Capitolo 20 - Niente di personale

Il buio calò prima che Kolt riuscisse a voltarsi per individuare Cat. Puttana Lemurea, dov'era? Si era precipitato all'interno della villa tanto in fretta che non aveva idea di dove si fosse posizionata: a sinistra? Dietro? Qualcuno dei Rascals si era messo tra loro?

Avrebbe dovuto tenerla d'occhio, maledizione. Avrebbe dovuto assicurarsi che fosse al suo fianco a costo di doverla trascinare di peso, ma quand'era scattato l'allarme l'istinto aveva preso il sopravvento. Il silenzio della sottospecie di radio che Peridot aveva costruito gli aveva corroso lo stomaco, aveva visto gli uomini dei Pelt convergere verso la villa ed era semplicemente scattato. Dita sul grilletto, lo sguardo concentrato che guidava il Sihir nel suo corpo, poi dritto verso la porta d'ingresso. Uccidere chiunque si fosse messo in mezzo fino a raggiungere Realgar e Vesper, quello era il nuovo piano. Gli altri erano stati costretti a seguire.

Razza di idiota. La voce di Gari era sempre autorevole nella sua mente, piena e rauca per il fumo. Ecco che succede ad affezionarsi. Non dire che non ti avevo avvertito.

L'oscurità che aveva inghiottito l'androne era assoluta, soverchiante. Il cielo era talmente cupo che trovarsi vicino all'ingresso non faceva alcuna differenza, Kolt non riusciva a scorgere neppure le sagome che borbottavano alle sue spalle. I respiri pesanti si perdevano nel lamento dell'allarme che non la smetteva di suonare, c'erano solo rumori confusi di corpi che si muovevano con cautela, l'umidità densa dell'attesa sulla pelle, il cuore che pulsava ovunque.

«Cat, prendi la mia mano!»

«E dove cavolo è la tua mano?!» gridò Cat alla sua destra.

Era vicina, ma quanto? Kolt si spostò di lato, la mano protesa non trovò nulla. Fanculo.

«Aggrappati a qualcuno e basta!»

Uno schiocco metallico risuonò dall'alto, poi una lunga nota trascinata. Kolt scorse un movimento con la coda dell'occhio, caricò la pistola ma i suoi occhi non si erano ancora abituati al buio. Come si mirava un'ombra nel buio? Si voltò, un urlo acuto gli graffiò le orecchie.

«Lasciami, puttana!»

Kolt sentì i Rascals sbattere tra loro e borbottare imprecazioni mentre quel suono acuto si spostava a destra, allontanandosi insieme ai passi leggeri di una corsa troppo fluida. Märghe riusciva a vedere? Non avrebbe spento le luci d'emergenza e abbassato il fottuto interruttore generale senza essere preparata, ma quello era ingiusto.

Scartò in avanti. Sfiorò una spalla, urtò un petto, si fece strada tra i corpi per avanzare. L'androne sembrava minuscolo nell'oscurità, troppo stretto per riuscire a muoversi, ma sapeva che era vuoto al centro; doveva solo seguire le grida di Cat – verso il corridoio, se aveva conservato un minimo d'orientamento, non l'ingresso. Scelta insolita per una fuga. Il motivo si presentò sotto forma di uno scalpicciare dall'esterno, passi inquieti e pesanti che si mescolarono a quelli che si avvicinavano dai piani superiori e dalle altre ale della casa. Non da destra, nessuno da destra.

Ah, Märghe. Maledetta, meravigliosa stronza.

«Eccolo!» urlò qualcuno, poi la luce inondò la sala.

Kolt strizzò gli occhi, sforzandosi di mettere a fuoco l'ambiente – poi inchiodò. I muscoli ebbero uno spasmo per il cambio improvviso, rigidi, le gambe lo spinsero all'indietro in un sussulto che gli spezzò il fiato. Märghe era sparita dietro un arco, lui stava per sbatterci contro. Per fortuna avevano acceso la luce giusto in tempo... Sempre che potesse definirsi fortuna avere una decina di pistole puntate addosso. C'erano uomini armati fuori dalla porta d'ingresso, in cima alla scalinata centrale, di fronte ai varchi dei corridoi.

«Non muovetevi—»

«O sparo» completò Kolt insieme all'uomo. «Grazie per la precisazione, ero convinto che foste venuti qui per offrirci da bere.»

Soffiò una risata breve, non aveva fiato che per quella. Le mani prudevano, il corpo era in fermento per la voglia di muoversi, il sangue pompava nelle vene a un ritmo che il respiro faticava a seguire. Udiva ancora le grida di Cat, ma si stavano allontanando. Maledetto il Lucente nella sua dimora ardente. Tra tutte le posizioni in cui potevano trovarsi gli uomini dei Pelt, doveva esserci per forza qualcuno sulla balconata di fronte a quel corridoio? Posizione sopraelevata, tiro pulito; un passo e sarebbe morto.

«Facciamo che nessuno spara a nessuno?» Realgar fece cenno a Yona e lui voltò il corpo privo di sensi che portava in spalla, mostrando il viso sanguinolento di Adrian. «Giù le pistole o aggiungo il cervello del vostro capo all'arredamento.»

«Il nostro capo?» Uno degli uomini al piano di sopra scoppiò a ridere, l'arma puntata su Realgar. «Gli manderò i tuoi saluti.»

Lo scoppio dello sparo divorò le ultime sillabe. Le dita di Kolt pulsavano ancora di Sihir quando l'uomo si accasciò sul parapetto, un foro in mezzo agli occhi spalancati e senza più voglia di ridere. La pistola scivolò via dalla sua presa, cadde a terra in un istante così lungo che il suono dell'allarme sembrò dilatarsi all'infinito. Il metallo picchiò contro il marmo, poi tutto esplose.

I proiettili schizzarono in ogni dove, un concerto frenetico di musicisti scoordinati. I Pelt cercarono riparo oltre gli archi, si accucciarono dietro la ringhiera o le porte d'ingresso; i Rascals si sparpagliarono, rapidi, abbandonando il centro per sgusciare dietro le colonne e le grosse piante ornamentali – o per fare ciò che riusciva loro meglio: azzerare le distanze e sostituire le pistole con i pugni.

Kolt si infilò nel corridoio e appiattì la schiena contro la parete. Cercò Vesper, lo trovò rannicchiato sotto la scalinata insieme a Peridot. Gli altri scaricavano i caricatori, lui uscì allo scoperto solo per due colpi; sparò che il suo bersaglio – l'uomo di fronte al suo corridoio – si era appena rialzato e lo centrò al petto, facendolo barcollare e cadere oltre la balconata. Realgar si era già lanciata in mezzo, Kolt la seguì con lo sguardo mentre colpiva uno degli uomini all'ingresso con il calcio della pistola. Lo afferrò per un braccio e lo scagliò contro il suo compagno, atterrandoli entrambi. Il tatuaggio di teschi e fiori sulla spalla era macchiato di sangue, ma la sua furia era inarrestabile.

«Che cazzo aspetti, l'invito scritto?» gridò Realgar. «Vai!»

Kolt sbatté le palpebre. Le proteste di Cat erano lontane, nessuno lo teneva più sotto tiro. Perché cazzo non si era ancora mosso?

Cominciò a correre. Le ville delle famiglie criminali necessitavano di un'infinità di tubature, e ciò voleva dire tanti, troppi corridoi che si diramavano in un labirinto tra decine di sale una più inutile dell'altra. Kolt svoltò a sinistra, poi a destra e ancora a sinistra, pregando la sua buona sorte che la direzione verso la voce di Cat fosse quella giusta. Superò alcuni membri della sicurezza accasciati contro le pareti. Occhi chiusi, posture composte... Sembravano addormentati, non fosse per i visi pallidi e il sangue che sgorgava dalle gole recise. Era colato sugli abiti eleganti fino a raggiungere lo stomaco, ormai rappreso, ma non aveva ancora perso il colorito vivido. Se c'era qualcun altro in quell'ala, di certo era morto prima che scattasse l'allarme.

Proseguì oltre, scendendo una stupida scala a chiocciola talmente stretta che a malapena c'era lo spazio per poggiare il piede. Aveva perso così tanto tempo che Märghe aveva superato quell'orrore architettonico con un demonio di ragazzina in braccio e comunque non l'aveva raggiunta?

No, non era scesa – non da lì. Tutte le dimore delle famiglie criminali avevano almeno un passaggio segreto, Märghe aveva liberato la via in anticipo per assicurarsi di raggiungerlo. Doveva averlo già imboccato e in quel momento si stava muovendo tre le pareti verso...

Silenzio. Cazzo, non il silenzio. Cat aveva smesso di gridare o le mura si erano fatte troppo spesse per riuscire a sentirla? Restò immobile, trattenne persino il fiato per tendere le orecchie, ma non c'erano suoni oltre agli spari in lontananza, agli strilli della sirena dall'arma e al battito del cuore che pulsava in gola. Cazzo! Non aveva tempo di cercare il fottuto passaggio, e pattugliare l'esterno era inutile. Aveva usato dei corridoi nascosti in casa Aureli insieme a Vesper, alcuni si muovevano sotto terra per decine di metri e sbucavano fuori in posti impensabili.

L'aveva persa. Bastardo il Lucente, si era fatto fregare come un coglione e l'aveva persa.

Tirò i capelli all'indietro, li strinse tra le dita in un respiro che gli svuotò il petto. No, col cazzo che aveva perso. Una mano sfortunata non gli avrebbe impedito di vincere la partita. Non aveva idea di dove fosse Märghe, ma sapeva dove sarebbe andata. Realgar e Vesper avevano Adrian, doveva solo farsi condurre dal tesoro – e doveva sbrigarsi.

Afferrò il corrimano, lo sentì cedere sotto la mano. La parete stava... tremando? Le luci si affievolirono su quel lato, pulsarono per un istante fino a spegnersi del tutto. Il fischio del vapore sotto pressione seguì il clangore metallico di tubature saltate, poi la pittura verde chiaro cominciò a sgretolarsi. Kolt saltò indietro un attimo prima che la voragine inghiottisse la scala a chiocciola, collassando in un ammasso di polvere finissima. Dal varco volò fuori Märghe, spinta da una forza tale che si schiantò contro la parete opposta prima di crollare a terra.

«Verdammte scheiße!» disse Märghe, un lamento trattenuto tra i denti stretti. «Che razza di Focus ha?»

Il sorriso di Kolt si allargò. La fortuna non l'aveva ancora abbandonato. «Sei più sexy quando imprechi, te l'hanno mai detto?»

«Un biondino con un pessimo tempismo me lo ripete sempre.»

«A me sembra di essere in perfetto orario.»

Le puntò contro la pistola. Märghe non si scompose, sollevò gli occhialoni dalle lenti viola che aveva indosso e si alzò alla svelta, la mano pronta a sfilare uno dei pugnali che portava ai fianchi.

Qualcosa scricchiolò oltre la voragine nella parete e Cat barcollò nel corridoio, il passo incerto che affondava nella polvere. Stava sputacchiando capelli umidi che erano rimasti appiccicati alle labbra, spingendoli via con le mani. Santo il sole e le stelle, aveva masticato quelli per attingere Sihir? Quella piccola disgraziata non era male, quando accendeva il cervello.

«Ho giocato bene il Sole!» esclamò, ridendo. «Chi è che fa i casini adesso, eh?!»

«Cazzo, Powder. Potevi dirmelo che avevi intenzione di salvarti da sola, sarei venuto giù con calma in ascensore.»

Kolt alzò lo sguardo verso la scala a chiocciola – ciò che rimaneva. La struttura terminava a mezz'aria come se il resto fosse stato divorato da un Kimse affamato, sovrastando un cumulo di scintillante polvere bronzea. Il vapore di Sihir si espandeva dalle tubature distrutte che pendevano dal soffitto, addensando l'aria di una tenue sfumatura violacea e un aroma stucchevole. Una manciata di minuti e anche le luci dall'altro lato del corridoio si sarebbero spente, di sicuro erano collegate allo stesso impianto.

«Mh. Il discorso sul "fare casini" lo riprendiamo dopo» borbottò Kolt, poi allargò di nuovo il sorriso per Märghe. «Well, cosa facciamo? Ti arrendi subito o vuoi danzare un po'? Ti avviso, la nostra Powder qui è un vero portento e non c'è modo che tu possa bloccare il suo Focus. Non ti conviene sfidarla: hai sperimentato solo un assaggio, può fare molto di peggio. Il suo Naru fa paura, non ho mai visto un controllo del Sihir tanto sopraffino, metterebbe in difficoltà persino me.»

Il viso di Cat si illuminò. «Allora non è vero che come Dotai faccio schifo!»

Kolt le rifilò un'occhiata di sbieco. «Evidentemente, però, non ha ancora capito come funziona il mestiere.»

Cat non rispose. L'espressione si era fatta incerta, aveva spalancato gli occhi ma lo sguardo sembrava fuori fuoco. Sbattè le palpebre più volte, allargò le braccia e piantò i piedi a terra come per mantenere l'equilibrio su un terreno instabile. Biascicò parole confuse e affondò la mano nel sacchetto di mandorle, ma le caddero via dalle dita. Non ebbe tempo di lamentarsene, perché le gambe cedettero e cadde giù anche lei, accasciandosi sulla sabbia priva di sensi.

Kolt sbuffò. «Hai sedato una ragazzina, Snowqueen? Sul serio? Non so proprio come ti sia venuta in mente un'idea simile.»

«L'invito a ballare è ancora valido?»

«Per te lo è sempre, my dear

Il Sihir si concretizzò tra le sue dita in un istante, gli occhi fissi in quelli color ferro di Märghe. Di solito premeva il grilletto con la convinzione di centrare il bersaglio. Quella volta lo fece sapendo che l'avrebbe mancato. Non aveva idea di come facesse Märghe a scegliere sempre la direzione giusta per schivare, ma non si stupì di vederla sgusciare a lato con l'agilità di un gatto, ruotando il corpo per scansarsi e sfoderare i coltelli. A Secim gli assassini come lei venivano chiami geist, fantasmi; mai nome fu più appropriato. Il suo stile di combattimento non somigliava a quello di nessun altro sicario, neanche di quelli che preferivano le armi bianche. Si muoveva con la fluidità dell'acqua, colpiva con la precisione del ghiaccio.

Märghe si piegò per schivare il secondo proiettile e rotolò in avanti. Allungò il pugnale verso la gamba di Kolt, lui balzò all'indietro e le puntò contro la rivoltella intrisa di Sihir. La lama sottile dello stiletto si infilò nella canna un attimo prima che facesse fuoco. Märghe ammiccò, allungando un sorriso furbo che Kolt non esitò a ricambiare. C'era una piccola probabilità che il Sihir gli avrebbe permesso di sparare comunque, senza che esplodesse la pistola... Ma così sarebbe finito tutto il divertimento.

Lasciò la presa. Chiunque avrebbe preso la rivoltella – non Märghe; lei puntò alla sua mano. Abbandonò lo stiletto e gli spinse il polso verso l'alto, il proiettile di Sihir volò sopra la sua testa e si incastrò nella parete. Nel tempo che impiegò per impugnare un'altra lama, Kolt concentrò il Sihir per farlo scoppiare a un soffio dall'orecchio di Märghe. Il boato le strappò un lamento, costringendola a stringere gli occhi per un istante, e lui ne approfittò per disarmarla del nuovo pugnale. La scelta gli costò una rotazione del polso. L'attimo dopo, si trovò proiettato sul pavimento, i lunghi capelli bianchi di Märghe a coprirgli la visuale.

Kolt si contorse e sgusciò di lato. Una lama – Signore della Luce, non finivano mai? – gli sfregiò il petto, ma riuscì a trovare l'angolazione giusta per sparare. Da quella distanza, un proiettile a pallettoni avrebbe distrutto la spalla di Märghe... Ne scelse uno da pistola di piccolo calibro, che le ferì il braccio solo di striscio. Non bastò a farle perdere la presa. Märghe si slanciò in avanti, il sangue che sgorgava giù dalla ferita, agitò la lama in due fendenti che Kolt evitò a malapena. Le fermò il braccio prima che gli perforasse il petto, lei lasciò cadere il pugnale e lo afferrò con l'altra mano. Gli avrebbe aperto lo stomaco se non l'avesse fermata in tempo. Con la presa salda sui suoi polsi, le incrociò le braccia e forzò un gomito sull'altro in una presa che avrebbe dovuto costringerla a terra. Lei però seguì la pressione e ruotò in avanti, caricandosi il suo peso sulla schiena per trascinarlo con sé.

Si trovarono di nuovo a terra, si rialzarono combattendo. Märghe gli teneva bloccata la mano sinistra, la spingeva lontano da sé ogni volta che poteva. Agitava il coltello per costringerlo a usare l'altra per difendersi e deviare i suoi colpi. Aveva un'apertura alla gola, non la sfruttò; Kolt avrebbe potuto tentare un colpo alla testa, se fosse riuscito a ruotare il polso a sufficienza – il vantaggio di avere una pistola senza la pistola. Non tentò neppure, invece sputò fuori una risata.

«Da uno a dieci, quanto ti senti stupida per aver pensato di poter sedare un Dotai?» Kolt alzò lo sguardo oltre le sue spalle. «Adesso, Powder!»

Märghe sgranò gli occhi. L'incertezza attraversò il suo sguardo, esitò per un breve istante, poi voltò lo sguardo. Cat era ancora svenuta, braccia e gambe affondate nel mucchio di polvere, e la consapevolezza colpì Märghe un istante troppo tardi. Kolt si mosse subito: la colpì con una ginocchiata al petto, svuotandole il petto d'aria. Le afferrò il braccio armato, fece leve su polso e gomito finché non lasciò la presa, poi lo torse all'indietro e la scaraventò al suolo.

Non le lasciò spazio di manovra. La spinse a pancia in giù contro il pavimento e si sedette sulla sua schiena, un braccio bloccato a terra dal suo ginocchio e l'altro stretto nella sua mano. Le dita tese puntate contro la sua testa, vibranti di Sihir, sedarono ogni tentativo di ribellione.

«Sorry, darling» le sussurrò all'orecchio. «Dovresti sapere che non dico mai la verità quando siamo rivali.»

Märghe sbuffò, bofonchiando parole in sek. Forse stava chiedendo a uno dei suoi dei di fulminarlo sul posto... Non avrebbe potuto darle torto.

«Finiamola in fretta, non ho ancora cenato. Chi ti ha assunto?»

«Se vuoi finirla in fretta dovrai spararmi.»

«C'mon, non fare la melodrammatica. Capita anche ai migliori di perdere, magari ti rifarai la prossima volta... O magari no. Senza offesa, mi piace la serie di vittorie.»

Lei espirò piano. Allentò la tensione dei muscoli e tornò a mormorare nella sua lingua, ma il tono era sereno, cantilenante. Riconobbe i nomi dei suoi dèi tra i sussurri, seguiti sempre dalle stesse parole, come una preghiera.

Kolt deglutì, premendo le dita contro la sua tempia. «Dammi un nome, Märghe. Non sto scherzando.»

«Neanch'io. Non dirò nulla, perciò procedi pure.»

Kolt prese fiato, si bloccò a metà. Un brivido corse lungo tutto il corpo, afferrò i nervi in una morsa dolorosa. Non poteva allentare la presa, se Märghe avesse percepito dell'incertezza l'avrebbe sfruttata per divincolarsi, e allora lui avrebbe dovuto spararle sul serio perché aveva evitato di farlo una quantità ridicola di volte.

Non voleva ucciderla, ma l'avrebbe fatto se fosse stato costretto. Quello era il loro patto. L'avevano siglato in silenzio, eppure seguivano le stesse regole: vincere senza morire. Ammazzarsi a vicenda era possibile, ma nessuno dei due cercava davvero di farlo. Era il loro mestiere, niente di personale. Avrebbero versato sangue sul pavimento e si sarebbero fasciati le ferite sotto le lenzuola. Affezionarsi era possibile, ma nessuno dei due cercava qualcosa di più. Era solo sesso, niente di personale.

Andava bene. Andava bene perché funzionava – gli piaceva, persino. Era così assuefatto da quel gioco da aver dimenticato che prima o poi la ruota si sarebbe fermata. Non si era mai preoccupato della sconfitta. Mai avrebbe pensato di dover temere la vittoria.

«Non dire stronzate!» sputò fuori Kolt, la voce più graffiante di quanto avrebbe voluto. «Non ho bisogno di ucciderti. Noi siamo solo le armi, a me interessa tagliare la mano: dimmi chi c'è dietro e ti lascerò andare.»

«Se per vivere devo diventare una traditrice, preferisco la morte.»

«È solo un lavoro del cazzo, non vale la tua vita!»

«No. Ma la mia morale sì» disse Märghe, solenne. «I sekken non si piegano. Non dirò nulla e tu non ti arrenderai, lo sappiamo entrambi. Spara. Non ho rimorsi.»

La morale non serve ai morti. Gari lo ripeteva spesso. Lui non avrebbe avuto pietà di Märghe, l'avrebbe derisa per la sua stupidità prima di premere il grilletto. Non c'erano regole, non c'erano catene, sarebbe sopravvissuto a tutto perché non aveva debolezze che potessero trattenerlo.

Kolt aveva trascorso la vita cercando di imitarlo, ma esitava ancora. Si precipitava quando i suoi non-fidanzati erano in pericolo, salvava le ragazzine dai guai, non uccideva la sua rivale occasionale quando ne aveva l'opportunità. Gari avrebbe già portato a termine l'incarico, perché avrebbe fatto solo ciò che serviva.

Puoi fare qualunque cosa, quello che vuoi! Passi più tempo a dirlo che a farlo davvero.

Non voleva uccidere Märghe. Non sembrava una vittoria, ma non farlo sarebbe stato stupido. Quale idiota avrebbe sprecato l'occasione di liberarsi di un problema? Tanto valeva che si dipingesse sul petto un bersaglio con la scritta sono un coglione, infilzami pure. L'unica scelta giusta era quella più conveniente. Non poteva permettersi di...

No, fanculo. Che divertimento c'era senza un po' di pepe? Andasse a farsi fottere la scelta giusta, avrebbe fatto quella più stupida e avrebbe vinto comunque, perché poteva farlo. Poteva permettersi qualunque cosa.

Per quello, solo per quello.

«Bel discorso» sputò fuori, la voce aveva smesso di grattare in gola. «Breve ma intenso, con un tocco teatrale. Non è il mio stile, ma come ultime parole darei un solido otto su dieci... Peccato doverle sprecare.»

Tenne la mano in posizione, il Sihir concentrato sui polpastrelli – non era così stupido – e si alzò. Märghe scattò subito in piedi, ma invece che recuperare il pugnale e puntarlo alla sua gola si limitò a fissarlo con l'espressione più confusa che le avesse mai visto addosso. Kolt scoppiò a ridere. Se avesse saputo che quello era sufficiente a renderla inoffensiva, ci avrebbe provato subito.

«Che significa?»

«Significa che purtroppo mi sei sfuggita. Sembra che al piano di sopra abbiano smesso coi botti, presto avrò compagnia e tu hai ben pensato di dartela a gambe.» Kolt indietreggiò senza staccarle gli occhi di dosso. Lanciò solo un fugace sguardo alla pistola, la raccolse e la sistemò nella fondina. «Te l'ho detto, non mi serve ucciderti. Resta fuori da questa storia e siamo a posto.»

Märghe non si mosse. Le sue armi erano sparse sul pavimento, uno dei pugnali era proprio al suo fianco, non lo guardò neppure. «Non posso farlo.»

«Cazzo, Märghe. Almeno menti, puttana Lemurea, non è così difficile.»

Lei soffiò una risata. «Dovresti sapere che dico sempre la verità, anche quando siamo rivali.»

«Scelta del cazzo per una mercenaria, lasciatelo dire.»

«Mein leben, meine regeln» sussurrò. «Mia la vita, mie le regole.»

Dietro la cantilena acuta dell'allarme, il suono degli spari aveva lasciato posto a quello dei passi. Kolt udì Realgar chiamare il suo nome, era solo questione di tempo perché li trovasse, la scala ridotta a un moncherino non le avrebbe impedito di scendere. Märghe sollevò gli occhi, lo sguardo attento, e scrutò Kolt un'ultima volta prima di recuperare il pugnale. Lo sistemò nella fodera e mise in mostra i palmi aperti mentre si avvicinava al varco sulla parete, ignorando le altre lame che aveva perso.

«Non pensarci neanche» avvisò Kolt, tenendola sotto tiro.

Lei lanciò un'occhiata a Cat e passò oltre. Si infilò nel passaggio segreto senza dire una parola e solo dopo un ragionevole lasso di tempo Kolt abbassò la mano. Era un idiota. Era un maledetto idiota, ma sentiva il petto leggero e Cat era ancora lì, perciò andava bene. Non esistevano debolezze per chi era abbastanza bravo.

Caricò Cat in spalla e si arrampicò sulla scala a chiocciola con un rampino. Realgar gli scoccò un'occhiata perplessa a sentire che Märghe era fuggita, ma non fece commenti e tornarono insieme nell'androne. Alcuni dei Rascals erano a terra, altri si fasciavano come potevano le ferite, supportati da Peridot che schizzava da una parte all'altra della sala.

«Il forziere non è qui» disse Vesper. Aveva la giacca schizzata di sangue, ma non sembrava avere nuove ferite. «Ne sapremo di più quando Adrian si sveglierà. A quest'ora le guardie avranno già fatto scappare sua madre e i suoi fratelli. Non sembra essere rimasto nessuno in casa. Peccato per la ragazza.»

«Che ragazza?»

«Ce n'erano due con Adrian nel fumoir. Una è ancora lì, è talmente fatta che non sa neanche dove si trova, non sarà un problema. L'altra però ha provato a scappare.» Vesper si voltò, indicando la figura seminuda di una giovane distesa sul pavimento, la corta vestaglia macchiata di sangue e i capelli blu a coprirle il volto. «È venuta qui di corsa, ha preso la pistola di una guardia. E poi mi chiedono perché non tollero le droghe così pesanti.»

Kolt adagiò Cat a terra e si avvicinò alla ragazza. Aveva la pistola ancora stretta in mano, impugnata nel modo corretto. Erano i tatuaggi, però, che pizzicavano il petto in un brutto presentimento; avevano un che di familiare, più guardava le intricate linee floreali rincorrersi sulle gambe e più cresceva la sensazione di averle già viste da qualche parte.

Si chinò per scostarle i capelli, il fiato si mozzò in gola.

«Vi.» Gli fece cenno di avvicinarsi. «Congratulazioni, il tuo rompicapo ha un nuovo pezzo. Buona fortuna a capire come si incastra.»

«Che intendi dire?»

«Hai presente il mio committente? Bene. Ti presento sua figlia.» 



Cominciate a non capirci più un cazzo? Bene, neanche i personaggi ♥ 

Che diamine ci fa Morgan a casa di Adrian? Casualità? Doppio gioco? Lo stava tenendo d'occhio fingendosi una squnzia interessata? Prego, le scommesse sono aperte!

Märghe ha studiato bene il suo piano, approfittando del buio per muoversi e lasciando i Rascals a dover contrastare le guardie di sicurezza dei Pelt. Tutto fantastico, se non fosse che Cat ha usato l'ingegno e ha trovato un modo per liberarsi 🔥Purtroppo per lei non ha avuto molte occasioni per vedere Cat in azione: Märghe ha preso delle precauzioni per i Focus più comuni e l'ha sedata per sicurezza, ma questo proprio non se l'aspettava. 

Sarebbe comunque riuscita nel suo intento se non fosse arrivato Kolt, ma se Cat non si fosse liberata da sola lui non l'avrebbe mai trovata. È stata brava, sta imparando ♥

Kolt invece è sempre il solito pagliaccio, che parla parla ma quando si ritrova nella situazione di agire non ci riesce. Parla parla, ma come disse Chloe ai tempi di Bluebird: "Ce l'hai eccome, un cuore. Sembra di pietra, ma batte proprio come tutti gli altri." 

L'unico a non averlo capito - o meglio, a non accettarlo- è lui, ostinandosi a rincorrere un modello che è evidente gli stia stretto, ma si rifiuta di ammetterlo. Perché si sa, Gari è il Vero UomoTM e lui non può certo essere da meno :')

Quantomeno, pur nei suoi rigiri mentali per farselo andare bene, sceglie di seguire il cuore e lascia libera Märghe. Se ne pentirà?  E cosa pensate di lei? Lo ammetto, ho sempre avuto un debole per i personaggi 'negativi' ma con un forte codice ♥

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