello che mi pare, Lesbotea.»

«Ti ho detto che non è un insulto.»

«Ti ho detto che me ne sbatto il cazzo.»

Il respiro di Dorotea raschiò la sua gola in una specie di ringhio sommesso. «Sei solo invidioso perché sto con Rea.»

Kolt serrò le labbra, ma sentì comunque l'espressione accartocciarsi. «Figurati se mi interessa quella culona!»

«Che cazzo fai ancora lì, il sonnellino pomeridiano?» sbraitò Realgar, che stava radunando gli altri Rascals al centro della sala. «Fuori, che devo fare il culo a Yona!»

Kolt si alzò sbuffando, lo sguardo dritto davanti a sé per evitare quello di Dorotea. Legò i capelli in una coda – quando si erano fatti così lunghi da superare le spalle? – usando la bandana con il simbolo dell'ingranaggio spezzato che ogni Rascals portava al collo come riconoscimento. Una vera gang faceva tatuare il suo stemma ai membri, ma loro non potevano ancora considerarsi tale. No, beh, potevano; in strada chiunque poteva fare qualunque cosa, purché fosse in grado di affrontare le conseguenze. Come gruppo di ragazzini, i Rascals erano innocui... ma se avessero tentato di fare l'ingresso nel gioco dei grandi avrebbero anche dovuto fare i conti con le loro regole.

Escluso Kolt, i Rascals avevano solo diciotto membri, due dei quali si erano uniti dopo il suo arrivo. Lui non era certo di dover rientrare nel conteggio, dopotutto avrebbe lasciato il gruppo quando sarebbe riuscito a sconfiggere Realgar. Quel giorno sarebbe arrivato presto, doveva solo capire come fare. Era per quello che la osservava in continuazione, non certo perché avesse una cotta o qualcosa del genere. Dorotea doveva aver battuto la testa da qualche parte per tirar fuori una stronzata simile, a lui non piaceva nessuno e soprattutto non Realgar, che con tutti quei muscoli era praticamente un uomo. Stava persino con una ragazza – due, forse; quello non l'aveva capito bene. Kolt l'aveva vista limonare con una sconosciuta che non faceva parte dei Rascals, ma sembrava che a Dorotea stesse bene. C'era anche stato un ragazzo per un po', uno più grande, di una gang di quelle vere... Chissà che fine aveva fatto.

Comunque, non gli importava. Odiava lei e odiava i Rascals, che lo trattavano come fosse uno di loro. No, quello non gli dispiaceva, però voleva dire che tutti lo davano per spacciato, certi che sarebbe rimasto lì per sempre. Il risultato degli scontri era così ovvio che molti non si fermavano più a guardare, e la colpa era solo di Realgar, che era così forte e abile e carismatica e...

Perché sembrava che la stesse complimentando? Però lo era, maledetto il Lucente. Lo era persino più di lui – solo per il momento, ovvio – e di quello sì che era invidioso.

Kolt si accasciò su una sedia, trattenendo a stento una smorfia di dolore quando una fitta gli attraversò i muscoli. L'imbottitura era così consumata che era come sedere direttamente sul metallo, ma ci si doveva arrangiare: la sede dei Rascals era una vecchia palestra abbandonata, dai muri ingialliti e le finestre rotte, in cui l'aria era così densa di polvere che respirare raschiava i polmoni e la puzza restava attaccata al naso per giorni.

Realgar gettò via l'asciugamano con cui si era asciugata viso e collo, svuotò ciò che restava della sua borraccia e salì di nuovo sul ring. Non scommetteva quasi mai con gli altri Rascals, se non cose di poco conto, ma combatteva spesso e quasi ogni volta si aggiudicava la vittoria. Yona era tra i pochi che riuscivano a batterla, anche se non aveva mai provato a spodestarla. Né lui né Laresh, che era altrettanto abile. Kolt aveva chiesto loro il motivo, ma quando aveva detto che erano più forti di Realgar entrambi erano scoppiati a ridere.

Yona salì sul ring scavalcando il bordo, scivolando sotto la terza corda. Era il più vecchio e il più alto tra loro, con spalle larghe e una barba piena che lo faceva sembrare più grande dei suoi diciassette anni. Lui e Realgar cominciarono a girarsi attorno, molleggiando sulle ginocchia con le braccia larghe, poi Vagha fischiò l'inizio e si lanciarono uno sull'altro. Si afferrarono per le spalle, colpendosi a vicenda i fianchi con pugni decisi, le espressioni contratte mentre attorno a loro i Rascals urlavano in un tifo esaltato. Detestava ammetterlo, ma i suoi scontri lampo erano patetici in confronto a quello. Yona si gettava su Realgar con la potenza di un treno, lei lo lanciava da una parte all'altra del ring come fosse un sacco della spazzatura e ogni volta che uno dei due finiva toccava terra con la schiena tutti contavano insieme a Vagha, certi che quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe pronunciato il tre, e invece non arrivava mai. Kolt aveva la sensazione che un pugno di Yona gli avrebbe rotto qualche costola, Dotai o non Dotai, ma Realgar era...

Non era una questione di mera potenza. Certo, aveva più muscoli di lui ed era abbastanza forte da tenere testa a un mostro come Yona, però c'era anche tutto il resto. Il modo in cui lo afferrava per spingerlo a terra, contorcendosi per rendergli difficile rialzarsi; il modo in cui schivava o si assicurava di prendere i colpi nel modo meno problematico possibile: il modo in cui si dava lo slancio sulle corde o saltava per il ring come un'acrobata.

Realgar si issò su un paletto, evitando per un soffio l'assalto di Yona. Corse in equilibrio precario sulla corda fino a raggiungere quello successivo, poi saltò. Kolt la osservò roteare a mezz'aria col fiato sospeso, e sussultò quando si abbatté contro Yona e lo gettò a terra. Così impetuosa, inarrestabile, una brace che non smetteva mai di ardere.

«Ammettilo, Rea ti piace» disse Dorotea, avvicinandosi al suo orecchio. Quando si era seduta al suo fianco? «Sei cotto come un uovo, ma non ti fai avanti perché sei un pollo. Po-popo-po!»

Kolt avvampò, chiudendo la bocca che non si era accorto di aver aperto. «Ma che cazzo vuoi? È la tua fidanzata, se non la vuoi lasciala invece di provare a smollarla a qualcun altro!»

«Ottuso come tutti i sayfani.»

«Sei sayfana anche tu, smartass

«Io però l'ho capito subito» ribatté, drizzando il busto. «È semplice. A volte il meccanismo ha due ingranaggi, a volte no, e se provi a bloccarlo non funziona niente. Se ho tanti amici, perché non posso avere tante fidanzate? Perché non può averle Rea?»

Lui roteò gli occhi in uno sbuffo. Non gli sembrava così assurdo, ma non gli piaceva l'idea di una fidanzata, figurarsi più di una. I legami erano catene, Gari lo ripeteva sempre: gang, amici, fidanzati, famiglia... più t'importava e più ti trascinavano a fondo. Persino il loro legame sarebbe stato reciso, quando Kolt avesse imparato il mestiere, e allora sarebbero stati l'un per l'altro solo una risorsa potenzialmente utile. Non era il suo allievo, solo il suo investimento.

Quello era semplice. Quello era gestibile. Se non aveva catene non avrebbe trascinato a fondo nessuno, perciò aveva seppellito quelle che aveva insieme al suo nome.

Un boato entusiasta si levò dal gruppo che costeggiava il ring. Realgar si era di nuovo arrampicata dal paletto e saltando aveva afferrato in volo la testa di Yona, tirandolo giù con lei. Il conto di Vagha arrivò a tre e l'incontro si chiuse con un lungo soffio nel fischietto.

Realgar si slegò le treccine dalla coda, scuotendo il capo per farle scivolare ordinate dietro la schiena, poi si voltò verso di lui. No, verso Dorotea che applaudiva e la incitava, ma non aveva importanza. Snudò i denti in un sorriso vittorioso e il cuore di Kolt si rigirò nel petto quando la vide ammiccare, cominciando a battere così forte che temeva si sarebbe potuto udire anche dall'esterno.

Ok, forse non la odiava. La ammirava, ecco, perché solo uno stupido avrebbe negato che ci sapeva fare e lui non era uno stupido. E gli piaceva, ma solo un pochino. E sì, aveva fantasticato su di lei, aveva baciato Vagha pensando a lei, e la guardava mentre si allenava perché indossava solo i pantaloncini corti e una fascia nera sul seno, ma non per questo voleva essere il suo fidanzato. Era solo una bella ragazza, e travolgente, energica, divertente, cazzuta e—

«Po-popo-po!»

Dorotea rise al suo fianco, le braccia piegate a imitare un movimento d'ali. Kolt bofonchiò l'ennesimo insulto e si tirò su, senza voltarsi a guardarla. Doveva sconfiggere Realgar, non provarci con lei, l'unica cosa importante era riprendersi la sua libertà.

Anche se, in effetti, non è che gliel'avesse proprio tolta. Quando Realgar gli aveva detto che avrebbe dovuto seguire i suoi ordini, Kolt aveva temuto che l'avrebbe comandato a bacchetta, umiliandolo con le richieste più ridicole, invece lo trattava come qualunque altro membro dei Rascals. Non era poi così male partecipare ai loro furti, avere un ruolo durante gli scontri o anche solo trascorrere il tempo con loro. Quand'era con Gari non aveva molto tempo per divertirsi, e quando lo lasciava da solo... Beh, era da solo.

Ok, non odiava Realgar e non odiava neppure i Rascals, ma si rifiutava di essere costretto a stare lì. Doveva trovare un modo per sconfiggerla, per apprendere quei segreti di lotta che sembravano noti solo a lei e—

Si fermò. Quante volte gliel'aveva ripetuto Gari? Il modo migliore per vincere era rubare – soldi, conoscenza, abilità. Tutto ciò che avevano gli altri poteva averlo anche lui, tutto ciò che facevano gli altri poteva farlo anche lui.

«Rea!»

«Non ci provare» disse lei, la voce soffocata nell'asciugamano con cui stava tamponando il viso. Lo passò sul collo in un lento sospiro, lanciando a Kolt un'occhiata di sbieco. «Si era detto uno al giorno. Se vuoi farti pestare di nuovo, torna domani.»

«Non voglio sfidarti. Voglio che mi alleni.»

Realgar sgranò gli occhi, ma l'attimo dopo scoppiò a ridere. «Io? Cazzo, ma sei serio?»

«Sei o non sei il capo? Posso chiedere a Yoona o a Laresh, ma tu hai vinto più volte di loro, conosci mosse che nessun altro riesce a fare, butti giù ragazzi grandi il doppio di te. Voglio riuscirci anche io. Voglio imparare dal migliore, e la migliore a combattere sei tu.»

Per ora, aggiunse nella sua testa. Realgar l'aveva sconfitto decine di volte, ma non erano alla pari: lui era più giovane, più inesperto, se si fosse allenato al suo stesso modo di certo l'avrebbe superata. Avrebbe smesso di ridere di lui, l'avrebbe pregato di restare nei Rascals, sarebbe stata costretta a riconoscere il suo valore.

«Almeno con la lingua sei migliorato, eh?» Realgar gettò l'asciugamano umido sulla panca, poi afferrò la borraccia e bevve a grandi sorsi.

Kolt avrebbe voluto lamentarsi del fatto che non gli aveva risposto, ma quel pensiero sfumò rapido com'era arrivato. Un rivolo d'acqua era scivolato dalle labbra di Realgar e lui si ritrovò a fissarlo, seguendolo con lo sguardo nel suo percorso lungo il mento, giù per la gola che si muoveva a ogni sorso, fino a perdersi tra i seni fasciati stretti. Deglutì, umettandosi le labbra. Aveva la bocca secca e voleva dissetarsi con quell'acqua. Voleva seguire quella goccia lungo tutto il corpo di Realgar, partire dalle labbra e scendere sempre più in basso, tuffarsi nel suo seno e—

«Ti porto una bacinella per la bava o te la prendi da solo?»

Kolt trasalì, sentendosi avvampare mentre Realgar sghignazzava. «Non stavo—! Non mi serve. E tu non hai risposto!»

«Scordatelo» tagliò corto Realgar. «Ti sembra che ti alleno così puoi battermi? Non me ne viene nulla.»

«Dimmi cosa vuoi in cambio e lo avrai.»

«Se voglio qualcosa te lo ordino, non devo darti niente in cambio. Peggio per te che hai perso la scommessa.» Realgar si chinò su di lui, gli occhi viola ancora più intensi sotto le luci al Sihir. «Puoi sempre tirarti indietro, eh. Ti basta ammettere che sei un codardo che si riempie la bocca di parole ma poi non riesce a concludere nulla.»

Gli tirò una schicchera sulla fronte e i Rascals abbastanza vicini da ascoltare scoppiarono a ridere. Kolt notò che si era avvicinata anche Dorotea, e con la coda dell'occhio la vide mimare di nuovo il verso del pollo mentre muoveva le braccia piegate.

No, quell'opzione non era sul piatto. Lui era il pupillo di Gari, non aveva bisogno di fuggire da una scommessa persa, non importava quanto fosse degradante. A costo di farsi buttare al tappeto ogni singolo giorno, avrebbe trovato il modo di uscirne con le sue sole forze e alla fine ne sarebbe uscito vincitore.

Gonfiò il petto, testa alta e spalle dritte. «Facciamo una scommessa, allora. Se vinco io mi insegnerai a combattere, se vinci tu...»

Arricciò le labbra, abbassando lo sguardo per pensare. Cos'avrebbe messo Gari sul piatto? Doveva essere qualcosa che la stuzzicasse a sufficienza da accettare, ma alzare troppo la posta l'avrebbe reso sospetto. Doveva essere qualcosa di fattibile ma che Realgar non poteva chiedergli, un ordine che non avrebbe mai osato dare.

Sorrise. «Se vinci tu, ti farò incontrare Gari.»

I Rascals ammutolirono. Lo stupore negli occhi di Realgar non durò che un istante, poi curvò le labbra in un sorriso beffardo.

«Stronzate.»

«Posso portare a casa chi voglio, ti dico appena torna in città e ci andiamo.»

Gli altri Rascals cominciarono a borbottare. Kolt era certo che qualcuno avesse cominciato a combattere dopo che Realgar aveva lasciato il ring, ma non c'erano suoni di scontro né urla di tifoserie, solo bisbigli che si domandavano se fosse un folle o un bugiardo. In effetti, non era certo che Gari avrebbe gradito; in teoria si riferiva alle ragazze con cui Kolt avesse voluto appartarsi nella sua cameretta, non era previsto che avessero a che fare con lui in alcun modo. In pratica, però, non l'aveva specificato.

C'erano ordini a cui Kolt non doveva disobbedire, ma altri erano una sorta di esame, una sfida: poteva fare ciò che voleva, ma doveva trovare un modo per nascondere le sue malefatte, una giustificazione, un trucco per rigirare la cosa a suo vantaggio. Se Gari la giudicava abbastanza buona – non era riuscito a ingannarlo davvero neanche una volta – allora lo lodava, invece di punirlo. Quella volta, comunque, non sarebbe stato necessario. Non aveva intenzione di perdere.

Anche Realgar doveva essere indecisa se puntare su verità o follia, perché lo fissava come se volesse scuoiarlo, spaccargli il cranio e leggere i suoi pensieri direttamente dal cervello. «Qual è la scommessa?»

Kolt si guardò attorno in un mormorio pensoso. Se avesse scelto qualcosa in cui eccelleva, Realgar avrebbe rifiutato; al contrario, avrebbe rischiato di perdere. Al mondo esisteva un solo criterio oggettivo, indifferente a vantaggi, abilità ed esperienza: la fortuna.

«Romperò quella lampadina usando una pistola.» Kolt indicò una delle luci al Sihir appese alla parete, un semplice bulbo di vetro rotondo collegato a tubi sottili. «Tipo il gioco che fanno in piazza Verdenia, che mettono un solo proiettile e se ti va bene, ti va bene.»

«Certo, così puoi barare col tuo Naru.»

«Non lo userò, lo giuro sugli Angeli! Puoi controllare la pistola come ti pare, se sparo col Naru il proiettile lo trovi tutto intero.»

Realgar incrociò le braccia al petto e lo fissò a lungo, poi annuì. «D'accordo, Golden Boy. Un solo tentativo. Vediamo se i tuoi Angeli te la mandano buona.»

Dorotea controllò la pistola da ogni angolazione, la aprì e la richiuse, fece ruotare il tamburo, sparò a voto. Nessuno dei Rascals aveva una pistola tranne lui, molti di loro non ne avevano mai vista una vera da così vicino, ma lei comprendeva i meccanismi tecnologici come se i loro segreti fossero scritti nelle sue ossa. Perciò quando decretò che la rivoltella era in regola e che non c'era nulla di strano nei proiettili, Realgar diede la sua approvazione a continuare.

Fu Dorotea a caricare il tamburo e ruotarlo, Kolt impugnò la pistola con entrambe le mani. Era in grado di sparare solo con una, quando usava Altershot non doveva neanche preoccuparsi del rinculo, ma non era necessario che gli altri lo sapessero. Un altro degli insegnamenti di Gari: mai mostrare più carte del dovuto, scoprire il Sole quando nessuno se l'aspetta.

Fissò la lampadina, la canna puntata contro la luce dalla vaga sfumatura violacea. A volte il Sole era il suo Naru, ma a volte era la sua astuzia: perciò alzò la mano armata sopra la sua testa, prese la mira e poi la lanciò. Tra i sussulti sorpresi dei Rascals, la rivoltella roteò a mezz'aria in una lunga parabola, si schiantò contro la lampadina e cadde giù insieme a una pioggia di piccole schegge di vetro.

Una mano l'afferrò per la collottola prima che potesse riprendere fiato, e si ritrovò faccia a faccia con il ringhio di Realgar.

«Che cazzo era quello?!»

Deglutì, sforzandosi di mantenere un'espressione neutra. «Ho vinto la scommessa.»

«Non hai sparato!»

«Non ho mai detto che l'avrei fatto. Ho detto: romperò la lampadina usando la pistola, ed è quello che ho fatto.»

«Non prendermi per il culo!» Realgar lo strattonò con forza, tirandolo per la maglia. «Hai parlato di proiettile, hai detto che se avessi sparato con il Naru me ne sarei accorta.»

«Beh, ma è vero» disse lui. Non provò neppure a liberarsi, tenne le braccia larghe e ignorò il cuore che si dibatteva nel petto. «Dottie ha messo un solo proiettile, mai detto che le cose fossero collegate. E non ho sparato con il mio Naru, quindi non ho mentito neanche su questo. Romperò la lampadina usando la pistola, se siete tutti così ottusi che avete pensato a una sola soluzione non è mica colpa mia.»

I Rascals esplosero in un coro di lamentele e insulti, sguardi feroci sotto le sopracciglia aggrottate e mani che si agitavano in segni di disprezzo e minaccia – ma non Realgar. Realgar restò a fissarlo in silenzio, i suoi occhi erano braci così ardenti che Kolt sentì l'intero corpo andare a fuoco.

«Accetta la sconfitta, Ember» la stuzzicò Kolt. «Oppure ammetti che sei solo una stupida che sa solo prendere a pugni le cose quando non le capisce.»

Realgar assottigliò lo sguardo. Prese un respiro profondo e Kolt capì di aver osato troppo; si strinse nelle spalle, pronto a incassare il pugno che sarebbe arrivato, invece la risata di Realgar gli esplose nelle orecchie. Sentì la presa sulla sua maglia allentarsi, e quando le rivolse lo sguardo non c'era più traccia di rabbia nella sua espressione – anzi, aveva un sorriso così ampio da snudare i denti e, dannazione, quando rideva era ancora più bella.

«D'accordo, Golden Boy, questa è tua. Cominciamo domani.»



Combattere sotto il sole cocente d'estate era stata una pessima idea. Era a petto nudo, ma il sudore colava lungo la pelle e i capelli si erano incollati a fronte e guance – maledetto il giorno in cui aveva deciso di tagliarli – e le mani erano appiccicose, roventi, così come il viso e il petto. Respirava a bocca aperta seguendo il ritmo frenetico del suo cuore, gli occhi che non perdevano di vista Realgar per un solo istante. Ogni senso, ogni fibra della sua attenzione era proiettato su di lei: sentiva solo il suono dei suoi passi, la pelle bollente contro la sua, la tensione dei muscoli mentre contrastava la sua forza. Scorse un'apertura dopo l'ultimo scambio e si lanciò senza pensare: l'attimo prima correva verso di lei, quello dopo l'aveva avvolta con le braccia e gettata a terra, molleggiando con lei sul materasso d'allenamento che avevano posizionato sul terrazzo.

«Uno.» Spinse un braccio contro il suo petto per trattenerla, assicurandosi che le sue spalle restassero inchiodate al suolo. «Due.»

«Tre» concluse lei, afflosciandosi in un sospiro. «Cazzo.»

Kolt la liberò dal suo peso e si distese al suo fianco per riprendere fiato. «Meno duecentosessanta. Mi sto avvicinando.»

«Sì, dai, magari tra una decina di anni ci arrivi» lo sbeffeggiò lei.

Aveva conquistato una vittoria dopo qualche mese dall'inizio del suo addestramento, ma non aveva accettato la libertà che lei gli aveva restituito. Realgar l'aveva sconfitto non una ma centinaia di volte, e aveva deciso che sarebbero stati davvero pari solo quando le avrebbe recuperate tutte.

Perché posso farlo, aveva risposto quando gli avevano chiesto il motivo, e grazie agli Angeli nessuno dei Rascals aveva sentito la necessità di indagare oltre. Non poteva ammettere di essersi affezionato a loro, che il motivo per cui continuava a bazzicare con la gang non era perché Realgar gli ordinava di farlo. Non poteva ammettere che misurarsi con Realgar aveva cominciato a divertirlo, che l'idea di quell'eterna sfida lo stuzzicava, che voleva riuscire in quell'impresa impossibile solo per impressionarla.

Erano passati tre anni dal loro primo incontro, e Kolt non era più il ragazzino smilzo e sbruffone che a malapena sapeva tirare un pugno. Aveva raggiunto Realgar in altezza, doveva radersi per mantenere il volto pulito e sfoggiava un fisico asciutto, con muscoli definiti che gli avevano fruttato l'attenzione di molte ragazze. Non aveva eguagliato l'abilità di Realgar nella lotta, ma sapeva combattere, e la sua natura Dotai lo rendeva un avversario difficile da affrontare ora che il suo corpo era cresciuto e temprato dall'allenamento. Era più forte, più resistente e più veloce di lei – ed era ancora uno sbruffone, ma si era assicurato di poterselo permettere.

Voleva che lo vedesse. Che notasse quanto si era fatto bello, capace, grandioso. Che lo desiderasse quanto lui desiderava lei.

La seguì con lo sguardo mentre si alzava, scuotendo le lunghe treccine rosse che rivelavano sfumature tendenti al viola sotto la luce del sole. A Sayfa nessuno aveva capelli di quel colore, sebbene Realgar avesse detto che a Verlate fosse piuttosto comune. Lì era anomala persino la sua carnagione, più scura di quella yaveni e dalle tonalità calde come il fuoco, e di rado si vedevano ragazze così alte e con un fisico così massiccio. Erano parte delle cose che la rendevano Realgar, ma Kolt era certo che, se anche fosse stata una comune roumberghiana, avrebbe brillato come una gemma tra la cenere.

Kolt si mise in piedi e si accostò a lei, affacciandosi al parapetto. Di fronte a loro, annebbiata dai vapori viola che i comignoli sputavano fuori senza sosta, la città si estendeva in conglomerato di ferro e mattoni che proseguiva fino al lago. Sull'altra sponda c'era una Lenwish diversa, la Lenwish ricca, dove le ville sfoggiavano ancora lo sfarzoso stile imperiale e le residenze signorili sorgevano lontano dal clangore delle fabbrile. Lì le tubature venivano nascoste con cura, i marchingegni mascherati da decorazioni in ferro battuto. Nei bassifondi, però, palazzi e stabilimenti industriali si ergevano in un ammasso disordinato, accalcandosi gli uni sugli altri come ubriachi in cerca di sostegno. Terrazzi e balconi si incastravano in dislivelli improbabili, ponti sospesi collegavano gli ingressi, vecchie strutture si reggevano su rinforzi metallici di fortuna mentre una fitta rete di tubature si insinuava tra i vicoli come radici contorte. C'era sempre un cantiere dietro l'angolo, un'impalcatura che si affacciava sulla strada, una gru che svettava tra i tetti, e il quartiere non era mai identico al giorno precedente.

«Laggiù» disse Realgar, un braccio teso verso la zona industriale che si allungava a ovest. «I Crowbar sono stati decimati, ormai quella è terra di nessuno. Si stanno tutti ammazzando per averne un pezzetto, a me basterebbe il vecchio deposito. Si butta giù, si allargano le fondamenta e si tira su un'arena coi controcazzi.»

Kolt arricciò le labbra in un mugolio incerto. «Ci sono gli Underbridge, lì accanto. Di sicuro ci hanno già messo gli occhi sopra.»

«Si stanno già scontrando per la serra, dovranno rinunciare a una delle due cose.»

«Nah, non si è mai vista una gang che si fa mettere i piedi in testa da un branco di ragazzini, se vi lasciano il deposito i loro giorni sono finiti. Dovete combattere se vuoi prendertelo, e i Rascals non sono pronti.»

Realgar gettò fuori l'aria in un sospiro pesante, accartocciando la sua espressione. La banda si era fatta più numerosa in quegli anni, ma i più erano ancora dei ragazzini; avevano poche armi, non erano abituati agli scontri veri e l'unico motivo per cui non li avevano ancora scacciati dalla fabbrica era perché non interessava a nessuno. Non valeva la pena scontrarsi per il niente.

A Kolt sfuggì uno sbuffo ilare. «Facciamo una scommessa. Se riesco a convincere gli Underbridge a lasciar perdere il deposito, ho vinto.»

«E come faresti?»

«Molto semplice: non si preoccuperanno del deposito, se non esiste alcun deposito.» Alzò una mano con indice e medio tesi come fossero la canna di una pistola, poi mimò il gesto di uno sparo mentre ne imitava il suono. «Ti renderò la regina di cenere e macerie.»

«Che cazzo di folle» disse Realgar, ridendo. «Se ti beccano sei finito.»

«L'unica gang che può offendersi ha già la pira pronta. Allora, ci stai?»

Realgar distese le labbra e si umettò quello inferiore, intrigata. «Cosa metti sul piatto?»

«Se vinci tu, cancelliamo la vecchia scommessa. Entrerò a far parte dei Rascals, farò il tatuaggio con voi quando diventerete una vera gang. Sarò ai tuoi ordini anche quando avrò recuperato tutte le sconfitte.»

«Se le recupererai.»

«Lo farò» disse Kolt. «Non preoccuparti, potrai continuare a farmi tutte le richieste che ti pare...ma se vincerò questa sfida, dovrai assumermi e pagarmi come tutti gli altri. E quando avrai costruito la tua arena verrò a prendere la mia parte, diciamo... un dieci per cento mensile.»

Realgar trascinò le scarpe sulla pietra grezza verso il materasso, si lasciò cadere all'indietro e si raddrizzò fino a sedersi sul bordo. Indossava solo un paio di pantaloncini e una fascia elastica sul seno, il resto del suo corpo era coperto da un mosaico di tatuaggi vivaci con un unico spazio vuoto all'altezza del cuore. Praticamente nuda, eppure ancora troppo vestita.

«A me sembra che tu stia facendo di tutto per restare, Golden Boy.»

«E allora? Qualche problema?»

«Dimmelo tu. Sei tu che dicevi di odiare i Rascals.»

Kolt alzò le spalle. «Ho cambiato idea.»

«Dicevi di odiare anche me.»

«Ho molto, molto cambiato idea.»

Kolt avanzò verso di lei, e bastò quel tono morbido a disegnare un sorriso malizioso sulle labbra di Realgar. Allungò le mani per chiamarlo a sé e lui si abbandonò sul materassino con lei, avventandosi sulla sua bocca. Faceva caldo, ma il sole non bruciava quanto le mani di Realgar che gli percorrevano la schiena, graffiando all'altezza delle scapole mentre lo baciava con più foga. Gli circondò il bacino con le gambe e lo attirò a sé, strusciandosi contro di lui in mugolii vogliosi, le labbra umide che gli toglievano il respiro.

La prima volta che l'aveva baciata, qualche mese prima, lei gli aveva tirato un pugno nello stomaco per riflesso; poi però gli aveva ficcato la lingua in bocca, la mano nei pantaloni, e neanche dieci minuti dopo ci stavano dando dentro sul ring.

La scopata più bella della sua vita, ma Kolt non l'avrebbe mai ammesso. Non poteva dire che l'aveva sognato decine di volte, che avrebbe voluto addormentarsi al suo fianco come facevano Dorotea e quel ragazzo dai capelli rosa di cui non aveva capito il nome. Non poteva dire che Realgar era la ragione per cui avrebbe voluto restare con i Rascals, che desiderava essere uno dei suoi re di cenere e macerie, che si era innamorato di lei anche se aveva davvero, con tutte le sue forze, provato a non farlo.

I legami erano catene, Realgar non faceva eccezione. Kolt poteva sentire lo sguardo severo di Gari perforargli la schiena e lo sapeva che aveva ragione, cazzo, lo sapeva, ma non voleva rinunciare a tutto. Il sesso andava bene; gli affari andavano bene; le scommesse, le bevute e il divertimento andavano bene. Tutto il resto non esisteva finché non gli dava un nome, e se non esisteva non poteva essere distrutto – né poteva distruggere lui.

«Non mi hai ancora detto se ci stai.»

«Ci sto, ci sto» sghignazzò lei. Kolt adorava sentirla ridere, ma non l'avrebbe mai detto, perciò andava bene. «Non deludermi, Golden Boy.»

Sorrise, baciandole il collo. «Non lo faccio mai.»



Chiudiamo con queste scene anche il flashback su Realgar, con una sana dose di pagliacciate che non guasta mai ♥ Mica si può andare al circo solo quando si tratta di Vesper, pure con Realgar il signorino è un maledetto idiota!

Oltre ad avere una panoramica del suo rapporto con Realgar, vediamo anche maturare il Kolt che conosciamo, quello delle scommesse brillanti, che gioca sul non-detto e che vince con astuzia! Abbiamo anche sempre più dettagli sull'impatto che Gari ha avuto nella sua vita, una figura sempre sullo sfondo ma che, beh, l'ha segnato particolarmente. È un mentore molto grigio, ma beh, teniamo anche da conto che siamo tra la criminalità, non è che ci si possa aspettare amore e fiorellini X°D

Dal prossimo capitolo si torna al presente proprio con il POV di Realgar, quindi stay tuned!

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