Capitolo 25 - Vincere tutto o perdere tutto

La prima volta che Realgar gli aveva detto di amarlo, Kolt aveva riso. Erano distesi sul letto, lui con la testa sul suo seno e lei con le mani tra i suoi capelli, e quel ti amo l'aveva colto così alla sprovvista che ridere gli era sembrata la cosa più sensata da fare. L'aveva guardata negli occhi, perdendosi in quello sguardo così intenso da afferrargli l'anima, e non le aveva creduto. Aveva risposto con la più banale delle battute, un "mi amerei anche io" che gli era costato un assalto di solletico ai fianchi, poi aveva glissato. E così la volta dopo. E quella dopo ancora.

Era così difficile farlo, a volte. Il sorriso di Realgar riusciva quasi a convincerlo... Poi la voce di Gari tornava a farsi sentire, pesante e affilata come una mannaia.

Non puoi fidarti di nessuno, mai fino in fondo. Le belle parole servono solo a farti fesso.

Anche sua madre era radiosa quando sorrideva. Lo riempiva di ti voglio bene, di coccole e baci che lo mettevano in imbarazzo con i compagni di scuola. Diceva che avrebbe fatto di tutto per lui, ma quel giorno sulla spiaggia non gli aveva creduto. Gli aveva voltato le spalle, così come suo padre. Entrambi si erano allontanati da lui, giorno dopo giorno, finché non era diventato un estraneo. Finché scappare non era rimasta l'unica opzione.

Perché Realgar avrebbe dovuto essere diversa? Quando le cose si sarebbero messe male, di quel ti amo non sarebbe rimasto nulla.

Eppure respirava ancora. Cadde in ginocchio sui gradoni di pietra mentre lei affondava, il rosso dei suoi capelli si mescolava a quello del sangue nello specchio d'acqua. Lo stava fissando, anche se Kolt non riusciva a vedere i suoi occhi. Lo stava chiamando, anche se il suo silenzio aveva inghiottito persino il tempo. La spinta delle sue mani bruciava ancora sulla spalla, il boato dello sparo era tutto ciò che riusciva a sentire, ma non poteva essere successo. Non aveva alcun senso. Perché non l'aveva lasciato morire?

Ti amo.

Non diceva sul serio. Nessuno diceva sul serio. Era l'unica certezza che gli era rimasta, anche se Realgar rendeva così difficile crederci. Gli piaceva crogiolarsi nel suo calore, ma sapeva che sotto sotto mentiva come tutti gli altri. Non poteva fidarsi, non poteva...

Ti amo.

Lo amava davvero. Signore della Luce, lo amava davvero.

E lui non le aveva mai creduto.

«Kolt!»

L'eco del suo nome era distorto. Sfiorò la sua mente e sbiadì insieme al resto dei suoni, una mescolanza confusa di voci, passi, e vento inghiottito dalla corrente.

«Kolt, devi...»

«Kolt, che cavolo...?»

Non sentiva più niente. Non vedeva più niente. Forse si era sbagliato, forse era lui che stava annegando. Il mondo era finito sott'acqua, un ammasso di colori sfocati e amorfi.

Kolt...

Kolt...

«Kay!»

Sussultò. L'aria invase i polmoni in un respiro bruciante, che lo trascinò fuori dal torpore che gli aveva occluso la mente. La pietra fredda sotto le mani, il grido acuto delle fate, l'umidità densa incastrata insieme al muschio tra le narici. I pensieri irruppero a cascata, lo travolsero mentre il tempo ricominciava a scorrere: qualcuno aveva sparato. Qualcuno aveva cercato di ucciderlo ed era ancora lì, alle sue spalle.

Scattò in piedi, la mano si mosse verso la rivoltella in un gesto automatico. Si voltò che era già pronto a sparare, il braccio teso e il Sihir che ribolliva tra le dita, ma l'indice divenne pietra prima di premere il grilletto.

C'era Vesper davanti a lui. Vesper e la canna scintillante premuta contro la sua tempia.

Gari gli teneva le braccia bloccate dietro la schiena, così strette da costringerlo in una smorfia di dolore. Ai suoi piedi giaceva il libro, ancora avvolto nel velluto, e l'aria era pregna di polvere che fluttuava immobile attorno a loro. A giudicare dalle posizioni, Vesper doveva essersi gettato su Gari, mentre Cat... si era liberata, in qualche modo, ma Kolt non poteva guardarla. Non poteva guardare Märghe, sempre che fosse ancora lì.

Voltati e sei morto, si disse. Sentì gli occhi pizzicare e si costrinse a soffocare il dolore che gli aveva svuotato il petto, prendendo fiato a pieni polmoni. Se ti si appanna la vista sei morto. Batti le palpebre e sei morto, siete tutti morti.

Gari esplose in una risata che gli riempì le orecchie e gli attorcigliò lo stomaco. «Bentornato tra noi, ragazzo. Giusto in tempo per lo spettacolo – ma prima facciamo un po' di pulizie, mhn?» Piegò appena il capo per guardare oltre le spalle di Kolt, il dito pronto a premere il grilletto. «Leva questa polvere dal cazzo, da brava. E butta via quel sacchetto.»

«Sei uno stronzo!» gracchiò Cat dietro di lui. La polvere tremò a mezz'aria, si addensò in agglomerati informi prima di sparpagliarsi di nuovo. «Maledetto—! Lascialo andare, brutto—!»

«Con le parole non risolvi un cazzo» la ammonì Gari. «Costringimi. Avanti! Sei una cazzo di Dotai, no? Fammi vedere che sai fare con la tua polvere, ma prega gli Angeli di essere più veloce del mio dito. E vedi di stare attenta: non vogliamo che la principessa si faccia male, giusto?»

Strattonò Vesper e lo costrinse a drizzare la schiena. Lui cercò di divincolarsi, ma non riuscì ad allontanarsi dalla pistola, che seguì i suoi movimenti senza mai scollarsi dalla tempia. Aveva il viso rosso per lo sforzo, un lamento di dolore trattenuto tra i denti. Quanto stava soffrendo? Con il braccio piegato a quel modo, la sua frattura...

Kolt inghiottì a vuoto. Strinse la rivoltella per contrastare il brivido freddo che gli attraversò le dita, scivolando giù fino alle gambe. Le mani bruciavano per la voglia di sparare, ma sarebbe stato più veloce di Gari? Abbastanza per ucciderlo prima che potesse premere il grilletto? Certo che sì, si disse, tu sei il migliore. Poteva riuscire in qualunque cosa, ma il suo cuore batteva al ritmo di una raffica di spari. Quel suono martellava nella sua testa ancora e ancora, e gli occhi viola di Realgar brillavano in quelli di Vesper mentre annegava.

Anche Cat stava esitando. La polvere continuò a muoversi piano, ma dopo pochi istanti crollò inerme al suolo. Il suono di qualcosa che veniva gettato a terra raggiunse a malapena le sue orecchie.

«Ottima scelta.» Gari allargò un sorriso soddisfatto, poi spostò di poco lo sguardo. «Ora è il tuo turno, zuccherino. Torna a fare quello che stavi facendo.»

«Non sono ai tuoi ordini» rispose Märghe, gelida. Dannazione, perché non era fuggita?

«Ma sei a quelli di Alanya Corls» ribatté Gari. «La tua committente è una mia vecchia conoscenza, non te l'ha detto? Alanya lavora con me. Quindi sì, sei ai miei ordini.»

«Stai mentendo» sibilò Märghe. «Se pensi che—»

«Te la faccio più semplice, d'accordo? Tieni quella ragazzina sotto controllo o sei morta. Se hai capito chi hai davanti, sai anche che non ti conviene metterti contro di me.»

Il lugubre lamento delle fate che sbatteva da un lato all'altro delle sale fu l'unica cosa che si udì per qualche istante, poi Märghe dovette eseguire, perché l'espressione di Gari si distese. Prese fiato per parlare, ma prima che potesse farlo il rumore cessò: il fruscio si dissolse in un'eco distante e il silenzio piombò pesante e asciutto, facendo pulsare le orecchie in un ronzio persistente.

«Era ora, cazzo! Quella fottuta trappola mi aveva già rotto le palle.» Gari si concesse il tempo di un respiro lento, soddisfatto. «È il tuo turno, ragazzo. Getta la pistola e girati.»

«Grazie, ma penso che passerò» sputò fuori Kolt, nel tono più scanzonato che riusciva a imitare. La voce raschiò contro la gola, le mani avevano cominciato a tremare, la pelle andava a fuoco. Deglutì, passò la lingua sulle labbra e si sforzò di distenderle, di non far capire che la vista continuava a perdere fuoco. «Che ne dici di seguire il tuo stesso consiglio? Getta la pistola e vattene. Non puoi usare i tuoi dadi con le mani occupate, ora come ora sei solo un uomo comune.»

«Spara, allora. Lui però muore con me.»

Gari spinse la pistola contro Vesper, costringendolo a inclinare il capo. Il suo sguardo si piantò in quello di Kolt, così pesante da togliergli il respiro. Avrebbe dovuto sorridere, fingere che non aveva alcun potere su di lui, ma nessun muscolo gli rispondeva. Si sforzò di schiudere le labbra e dire qualcosa, qualunque cosa, ma le parole sfuggivano alla sua mente.

«Sparagli» ordinò Vesper. «Non pensare a me, sparagli e basta!»

«Che carino, vuoi sacrificarti per lui? Sei davvero il più patetico dei sottoni, tale e quale a tuo padre. Dev'essere una caratteristica di famiglia» lo canzonò Gari, con un sorrisaccio che Kolt avrebbe voluto cancellare a suon di proiettili. «Ah, non fraintendermi, è una buona cosa. Stelle, Luciano è così ossessionato da te che non sarei riuscito a tirarti fuori da casa in nessun modo, ma per fortuna c'è il nostro rubacuori! È stato bravo, no? Non solo ti ha portato proprio dove volevo, ma si è pure ingegnato per convincermi a venire con voi! Ah, quello sì che è stato divertente. Credevi davvero di avermi fregato, ragazzo? Me?»

Scoppiò a ridere di nuovo, un suono che si insinuò fin dentro le ossa di Kolt al punto che sembravano in procinto di spezzarsi. Che razza di idiota! Si era lasciato fregare come il più ingenuo dei polli. La storia su Luciano era credibile, non gli era neanche venuto il dubbio che... Cosa? Che l'uomo da cui aveva imparato l'arte dell'inganno potesse raggirarlo? Che la stessa persona che gli aveva ripetuto sin dall'infanzia di non fidarsi mai di nessuno potesse tradirlo? Era l'unico che poteva rivolgersi a Gari in quel modo, diceva. A lui non avrebbe fatto del male perché a modo suo si era affezionato, diceva.

Bravo coglione.

Gli dispiaceva almeno un po'? Aveva esitato anche solo un istante prima di puntargli l'arma contro? No, certo che no. Al suo posto Gari avrebbe sparato, fregandosene di Vesper; avrebbe ucciso Märghe; avrebbe trascinato Cat per i capelli e trovato il modo per usarla come merce di scambio. Avrebbe fatto di peggio e lo sapeva, cazzo, lo sapeva – allora perché faceva così male? Lo stomaco stava collassando, la testa era sul punto di esplodere. Kolt dovette gettare fuori la frustrazione in una risata, perché si era attorcigliata attorno al petto e gli impediva di respirare.

«E dire che per un po' ho pensato davvero di poter tirare fuori qualcosa di buono, da quella tua testa di cazzo. Un paio di cose le hai imparate, ma poi? Fiasco. Un totale fallimento. Sei rimasto un codardo che parla, parla, ma non ha le palle di fare quello che va fatto.»

«Bullshit. Ho superato tutte le prove che mi hai dato, ho portato a termine ogni fottuto lavoro.»

«E cosa cazzo vuoi, un applauso? Sei un fottuto Dotai, se non fossi riuscito neanche in questo tanto valeva spararti da solo in bocca.» Gari raccolse saliva in un verso rumoroso, poi sputò a terra. «Se i dadi non mi avessero detto di tenerti, a quest'ora saresti a marcire sotto un ponte o a farti sbattere in qualche lurido retrobottega di Redlako. Sei soltanto un idiota che ogni tanto ha una botta di culo, un cazzo di esperimento fallito. Fai la cosa intelligente e levati dai coglioni.»

«Fai la voce grossa per uno che ha sbagliato mira. Il leggendario Doom che fa cilecca! Fortuna che ho testimoni, altrimenti non mi avrebbe creduto nessuno» disse Kolt, sforzandosi di continuare a ridere. Dio, aveva la nausea. Stava sudando, non riusciva a respirare fino in fondo. Perché aveva la sensazione di star mentendo? «Per come la vedo io, siamo pari. La partita è ancora aperta. Non premerai quel cazzo di grilletto finché ti tengo sotto tiro, vogliamo fare a chi si stanca prima? Io posso restare qui anche tutto il giorno, tu che mi dici? L'età si fa sentire anche per i Dotai, old man

«Non c'è nessuna partita. Sono io l'unico giocatore, questo è il mio tavolo da gioco.»

«Carina, mi sa che te la rubo. È sempre un peccato sprecare una buona battuta.» Portò la mano al petto in un gesto teatrale, il cuore pulsava ossessivamente contro il palmo. Stava sorridendo abbastanza? La voce tremava di un nervosismo che gli rosicchiava la pelle. «Certo, detta da te fa un po' ridere. Pensa, ti preoccupo così poco che ti sei preso la briga di procurarti un ostaggio apposta per me! Che gentile, non c'era davvero bisogno.»

«Hai sbagliato mestiere, dovevi fare il pagliaccio» disse Gari. Sputò fuori l'ennesima risata, ma questa gli sgorgò direttamente dal cuore, come fosse davvero la battuta più esilarante che avesse mai sentito. «Vesper non è qui per te, ragazzo. Sei tu che mi servivi per arrivare a lui. Il solo in tutta la cazzo di regione che poteva convincerlo a scappare di casa di sua volontà e senza scorta! Lo ammetto, ci ho messo un po' a capire perché i dadi avessero insistito nel farvi incontrare, ma cazzo se ne è valsa la pena aspettare. Adesso ti è chiaro? Tu non vali niente. L'unica cosa utile che hai fatto è stato fotterti questo frocio del cazzo e portarlo dritto da me.»

Il sorriso gli morì sulle labbra in un verso strozzato. Le dita tremarono, non sentiva più il metallo contro la pelle sudata, strinse la presa mentre il tintinnio dei dadi sibilava nella sua memoria. Gari l'aveva sempre fatto entrare con lui nello studio di Luciano, non quella volta. Gli aveva detto "aspetta fuori" e non era servito altro, perché quando il suo Naru parlava non servivano giustificazioni, e così l'aveva fatto. Aveva resistito cinque minuti prima di cedere alla noia e girovagare per villa Aureli; sapeva che Luciano aveva una figlia – un gran bel pezzo di figlia – che era sempre a casa, non quella volta. Al posto suo aveva trovato Vesper, che stava sempre chiuso in camera sua, non quella volta.

Ringrazia che non l'ho ancora detto a Luciano.

Come aveva fatto a non capirlo? Gari non concedeva mai favori senza un tornaconto.

«Non ascoltarlo, Kay» supplicò Vesper. Il tono era fermo, anche se la voce venne fuori a fatica tra i versi sofferenti che tratteneva tra i denti. Gli occhi non avevano smesso di fissarlo, due voragini in quel viso pallido, l'unico appiglio che lo tenesse ancora in piedi. «Kay. Kay, sparagli. Non farà in tempo a evitarlo, devi–»

«Non ti avevo già detto di stare zitto?» Gari fece scorrere la pistola sulla guancia di Vesper, raggiunse il mento e piantò la canna contro la gola. «L'unica cosa che può fare la tua puttanella è abbassare quella cazzo di pistola, sai perché? Non vi ha portati lui qui, io l'ho fatto. L'idiota non avrebbe trovato nessun tesoro se non avessi progettato tutto perché lo facesse, non aveva neanche idea che ci fosse un tesoro finché Logan non l'ha assunto!»

La vista di Kolt sfocò per un istante, sbatté le palpebre per rimettere il mondo a fuoco. Vesper era sbiancato, gli occhi spalancati fissi nel nulla mentre mormorava parole impossibili da udire. Stava unendo i punti rimasti scoperti nel suo schema? Avrebbe voluto farlo anche lui, ma non era in grado di pensare. La sua mente era sprofondata troppo in basso, non riusciva a risalire.

«Guardami, ragazzo. Chi pensi gli abbia consigliato di assumerti?» Gari allargò un sorriso sporco, gli occhi brillavano di viscida soddisfazione nella luce fioca. «Io l'ho mandato da te. Ti ho dato un lavoro che sapevo avresti preso anche fiutando la fregatura, e ovviamente la principessa non ha resistito a starti dietro. Non ero certo che gli avresti chiesto aiuto, ma a quanto pare è bastato fare un po' di casino in prigione per farti correre da lui.»

«Tu» piagnucolò Cat, vibrante di rabbia. «Li hai fatti ammazzare tu!»

«No, dai! Sul serio? Cazzo, sei davvero un genio!» sghignazzò Gari. L'espressione si raffreddò in fretta quando Cat cominciò a ringhiare: dai suoni di stoffe fruscianti e pestoni aveva cominciato a dimenarsi, forse Märghe non la teneva stretta come prima. Gari le scoccò un'occhiataccia. «Questo ti sembra tenerla sotto controllo? Fai il tuo lavoro, zuccherino. E vieni avanti, non pensare di poterti nascondere.»

Märghe non disse nulla. Venne avanti trascinando Cat con sé, abbastanza che Kolt riuscì a scorgerla con la coda dell'occhio mentre saliva i gradoni, fermandosi a pochi passi da lui. Qualunque cosa avesse detto o fatto, la ragazzina aveva smesso di lamentarsi e se ne stava di nuovo docile tra le sue braccia.

«Se hai da lamentarti prenditela con Kolt, è per lui che sei qui» disse Gari in un sorriso sghembo. «L'unica mercenaria che non ha il coraggio di uccidere... e che avrebbe fatto di tutto pur di non uccidere lui. Se fosse crepato prima di arrivare qui sarebbe stato un bel casino, ma per fortuna sei stata perfetta, hai messo proprio quel pizzico di pepe che serviva.»

«Non osare mettermi in mezzo» sbottò Märghe. «Non ho fatto niente del genere. Non avrei mai accettato un contratto simile.»

«Non avresti neanche mai accettato di lavorare per un ex conte, eppure eccoci qui. Alanya non ti ha mai presentato suo marito? E dire che è lui a metterci i soldi» disse Gari in un'alzata di spalle. Il silenzio di Märghe si fece pesante, qualcosa nella sua espressione lo fece sogghignare. «Il tuo contratto è fuffa, bella mia. Fai la brava e avrai comunque la tua ricompensa, mhn?»

Kolt sputò fuori una risatina nervosa. Ecco il pezzo che mancava: Märghe lavorava per il Conte... solo che non lo sapeva neanche lei. Vesper non batté ciglio, aveva ancora la mascella contratta e lo sguardo fisso verso il pavimento in un'espressione catatonica. Doveva aver messo insieme i pezzi prima di lui, ma era comunque troppo tardi. Il solo giocatore, certo. Logan, Adrian, il Conte, Alanya... Solo prestanomi, figure per confondere le acque. Non c'erano mai state più fazioni, soltanto quella di Gari.

«Non preoccuparti, ragazzo: il ruolo di protagonista non te lo ruba nessuno. Un applauso al pollo supremo, così idiota che si è fregato da solo!» Il suo sguardo tornò su Kolt, uno sbuffo ilare gli curvò le labbra. «Ti credi il più furbo, ma hai solo fatto il mio gioco. Volevo Vesper, la ragazzina e il Glitza, e tu mi hai fatto avere tutto in un colpo solo! Nessuno fa niente per niente, pensavo l'avessi capito: la principessa vuole solo entrarti nei pantaloni; la piccoletta cerca vendetta; la sek è qui per sua ricompensa; e la rossa... Beh. Qualunque cosa volesse, non fotte più un cazzo a nessuno.»

Si tira su un'arena coi controcazzi!

L'eco della voce di Realgar lo schiaffeggiò. Le orecchie fischiavano, ovattate dai mormorii di troppi ricordi. Si insinuavano violenti, macchie di colore che irrompevano nella sua mente così rapide che non riusciva ad afferrarle tutte. Le braccia alzate di Realgar per l'ennesima vittoria. Le sue bestemmie sotto la pioggia, le risate sguaiate per una battuta squallida. Quel tubino di seta che si era messa addosso per la truffa al casinò, il suo profumo mescolato all'acqua di colonia di Vesper quando li aveva stretti a sé. La musica che suonava distante nell'arena e loro tre che ballavano da soli nel corridoio come degli idioti. Le gare di bevute allo Stardust. I progetti campati per aria, le stronzate che si dicevano per passare il tempo. Tutte le volte che avevano combattuto, quelle in cui avevano fatto l'amore.

Ti renderò la regina di cenere e macerie.

Lo sguardo di Realgar splendeva sotto il sole d'estate. Era bellissima con i capelli spettinati e la pelle sudata, l'affanno che la costringeva a respirare a bocca aperta.

Non deludermi, Golden Boy.

Aveva scommesso su di lui. Avevano perso entrambi.

Kolt inspirò a fondo, l'aria si incendiò nei polmoni. «Chiudi quella cazzo di fogna!»

«Poverino, sei triste? Vuoi metterti a frignare?» Gari esagerò l'espressione addolorata, lo schernì in un verso pietoso prima di scoppiare a ridere di nuovo «Sei troppo tenero per questo lavoro, ecco il tuo problema. Troppo buono. Ti ho detto mille volte di non fidarti, e ci sei comunque cascato. Ti ho detto mille volte di non affezionarti, e ti sei innamorato non di una, ma di tre persone! E guardati adesso: Sei patetico, cazzo. Ti basterebbe premere quel grilletto, ma hai troppa paura che il tuo frocetto ci lasci le penne.»

«Non dargli retta, Kay» supplicò Vesper. La canna della rivoltella premeva contro la sua gola, strozzandogli la voce. «Non era un bluff. Non lo è mai stato, non... non mi importa se muoio, ma spara. Spara!»

«Sì, avanti, fallo» lo incitò Gari. «Spara! Ma se non hai le palle, allora getta la pistola e vattene.»

Kolt serrò la presa, la mano così rigida che non riusciva neanche a percepire il Sihir. I dadi rotolavano nella sua testa, giorno dopo giorno, così tante volte da perdere il conto. Quel suono l'aveva accompagnato abbastanza a lungo che ce l'aveva cucito addosso. Aveva importanza se non lo sentiva in quel momento? Aveva vissuto senza Gari per due anni, eppure aveva comunque fatto ciò che voleva lui. Aveva sempre fatto ciò che voleva lui. Come gli era venuto in testa di poter fare il contrario? Come gli era venuto in testa di uguagliarlo, di superarlo?

Guardò Vesper. Incrociare il suo sguardo bastò a metterlo sull'attenti, come se avesse riattivato ogni muscolo. Sottili venature rosse sporcavano il blu della sclera, ancora più inquietante con le palpebre spalancate, gli occhi vibravano senza sosta.

Non riesco a immaginare una singola cosa che non farei per te.

Gli credeva. Non l'aveva fatto prima, ma lo sguardo terrorizzato con cui lo fissava era uno scalpello che aveva inciso quelle parole nella sua carne. Avrebbe davvero preferito morire, cazzo. Nessuno faceva niente per niente, ma Vesper al posto suo si sarebbe sparato in testa da solo pur di salvarlo. E Realgar l'aveva salvato: si era buttata in mezzo senza niente da guadagnare e tutto da perdere, non aveva esitato un istante.

Brutto momento per capire che lui avrebbe fatto lo stesso. Brutto momento per rendersi conto che non avrebbe mai, in nessun caso, premuto quel grilletto. La sua vita era sempre sul piatto, la sua puntata preferita... Ma non avrebbe scommesso su quella di Vesper, non se il rischio di perdere era così alto.

Prese fiato fino in fondo, lo gettò fuori senza fretta. Alzò le mani ai lati della testa. Sorrise.

«No! Non farlo, Kay!» gridò Vesper, la voce spezzata. Graffiava le orecchie come un'unghia rotta sulla lavagna, la sua disperazione lo afferrò per la gola e strinse fino a farlo soffocare. Oh, quanto avrebbe voluto risparmarglielo. «Ti ucciderà, non aspetta altro! Ascolta me, Kay. Kay, ti prego, ti scongiuro, Kay... Kay! Kay!»

Le grida divennero singhiozzi, parole sempre più distorte. Vesper si dimenò con tutte le forze che aveva, scalciò e si contorse, ma la presa di Gari era salda. Gli bastò far leva sul braccio ferito per strappargli un gemito sofferente, le gambe gli tremarono al punto che dovette sorreggerlo di peso perché non cadesse. Piangeva, il viso rosso d'affanno e gli occhi umidi e gonfi, e teneva lo sguardo fisso nel suo mentre lo chiamava. Oh, avrebbe davvero voluto risparmiaglielo.

Avrebbe dovuto dirglielo, che lo preferiva quando sorrideva. Che anche se era un ragazzo – fossero maledetti tutti gli Angeli – ogni volta che mostrava quei canini sporgenti Kolt lo trovava carino. Avrebbe dovuto dire a Realgar che aveva ragione, che voleva recuperare tutti quei ti amo a cui non aveva mai risposto. Avrebbe dovuto dire a Märghe che non gli doveva niente, che la sua vita valeva più di qualsiasi vittoria. Oh, beh. La ruota dello zodiaco aveva già cominciato a girare, il tempo per le scommesse era finito.

Lasciò la presa. La pistola cadde a terra, Vesper urlò più forte. Se non fosse stato un Dotai sarebbe già morto, ma Gari avrebbe aspettato finché non avesse smesso di guardarlo. Avrebbe tenuto la pistola puntata su Vesper finché Kolt non si fosse girato, e solo a quel punto gli avrebbe sparato. Alle spalle. Il destino aveva un senso dell'umorismo davvero del cazzo, però aveva senso. Forse era giusto così. Non c'era altro modo in cui potesse morire.

Tenne gli occhi puntati su Vesper fino all'ultimo istante, poi si voltò. Chiuse gli occhi, contando i battiti prima dello sparo, la gola tremò mentre respirava. Uno-due, tre-quattro... Poi lo scoppio. Strinse i denti, un gemito di dolore raggiunse le sue orecchie ma non era il suo. Il proiettile sibilò alla sua destra, lacerò la pelle della giacca all'altezza del braccio e proseguì oltre, seguito dal tonfo metallico della pistola che colpiva terra.

«Ho detto che non sono ai tuoi ordini» disse Märghe. Aveva ancora il braccio teso dopo aver lanciato il coltello, il grigio nei suoi occhi ardeva come metallo fuso sotto le lanterne. «Cathleen!»

Cat affondò la mano nella tasca centrale della salopette, ne tirò fuori due mandorle da frantumare tra i denti. Non gli aveva detto di averne nascoste un paio lì... Brava ragazza. La polvere si sollevò tutta insieme, i granelli sottili grattarono contro la pelle scoperta e cominciarono a vorticare all'altezza dei loro visi, costringendolo a strizzare gli occhi per riuscire a tenerli aperti. Cercò Vesper: vide Gari imprecare e spingerlo via prima che la nube gli coprisse la visuale, il suo gemito di dolore riverberò fin dentro le ossa.

«Ha il libro!» gridò tra i colpi di tosse. Kolt lo intravide che arrancava al suolo, i passi pesanti di Gari che pestavano la pietra. «Ha i dadi!»

Addio colpi di fortuna... Ma era sopravvissuto due volte, se lo sarebbe fatto bastare. Raccolse la pistola – assorbire Sihir era fuori discussione – e si gettò al suolo, allungando un braccio verso la rivoltella di Gari. Erano stati i dadi a suggerirgli di prendere prima il Glitza? Non c'era tempo per pensare. Era disarmato, Märghe gli stava scagliando contro tutte le lame che aveva nascosto nella tuta scura e neanche lui poteva fare due cose allo stesso tempo. Le dita si Kolt si chiusero attorno al manico di madreperla e un sospiro di sollievo gli svuotò il petto; pregò il Signore della Luce, gli Angeli e persino le fate che Gari non avesse un'arma di riserva.

Le sollevò entrambe verso la figura che si muoveva nella polvere e cominciò a sparare. I colpi sfrecciarono nella polvere e si persero nell'immensità della sala, i coltelli di Märghe fecero lo stesso. Non potevano colpirlo, ma forse sarebbero riusciti a tenerlo impegnato abbastanza da impedirgli di—

Errore. Grave, gravissimo errore. La polvere si addensò in nubi più fitte, si mosse in avanti al suono delle mandorle sgranocchiate e dei grugniti che Cat emetteva per lo sforzo. Quando si compattò in una forma più o meno concreta, prese velocità e volò su Gari. Mancò il bersaglio, ovviamente; poi virò all'improvviso, come una trottola che perde aderenza, e si abbatté contro una delle colonne, mandandola in frantumi. Il camminamento che sosteneva crollò insieme a lei, spaccandosi in grossi ammassi rocciosi che si schiantarono al suolo in un impatto violento. Cat gridò mentre la pietra scricchiolava e ruggiva, le crepe avanzarono rapide finché una grossa porzione di balconata si staccò proprio sopra la testa di Kolt. Maledetto bastardo.

Si gettò di lato, il blocco roccioso lo mancò per un soffio. La terra tremò al punto da farlo barcollare, vento caldo e polvere lo investirono come uno schiaffo mentre la scossa risaliva fino a far vibrare le ginocchia. Rotolò in avanti. L'istinto di coprire il volto lo salvò dai detriti che schizzarono in ogni dove, graffiando la stoffa della giacca e dei jeans.

«Non volevo farla girare!» gemette Cat.

«Non è colpa tua, è Gari» disse Vesper. «Micron è ingestibile con il suo Naru, troppo distruttivo. Non puoi usarlo, ci crollerà tutto addosso.»

«Allora—»

«Scappa! Gari vuole me e te, dobbiamo togliergli qualcosa. Vai a cercare Peridot, corri!»

Cat esitò, i pugni stretti. Mugolò il suo dissenso, poi corse via e si infilò nel corridoio da cui erano entrati. Gran parte della polvere cadde al suolo mentre si allontanava, altra restò sospesa a mezz'aria attorno alle macerie che si erano ammassate in una fila scomposta, sotterrando l'altare. Gari non ci era finito sotto, quello era certo; non si vedeva da nessuna parte, però, né si udiva la sua voce o il suono dei suoi passi.

«Dovete fuggire anche voi» disse Vesper. Si accasciò su una colonna e sfruttò l'appoggio per tirarsi su, il peso gettato solo sulla gamba sinistra. Mantenne la destra piegata, così da poggiare a malapena il piede a terra. «Volesse il Lucente, preferirà portare via me che inseguirvi.»

Kolt tenne le pistole alte, scandagliando la stanza. «Prego, Snowqueen. Prima le signore. Noi arriviamo tra poco.»

«Bastardo il Lucente, Kay!» La voce di Vesper si incrinò, slittando in un singhiozzo. «Io non posso camminare, e tu non puoi ucciderlo.»

«Non ha un'arma.»

«Come se ne avesse bisogno! Ha i dadi, Kay. Io gli servo, non mi ucciderà, ma tu devi andartene.»

Kolt inspirò fino in fondo, trattenne il respiro un istante prima di buttarlo fuori. «Märghe, vai. Mi servirà un Angelo della vendetta se le cose vanno male.»

«Dümmer wie ein meter feldweg» borbottò lei, qualunque cosa volesse dire. «Non essere sciocco. Mi devi ancora una cena.»

Le labbra carnose di Märghe si piegarono in un sorriso morbido. Tenne lo sguardo intrecciato al suo per un istante più lungo del necessario, poi corse via. Il suono dei suoi passi leggeri svanì in fretta, restò solo la voce di Vesper che lo chiamava, Kolt non si voltò a guardarlo. La ruota dello zodiaco si muoveva ancora, scandiva i giri al ritmo del suo cuore, e lui aveva già piazzato la sua scommessa: sarebbe uscito da lì insieme a Vesper oppure morto.

Avanzò, le braccia tese e i sensi all'erta. Zittì Vesper che reclamava la sua attenzione, passò in rassegna la sala scura e immobile. Il silenzio si incastrò nella polvere sospesa, nell'acqua di nuovo placida, nel sudore pungente che gli era rimasto appiccicato addosso insieme a sporco e sangue. Il tintinnio dei dadi gli contorse lo stomaco. Uno schiocco di labbra, poi la risata piena di Gari.

«It's your lucky day» annunciò, divertito. Scivolò fuori da dietro una colonna, il Glitza in una mano e i dadi ben in vista nell'altra. «Vedi di non sprecarlo.»

Gli fece l'occhiolino prima di voltarsi, imboccando uno dei tunnel di pietra. Vesper riempì il petto in un sospiro rumoroso, come fosse rimasto senz'aria fino a quel momento, ma quel sollievo non lo raggiunse. Kolt tenne gli occhi puntati nel passaggio, il suono dei dadi nelle orecchie. Se gli avevano consigliato di fuggire, allora doveva fare di tutto per impedirlo.

Saltò giù dai gradoni, evitò le macerie e corse avanti. Il sangue ribolliva nelle vene, dolore e fatica erano soffocati dall'odio che obbligava i muscoli a muoversi. L'avrebbe ucciso. Avrebbe sprecato tutta l'energia mistica che riusciva ad assorbire e l'avrebbe costretto a fare lo stesso, l'ultimo a raggiungere l'Affaticamento sarebbe rimasto in piedi. Vincere tutto o perdere tutto, quello era l'unico modo in cui sapeva giocare.

Entrò nel tunnel con il Sihir che sfrigolava tra le dita. Individuò che correva, il rettilineo lungo e stretto non gli concedeva via di fuga, puntò entrambe le pistole contro di lui. Mirò, le dita pronte sui grilletti.

La vista della sua schiena lo pietrificò. Risuonò una risata più dolce, ciuffi dorati smossi dalla brezza estiva, il sole che bruciava sulla pelle. Spara, ma le braccia rimasero immobili. Spara, ma le gambe tremavano e gli mancava l'aria, il cuore si era atrofizzato insieme agli altri muscoli.

Spara, maledizione, spara!

La vista si appannò per un istante, un minuto, forse un'ora. Chiuse gli occhi e il sole smise di bruciare, Enai smise di ridere, la sabbia divenne pietra e l'odore di salsedine lasciò di nuovo il posto a umidità e muschio.

Riaprì gli occhi. Non c'era più il mare, solo il tunnel vuoto di fronte a lui.



Avete presente quei capitoli (o scene) attorno ai quali si costruisce tutta la storia e che non vedete l'ora di scrivere? Bene, vi presento IL capitolo :') Ci sono molte scene (specie future) che smanio dalla voglia di scrivere, vere e proprie pietre miliari che mi fanno dire "io questa storia devo finirla per forza, che voglio scrivere Scena X", ma questo è sicuramente il momento cardine della storia, quello che si è creato nella mia mente sin dall'inizio e che ha resistito (con i dovuti cambiamenti) nonostante i vari cambiamenti di trama, aggiunte e via discorrendo.

Che Gari non fosse uno stinco di santo l'avevamo capito. Che potesse tradire Kolt forse qualcuno lo aveva sospettato (nel momento in cui scrivo pochi sono in pari), ma chi aveva immaginato che ci fosse lui dietro TUTTO? 👀

Ecco il motivo per cui il povero Vesper non riusciva a mettere insieme i pezzi: Gari ha pianificato tutto non secondo logica ma sfruttando il suo Naru, che è un po' come barare. Certe scelte sembrano non avere senso perché per noi è impossibile tenere conto di tutto, mentre per un Naru è tutt'altra storia. E così Kolt è finito dritto dritto nella sua trappola...

Del Naru di Gari parleremo meglio più avanti, non temete, ma intanto sono curiosa di sapere che ne pensate e che effetto vi ha fatto questa rivelazione! Ma soprattutto, quanto cazzo è stronzo? :') Avevo paura che il suo discorso sembrasse troppo cliché da "cattivo che ti spiega il piano" ma in realtà non ha spiegato il piano, ha detto di esserci lui dietro tutto e il motivo - che spero sia chiaro - è per far crollare Kolt, non per spiegarlo ai lettori. Quindi nulla, spero di aver reso bene il momento IT WAS AGATHA ALL ALONG XD

E veniamo alla nota dolente, che - credetemi - non ha smesso di fare male :') Non c'è - ancora - stato il tempo mi metabolizzare la sua dipartita, ma spero di aver reso bene la sua importanza e, soprattutto, l'impatto del suo gesto ç_ç

Beh, che dire, ho parlato anche troppo ma questo capitolo significa tanto e non vedevo l'ora di finirlo, ci ho messo un secolo a partorirlo ma spero ne sia valsa la pena! ♥

Alla prossima! 

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