Capitolo 26 - Il giorno dopo

Vesper appoggiò la schiena alla colonna e riprese fiato. Il respiro raschiò la laringe arrossata, il cuore batteva così veloce che i battiti si confondevano, pulsando tra le tempie e le ossa doloranti. Restò immobile, immerso in quel silenzio umido e vuoto, e il tempo si dilatò in un istante infinito finché Kolt non venne fuori dal tunnel. Solo a quel punto ricominciò a scorrere, e la tensione sciolse i suoi muscoli con un sollievo tale che per poco non crollò di nuovo a terra.

«Kay!»

Appoggiare la gamba destra lo trafisse con una scarica di dolore sotto il ginocchio che gli strappò un gemito, ma riuscì a sostenersi quel tanto che bastava per zoppicare in avanti. Grazie agli Angeli aveva protetto bacino e femore, o non sarebbe riuscito a fare neanche quello; tutto merito di Realgar che gli aveva insegnato come cadere.

Il cuore si sciolse a quel ricordo. Lo afferrò per la gola mentre gli occhi cominciavano a pizzicare. Gli faceva male dappertutto – testa, muscoli, ossa – ma quello non era niente. Ci era già passato, aveva provato dolori peggiori, fitte così lancinanti da farlo svenire, ma poi era finita. Una volta coperta la cicatrice con il tatuaggio, il ricordo smetteva di fare male. L'Oblio era un'altra cosa; aveva trascorso notti insonni a piangere, invocando il nome di sua madre fino a perdere la voce. La ferita si era rimarginata, ma non c'era modo di coprire quella cicatrice. Non aveva mai smesso di tormentarlo, non l'avrebbe fatto neanche quella volta.

Forse era stato davvero maledetto dalle fate, o forse lo era sempre stato. Era il suo destino, veder morire le donne che amava con un colpo alla testa.

«Kay» uggiolò, la voce acquosa tra i singhiozzi.

Lui non rispose. Si fermò come se avesse sbattuto, le braccia inermi lungo i fianchi e gli occhi vitrei. Vesper seguì il suo sguardo fino allo specchio d'acqua e lo stomaco si strinse in una morsa che riverberò fino alle caviglie. Prese fiato, ma le parole si mescolavano nella sua mente come note suonate troppo a lungo.

D'un tratto Kolt trasalì. Drizzò il collo e lo sguardo si riaccese come se avessero premuto un interruttore, i muscoli rigidi. «Rea non sa nuotare.»

«Cosa?»

Lui non diede cenno di averlo sentito. Corse verso la polla e gettò a terra le pistole per tuffarsi in acqua. Riemerse poco dopo con Realgar sottobraccio, la trascinò a riva e faticosamente la issò sui gradoni. Si arrampicò a sua volta e si inginocchiò al suo fianco, grondante e gemente per lo sforzo. Gli tremavano le mani, lo sguardo era smarrito. Si sistemò alle spalle di Realgar, le circondò il busto con le braccia e cominciò a stringere in spinte decise.

Vesper sentì mancare le forze. «Kay...»

«Aiutami» supplicò lui. «Chissà quanta acqua ha bevuto. Cazzo... Cazzo!»

«Kay, ti prego...»

«Aiutami, Vi! Non respira!» Kolt distese Realgar supina e cominciò a premere all'altezza dello stomaco. Lei giacque immobile, il viso scuro sporcato dal sangue annacquato, nessuno spasmo a smuoverle il corpo. Vesper singhiozzò, distolse lo sguardo mentre Kolt si chinava a soffiare aria tra le sue labbra. «Cosa devo fare? Tu lo sai, sai sempre tutto. Dimmi cosa cazzo devo fare!»

«Non possiamo fare niente» balbettò. La gola era stretta al punto da fare male. «Lei è... Lei...»

«Deve sputare l'acqua. Deve solo sputare l'acqua.»

L'ha colpita alla testa, Kay. Non puoi... Non funzionerà.»

«Cazzo, Vi! Morirà se non mi dai una mano!»

«È già morta!» Lo sputò fuori a fatica, insieme alle lacrime i singhiozzi che non riusciva più a trattenere. «È morta, Kay. È morta.»

Si appoggiò alle macerie e si sedette a terra, tirò il colletto della camicia per liberare il collo e respirare. Kolt alzò gli occhi e il viso si fece pallido, l'espressione si spense. Lo sguardo si riempì di una tale disperazione da strappargli un altro singhiozzo.

«No. Avevamo vinto. Dovevamo andare in vacanza, noi...»

Vesper gli gettò il braccio buono al collo e gli si accasciò addosso, singhiozzando più forte. Si aggrappò alla giacca zuppa e lo strinse fino a sentire che tremava, il fiato corto e spezzato. Lui non parlò, non si mosse, non pianse. Rimasero così finché un brontolio roccioso non si insinuò dai tunnel, e l'attimo dopo i lamenti delle fate tornarono a soffiare violenti fin dentro la sala. Qualcuno aveva fatto scattare un'altra trappola?

Vesper gettò fuori l'aria in soffi pesanti, cercando di ritrovare un contegno. «Dobbiamo andarcene.»

Kolt non sembrava presente, ma lo aiutò a rimettersi in piedi e gli offrì appoggio per camminare. Non emise fiato, non raccolse neppure le pistole. Tenne lo sguardo basso e avanzò fino all'ingresso del tunnel, e solo a quel punto si voltò.

«La cremeranno?»

«Io... Torneremo a prenderla, Kay. Te lo prometto.»

Lui però scosse il capo. «A Verlate i morti non si bruciano. Si sotterrano.»

Sollevò un braccio, il Sihir guizzò dalle sue dita in un lampo viola. Il fragore del boato si perse nell'assordante fruscio della trappola. L'energia mistica prese la forma di una palla da cannone e si abbatté su una colonna, poi un'altra e un'altra ancora, e il reticolo di camminamenti collassò su se stesso. Vesper si strinse a Kolt mentre tutto crollava, schizzando acqua e polvere e detriti finché l'aria non tornò immobile.

Percorsero la via a ritroso, in silenzio. Vesper aveva memorizzato le svolte, ma Cat? Era riuscita a trovare la strada giusta? Quando raggiunsero la sala iniziale, Peridot era sola. L'idea della ragazzina che si aggirava senza meta per il labirinto gli pizzicò il petto, ma se si fosse persa avrebbe potuto aprirsi una via di fuga con Micron... Sempre che non le fosse crollato tutto addosso.

Peridot trasalì quando li vide. «Stelle! Cosa cazzo è successo?»

«Gari Kafalik» sputò fuori Vesper, velenoso. «C'è lui dietro tutto. Il Conte, Logan, il committente di Märghe... Ogni cosa. Ha preso il tesoro ed è fuggito.»

«Tutto questo casino per un manufatto del cazzo?»

«L'ho sentito dire Glitza.» Peridot sgranò gli occhi. «Vuole quello, e il controllo della città. Ha cercato di prendere anche me, è facile intuire il motivo.»

Per chiunque altro sarebbe stata una follia. Se anche avessero rapito lui o Fosfor, nessuno avrebbe saputo come gestire la trattativa e uscirne vivo – nessuno a parte Gari. Convincerlo a scappare di casa di sua volontà e senza scorta... Qualunque assurdo piano gli avessero suggerito i dadi, Vesper era lieto di non doverne fare parte.

«Rea e Cat?» chiese Peridot.

«Ho detto a Cat di scappare... Credevo ti avesse già raggiunta.»

«Fantastico, si è persa chissà dove. Almeno Rea è con lei, non dovrebbe schiattare.»

Vesper deglutì a vuoto. Abbassò lo sguardo dopo aver visto quello di Peridot farsi incerto.

«Blackstar. Rea è con lei?» Lui riuscì solo a scuotere il capo. «Dov'è?»

«Lei...» La voce sfumò in un mormorio indistinto. Gli sfuggì un singhiozzo, prese fiato perché non riusciva a parlare. «Gari ha cercato di uccidere Kolt. Gli ha sparato alle spalle, lui non l'ha visto, lei... Lei sì.»

Incrociò di nuovo lo sguardo di Peridot, lo tenne fisso su di lei finché la consapevolezza non la raggiunse. Sbiancò, gli occhi sgranati, le labbra truccate di nero cominciarono a tremare.

«Dimmi che non è vero» gemette, alternando lo sguardo dall'uno all'altro. «Kolt, dimmi che è uno dei tuoi scherzi del cazzo.»

Lui tacque. Alzò gli occhi vuoti, e dopo un lungo istante chinò di nuovo il capo. Peridot rimase pietrificata per un po', gli occhi gonfi di lacrime, poi il viso si contorse in una smorfia e il dolore esplose insieme alla rabbia. Afferrò Kolt per la giacca, urlando e piangendo mentre lo strattonava. Gli riempì il petto di pugni, le grida si mescolarono ai singhiozzi in frasi sconnesse. Lui sopportò in silenzio i calci, gli schiaffi e le accuse, finché Peridot non si abbandonò contro di lui per piangere.

Vesper si sforzò di non scoppiare di nuovo in lacrime, trattenendo il magone doloroso che spingeva in gola. Quattordici anni prima era lui che non riusciva a smettere di piangere, e Luciano si era chiuso nel suo dolore e vi stava annegando. Era merito di Fosfor se non erano crollati: era solo una ragazzina e aveva appena perso sua madre, ma si era fatta carico della sofferenza di entrambi. Li aveva tenuti a galla. Era giunto il suo momento di farlo.

Nessuno protestò quando Vesper stabilì i passi successivi. Peridot era stravolta, Kolt non parlava ancora, ma seguirono le sue direttive e richiamarono gli altri Rascals dai tunnel. Se c'erano mai stati altri uomini del Conte dovevano essersene già andati, perché il labirinto era vuoto – e aveva di certo più di un accesso, se Peridot non aveva incrociato né Märghe né Gari. Cat non si trovava da nessuna parte. Forse aveva trovato un'altra uscita... o forse qualcuno l'aveva presa. L'apprensione gli si appiccicò addosso, seguendolo fino alla base.

L'arena sembrava vuota senza Realgar. I Rascals avevano subito diverse perdite, ma nessuna pesava quanto la sua: il sole si era spento e aveva trascinato nell'oscurità tutto il resto. Vesper si prese il compito di dare a Tourmaline la notizia, restò in disparte quando lui si strinse a Peridot per consolarla e soffrire insieme. Qualcuno gli porse una stampella, ringraziò a mezza voce senza riuscire ad alzare lo sguardo. L'aria era stantia, dolorosa, pesante. Un cordoglio fatto di silenzi e singhiozzi, minacce che si perdevano nell'immensità della sala del ring.

Man mano i più si ritirarono dietro le quinte, Vesper seguì Kolt nella stanza che a volte usava per dormire. Realgar ne aveva fatta preparare una anche per lui, giusto in caso. L'aveva usata la notte precedente per la prima volta e lei aveva esultato come se fosse una vittoria personale. La prossima volta si dorme tutti nella mia stanza, aveva detto, con quel sorriso che avrebbe scaldato persino l'Oblio. Temo che non ci sarà una prossima volta, aveva risposto Vesper. Non aveva mai desiderato tanto di avere torto.

Si sedette sul letto, sistemò la miriade di cuscini colorati per appoggiare la schiena. Stelle, era distrutto. La spalla non la smetteva di pulsare, la gamba lanciava fitte costanti e doveva essersi procurato altre microfratture, perché il dolore era così diffuso che non avrebbe saputo elencare un punto che non gli facesse male. Con le dita tremanti afferrò la bottiglietta di antidolorifico e bevve l'ultimo sorso. Si era ripromesso di conservarlo, ma peggio di così sarebbe morto prima di utilizzarlo. Lo ingoiò senza fretta, assaporando il retrogusto dolciastro del Sihir per un po' di conforto.

Kolt si era seduto accanto a lui, gli abiti bagnati ancora addosso. Teneva lo sguardo basso, i gomiti poggiati sulle ginocchia larghe, immobile se non per le dita che si rincorrevano. Le intrecciava, tamburellava sul palmo, apriva e chiudeva i pugni. A volte distendeva indice e medio in un modo che non gli piaceva, con le estremità rivolte verso se stesso. Non durava che una frazione di secondo, ma cominciava a fargli paura.

Non aveva ancora trovato qualcosa da dire. Persino quando il Rimedio cominciò a fare effetto, alleviando le pene del suo corpo, la mente restò immersa nel pantano che bloccava i suoi pensieri. Prese fiato, schiuse le labbra più volte e altrettante le richiuse. Meditò se abbracciarlo, prenderlo per mano, quantomeno accarezzargli la schiena. Lui però si era seduto lontano, ai piedi del letto, quasi gli dava le spalle; così si arrese al silenzio.

Dopo un'attesa infinita, Kolt prese un respiro più profondo degli altri. «Che ci fai ancora qui?»

«Non credo ti faccia bene restare da solo adesso» mormorò Vesper. Sfilò l'anello e se lo rigirò un paio di volte tra le dita prima di rimetterlo a posto, continuando a tormentarlo. «E poi sono certo che Rea mi avrebbe rimproverato, se me ne fossi andato.»

«Stronzate. Ha sempre avuto un debole per te, avresti potuto buttare giù l'arena e lei avrebbe detto: "Di sicuro non è colpa sua, il mio little prince non ha mai fatto niente di male".» Gli sfuggì una risata agrodolce. La voce era così bassa e roca che Vesper dovette sforzarsi per comprenderlo, ma sentirlo pronunciare più di cinque parole gli alleggerì il petto. «Non avrei dovuto chiederle aiuto. Era il mio lavoro, avrei dovuto trovare il modo di vedermela da solo.»

«Sapevamo che c'erano dei rischi. Ti abbiamo seguito perché volevamo farlo.»

«Rea non c'entrava nulla. Non era parte del grande piano di stocazzo, non avrebbe dovuto essere lì. Io ce l'ho portata. Io l'ho buttata in mezzo.»

«Non è colpa tua, Kay.» Vesper si spostò sul letto per sedersi più vicino. Le ossa protestarono e dovette serrare le labbra per trattenere un lamento, ma il cerchio alla testa era diminuito, i muscoli pulsavano con meno intensità. L'efficacia della medicina jiyana non avrebbe mai smesso di stupirlo. «Sarebbe finita male comunque. Se Rea non fosse stata con noi, saresti morto tu. Sarebbe morta Märghe, forse anche Cat. Eravamo destinati a perdere, lo capisci? È già un miracolo che io sia riuscito a sfuggirgli.»

«Non suona come una vittoria.» Quel tono acido si conficcò dritto nel petto di Vesper, ma l'attimo dopo Kolt drizzò le spalle e si voltò a guardarlo con urgenza. «Non per te. E neanche per loro. Cazzo...»

«Ho capito.» Lo rassicurò con un sorriso. «Quello che intendo dire è che discutere di se e di ma non ha alcun senso. Il gioco delle colpe non porta mai nulla di buono.»

«Ma è proprio quello che conta. No? Se non fossimo andati, se lui fosse tornato prima, se lei non si fosse distratta...» La sua voce si fece distante. Intrecciò le dita, le serrò strette tanto da farle tremare. «Tu hai fatto questo, io quell'altro. Possiamo buttarci la colpa addosso per giorni, ma gira e rigira importa solo chi perde, e sono io che ho premuto il grilletto.»

«Gari ha premuto il grilletto» insistette Vesper. Gli posò una mano sulla spalla e lui non si ritrasse, però distolse di nuovo lo sguardo. «Non è colpa tua. Rea ha fatto la sua scelta, e scommetto che ne va fiera. Se fosse qui, si vanterebbe di averti salvato la vita.»

Kolt restò a fissare il vuoto in silenzio, il petto che si gonfiava in respiri lenti. Cominciò a muovere una gamba, battendo il piede a ritmo serrato, poi fu il turno degli spasmi alle labbra. Le schiuse per prendere fiato e parlò a mezza voce.

«Non le ho mai creduto. Mi diceva "ti amo" ogni cazzo di volta, ma pensavo... Insomma, a sparare cazzate sono bravi tutti, e questa è la più grande cazzata di tutte. La cazzata suprema. Non posso essere il coglione che ci casca, lo so come va a finire: te ne stai lì a soffrire come un cane, e ti rode il culo perché la colpa è tua che sei stato così fesso da farti fregare. Joke's on me, è finita così comunque.» Si passò le mani sul viso, strofinando gli occhi umidi prima dell'ennesimo respiro bloccato a metà. Guardarlo spezzò il fiato anche a Vesper, si trovò a inspirare mentre lui inspirava, affamato d'aria. «Nessuno fa niente per niente. Regola numero uno, quella vera. L'amore è per i deboli, è... solo una delle tante stronzate che ci si racconta per dormire la notte, una bella favoletta per i fessi. Parole vuote, come "amici" o "famiglia". Oggi ti amo, domani... Chi lo sa? Non puoi fidarti di nessuno, neanche di te stesso – soprattutto di te stesso: non sai di cosa sei capace fin quando non ti ci ritrovi in mezzo. Vale per tutti, per lei, per me. Soprattutto per me.»

Vesper si umettò le labbra, inspirando piano per concedersi il tempo di pensare. Puoi fidarti di me, ma quello non sarebbe bastato a convincerlo. Mi fido di te, ma aveva la sensazione che gli avrebbe riso in faccia. Vesper non era mai stato esplicito nella sua devozione, ma neanche l'aveva nascosta; era evidente ai limiti del ridicolo, persino Kolt se ne prendeva gioco. Parole vuote... Sul serio? Kolt era pronto a morire, nel labirinto. Per lui. Quando si era ritrovato in mezzo aveva scelto di gettare via la pistola. Aveva le prove davanti agli occhi, perciò non era quello il punto. Cosa lo bloccava davvero?

Mordicchiò la chiusura del piercing, muovendolo con la lingua. Se avesse potuto leggere le sue parole sarebbe riuscito a ragionarci meglio su, ma ascoltare aveva i suoi vantaggi: poteva sentirne il peso, là dove la sua voce si incrinava.

«Diresti che mio padre è un debole?»

Kolt aggrottò la fronte, fissandolo di sottecchi.

«Se l'amore è una favoletta per i fessi, mio padre ne è il re indiscusso. Quale pensi che sia il motore che l'ha spinto al vertice di Lenwish? Ricchezza? Potere?» Un soffio ironico gli curvò le labbra. «È mia madre. È sempre stata mia madre, tutto ciò che hanno creato insieme. Ha sbaragliato la concorrenza per lei. Ha bruciato mezza città per lei. Ha ucciso, torturato e distrutto, ha sottomesso la malavita per lei. Perché io e Fosfor potessimo crescere al sicuro. Perché qualcuno aveva osato strappargli ciò che amava e non avrebbe permesso che accadesse di nuovo. Era così anche per Realgar, in un certo senso. Entrambi sono disposti a tutto per amore – e anch'io. Lo sono anch'io.»

Si avvicinò ancora, spostò la mano sul suo braccio e lo accarezzò piano fino alla mano. Stelle, aveva i muscoli così rigidi che sembravano fatti di metallo. Si insinuò tra le dita rigide, accarezzò il dorso con il pollice per invitarlo a fargli spazio. Non lo fece, ma neanche si spostò; la mano ebbe un piccolo spasmo, poi Kolt prese fiato all'improvviso e gettò fuori l'aria come non vedesse l'ora di liberarsene.

«Guess I'm the only asshole, then.»

«Se fosse vero non sarei qui» sussurrò Vesper. «Gari si sbaglia. Nulla di ciò che ha detto è vero, sono idee che ti ha messo in testa per—»

«Gari me l'ha solo confermato. Non ha detto niente che non sapessi già.»

Ritirò la mano. Si alzò dal letto in uno scatto nervoso, che lo spinse a camminare avanti e indietro per la stanza. Era sempre stato bravo a domare le sue espressioni, ma le sue labbra non stavano ferme un attimo, e la sua testa, le mani.

«Sono tutte delle fottute bugie! Il giorno prima i tuoi genitori si amano, quello dopo si urlano addosso e fanno a gara a chi firma prima il divorzio. Il giorno prima sei sempre con i tuoi amici, quello dopo non riescono neanche a guardarti in faccia. Il giorno prima tuo padre è orgoglioso di te, tua madre ti chiama il suo tesoro più grande, e quello dopo dicono che preferirebbero non fossi mai nato.»

Afferrò la sedia accanto alla scrivania e la scaraventò a terra. La spinse via con un calcio, un ringhio gli attraversò la gola e mutò in un grido di frustrazione. Cominciò a gesticolare mentre camminava, le braccia rigide, una smorfia feroce sul volto arrossato. Vesper l'aveva visto perdere il controllo poche volte e le rammentava tutte, ma mai così: mai come se stesse bruciando e muoversi era l'unico modo per contenere le fiamme. L'aveva visto usare la rabbia per mascherare la paura, la preoccupazione e il dolore, ma non erano mai state così intense da prosciugargli il petto solo a guardarlo.

«Il giorno prima dici a tuo fratello che gli vuoi bene. Lo fai dormire con te nel letto perché sai che odia i posti nuovi, gli prometti che gli insegnerai a fare i rimbalzi con la palla, gli dici di chiamare te se gli altri bambini lo prendono ancora in giro. Il giorno prima siete felici, e quello dopo...» Si fermò. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi in un sospiro esausto, lo sguardo perso nel vuoto. Il livore con cui aveva scandito le parole si congelò, la risata nervosa abbandonò il suo viso, la voce scivolò via dalle labbra in un sussurro appena udibile. «Quello dopo gli spari alle spalle.»

Vesper tirò un respiro che si mozzò in gola. Si ritrovò a trattenerlo mentre guardava Kolt, l'espressione accartocciata di un dolore che lacerò lo stomaco. Schiuse le labbra, non riuscì a parlare. Avrebbe dovuto dire qualcosa, avrebbe voluto farlo, ma riusciva solo a pensare: tutti quei minuscoli dettagli che aveva raccolto negli anni riempirono spazi vuoti che non sapeva esistessero, definendo uno schema più complesso di ciò che aveva abbozzato.

Quale figlio di puttana spara alle spalle?

Non se n'era mai reso conto prima, ma Kolt non l'aveva mai fatto. Mai, neanche una volta in sette anni. E con i Buzzard aveva insistito per essere il cugino di Cat, non il fratello; Vesper l'aveva trovato bizzarro, ma non ci aveva mai dato peso. Pensandoci, Kolt non aveva mai fatto neanche quello: nelle decine di truffe che avevano elaborato insieme a Realgar, era stato sconosciuto, amico, cugino, collega, persino fidanzato, ma non fratello.

La mente riorganizzò quelle informazioni in fretta e furia, poi anche il senso di quelle parole lo raggiunse. La consapevolezza lo travolse tutta come un'onda gelida che gli fece accapponare la pelle, un brivido freddo attraversò il corpo fino a raggrinzire il cuore. Chiedeva scusa a qualcuno, nel sonno. Si rigirava, tormentato, supplicando Enai di perdonarlo.

Oh, Stelle. Oh, Stelle.

«C'mon. Prova a dire che non è colpa mia» disse Kolt, le braccia larghe come a volerlo sfidare.

Vesper sentì qualcosa liquefarsi nel petto, a stento trattenne un singhiozzo. «Kay... Cos'è successo?»

Lui si voltò, scuotendo il capo. Riprese a camminare, si muoveva come se qualcosa lo stesse inseguendo e se si fosse fermato l'avrebbe raggiunto – no, l'aveva già raggiunto. Lo stava divorando dall'interno, da così tanto tempo che Vesper aveva paura a chiedere quanto.

Afferrò la stampella e si tirò in piedi, strinse i denti per sopportare la fitta di dolore che gli incendiò i nervi. Tutto il suo corpo urlava, camminò comunque verso Kolt. «Parlami, Kay. Tenertelo dentro ti sta distruggendo, dimmi... Dimmi solo cos'è successo, ti prego. Kay...»

Gli sfiorò la spalla. Lo sentì farsi rigido a quel tocco, poi sciogliersi quando incrociò il suo sguardo. Aveva un'espressione stravolta, vittima di deboli spasmi, gli occhi lucidi.

«Kay» sussurrò, addolcendo il tono. «A me puoi dirlo. Puoi dirmi tutto.»

«Doveva essere un gioco. Erano solo delle fottute pistole ad acqua» sputò fuori lui. Si liberò di un respiro che gli afflosciò il petto, dovette umettarsi le labbra e deglutire più volte per proseguire. «Enai faceva schifo. Non avrebbe saputo colpire un bersaglio fermo davanti ai suoi piedi, era davvero terribile. Ero io quello bravo, ma ero il maggiore e mamma diceva... Mamma diceva dovevo lasciarlo vincere. Non mi andava, ma l'ho fatto: tante, tantissime volte. Ero stanco di perdere, ero solo... stanco. Non ero arrabbiato. Volevo solo vincere, per una cazzo di volta, una sola. Me lo meritavo! Così ho sparato. Ho sparato e...» Le labbra vibrarono in un respiro spezzato. Abbassò lo sguardo, concentrato su qualcosa che ai suoi occhi riempiva lo spazio vuoto sul pavimento. «E lui è caduto. L'hanno portato in ospedale. Hanno salvato lui, ma per le gambe non c'è stato niente da fare.»

Vesper sbattè le palpebre. Sistemò quelle parole con cura nei suoi pensieri, rattoppando gli strappi nell'intreccio che le collegava. Ricostruì quell'immagine nella sua mente, due bambini che giocavano in cortile, magari in giardino. D'estate, ci avrebbe scommesso. Sole alto nel cielo, schizzi d'acqua sulla pelle sudata, poi lo sparo. Non il sibilo innocuo che apparteneva a un giocattolo, qualcosa di mistico – inaspettato. Nessun genitore avrebbe mai lasciato impugnare una pistola finta a un bambino sapendo che...

«Stelle» mormorò Vesper con un filo di voce. «Hai sbloccato il Naru in quel momento?»

Lui annuì in risposta. «Io non... Non pensavo di volerlo fare, ma eccoci qui. Non si può mentire al Sihir. È questa la verità, è il giorno dopo quello che conta.»

«Kay...»

«Come potevo crederle, Vi? Ero certo che fossero solo stronzate!» Si scansò di nuovo, avanzando fino alla scrivania. Scostò la sedia con l'ennesimo calcio, ringhiando la sua frustrazione. «Come cazzo potevo sapere che era vero? Doveva esserlo anche quello che provavo per mio fratello, ma gli ho sparato. Gli ho sparato, cazzo! È finito su una fottuta sedia a rotelle per colpa mia!»

«Non è stata colpa tua.» Vesper zoppicò per raggiungerlo. «Kay, guardami, non è colpa tua. Non potevi saperlo, uno Sblocco è imprevedibile.»

Vesper lo afferrò per un braccio, spingendolo a voltarsi. Lui fece per ritrarsi, ma fermò il movimento a metà: si era girato quel tanto che bastava per guardarlo di sbieco, gli occhi puntavano la sua spalla. Quella ferita. Il dolore pulsava in un lamento costante, ma poteva usare solo quel braccio, l'altro gli serviva per la stampella. Kolt inghiottì a vuoto, poi si arrese a quella stretta.

«Volevi fargli del male?»

«Volevo sparare. Non è stato un incidente: ho alzato la pistola, ho preso la mira e—»

«Non è quello che ho chiesto, Kay. Volevi fargli del male?»

Kolt boccheggiò. Gli occhi, acquosi, scivolarono via da quelli di Vesper. «No. No, io... Volevo vincere, solo quello. Doveva... doveva essere acqua.»

«Ok. Ha senso. Non è colpa tua.»

«Cosa cazzo non hai capito? Ero lucido, Vi. Il Sihir ha risposto perché volevo—»

«Sparare» ripeté Vesper, marcando ogni sillaba. «Il tuo Naru crea proiettili, Kay. Dopo hai imparato a produrre altri tipi, ma scommetto che sei partito dal proiettile di una pistola, magari di piccolo calibro. Tutti i Naru hanno un concetto base, quello è il tuo: avresti sparato un proiettile anche se l'avessi sbloccato giocando al tiro a segno, qualcuno avrebbe detto che volevi uccidere il bersaglio?»

Kolt inspirò a fondo, ma l'aria gli si sgretolò in gola. Le spalle tremavano sotto la stretta di Vesper, gli occhi schizzavano da un punto all'altro incapaci di trovare pace. Vesper lo lasciò andare, lui non si mosse; non lo respinse quando gli sfiorò il viso, scostando alcune ciocche umide che si erano appiccicate alla pelle.

«Volevi bene a tuo fratello?»

«Lo psicologo ha detto—»

«Non lo psicologo, tu. Non mi interessa cos'hanno detto i medici, i Ricercatori o i tuoi genitori, voglio sapere cosa provi tu.» Si avvicinò ancora, addolcendo il tono mentre gli accarezzava il viso. «Guardami, Kay. Per favore, guardami. Vuoi bene a tuo fratello?»

Kolt alzò gli occhi e li piantò nei suoi. Erano umidi, arrossati, e così... Persi. Continuava a boccheggiare come se non ci fosse abbastanza aria, il petto vibrava quando respirava a fondo. Odiava vederlo così. Odiava non poter far altro che guardarlo e aspettare, pregò che fosse sufficiente. Pregò di non lasciarsi sfuggire una smorfia, alzare il braccio a quel modo era doloroso persino col tutore – ma tollerabile. Kolt non aveva nessun Rimedio ad alleviare la sua sofferenza, e l'aveva già sopportata troppo a lungo.

«Sì» cedette lui in un lungo sospiro, le spalle si afflosciarono come se non ci fossero più ossa a sostenerle. «Stelle, gli voglio bene. Perché cazzo gli ho sparato se gli voglio bene?»

«Non è colpa tua. Non volevi fargli del male, non è colpa tua.»

«Ho persino pensato... Sarebbe stato meglio che fosse morto.» La voce si ruppe, Kolt accelerò per non bloccarsi. «Così non avrebbe sofferto. Non avrebbe visto litigare mamma e papà, non avrebbe dovuto vivere senza poter camminare. Non avrebbe saputo cos'era successo e forse... Forse non mi avrebbe odiato.»

Vesper lasciò cadere la stampella, si gettò su di lui e lo abbracciò. Le ossa lo punirono con una fitta, non aveva importanza. Era il petto che faceva più male, così accartocciato che non passava più l'aria. La sofferenza nello sguardo di Kolt gli riempì gli occhi di lacrime che si sforzò di trattenere e gli attraversò i muscoli in una scarica impossibile da ignorare.

«Gli voglio bene» singhiozzò lui. «Mi dispiace. Non gli ho mai detto che mi dispiace.»

«Puoi ancora farlo. Non è troppo tardi, Kay.»

«Non ho mai detto...» La voce si incagliò di nuovo, dovette deglutire per continuare. «Non ho mai detto a Rea che l'amavo. È dovuta morire perché ci credessi. È dovuta morire, perché sono un idiota del cazzo e... E non gliel'ho mai detto.»

«Lo sapeva. Non serviva dirlo, l'aveva capito da sola. L'avevamo capito tutti.»

Lui si afflosciò di nuovo, gettando fiato caldo sul suo collo. «Perché sei ancora qui?»

«Non vado da nessuna parte» assicurò lui. «Non ti lascerò cadere, Kay. Sono con te. Si spegnesse il sole, sarò sempre con te.»

Kolt lo circondò con le braccia, avvolgendolo come se volesse inglobarlo. Tremava, si aggrappò forte alla sua giacca e Vesper capì che si stava trattenendo per non stringerlo troppo, evitando di premere sulla spalla ferita. Si accoccolò contro di lui, avrebbe sopportato qualsiasi dolore tra le sue braccia. Trovò spazio nell'incavo del collo, la camicia si impregnò d'acqua a contatto con i suoi vestiti fradici, non se ne curò. Gli accarezzò piano i capelli bagnati, sussurrandogli "va tutto bene" finché non sentì il suo respiro farsi più regolare.

Rimasero così per un po', anche dopo che Kolt si fu placato. Aveva smesso di fremere e singhiozzare, il cuore aveva rallentato i battiti, non prendeva più fiato ad ampie boccate. Non accennò a lasciarlo andare e Vesper chiuse gli occhi, crogiolandosi nel suo calore mentre lo accarezzava. Il dolore si attenuò fino a diventare un fastidio, il vuoto nel petto era più tollerabile insieme a lui.

Non si accorse della porta che si apriva, ma udì lo schiocco quando si richiuse. Qualcuno si schiarì la voce, lui si irrigidì in un sussulto. Si staccò da Kolt quel tanto che bastava per voltarsi, incrociando lo sguardo di Märghe che sostava davanti all'ingresso. Quand'era entrata nell'arena? Come?

Lei si umettò le labbra piene. «Mi spiace interrompere, ma ogni secondo è prezioso. Se vogliamo muoverci, dobbiamo farlo in fretta.»

Qualcosa scattò nella mente di Vesper, mettendo in moto gli ingranaggi che il cordoglio gli aveva fatto dimenticare. Fuori da quella stanza, non era finita: Cat era dispersa, Gari aveva il Glitza e stava di certo approntando un nuovo piano mentre parlavano. Sapeva che avrebbero avvertito Luciano e non serviva un Naru per capire che c'erano solo due opzioni: colpire prima che riuscisse a organizzarsi o fuggire. Il petto di Vesper prese fuoco, il cuore pompò sangue bollente nelle vene. Non gli avrebbe permesso né l'una né l'altra cosa.

«Vi lascio soli.»

Märghe sbatté le palpebre. «Non volevo scacciarti.»

«No, ma hai ragione: abbiamo poco tempo, e c'è una cosa che devo fare.»

Sciolse l'abbraccio a malincuore. Accennò a chinarsi e Kolt si mosse all'istante per raccogliere la stampella al posto suo. Era stravolto, ma si schiarì la voce e riuscì a trovare un contegno nonostante gli occhi umidi e il viso incavato, perciò stava meglio di prima e tanto bastava. Vesper abbozzò il miglior sorriso che riusciva e imbracciò la stampella, ma Kolt lo afferrò per il braccio buono prima che potesse fare un passo. Si fermò di fronte a lui con urgenza, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.

Il tocco morbido delle sue labbra lo stordì per un istante. Kolt l'aveva sempre baciato per via del loro accordo, in un modo o nell'altro; erano baci vogliosi, erotici, fisici. Non l'aveva mai sfiorato con quella dolcezza, un bacio che era solo un bacio, e non l'aveva mai fatto davanti a qualcuno, neanche di fronte a Realgar. Non l'aveva mai guardato con quell'intensità, come a volerlo ringraziare di esistere, le mani calde sulle sue guance e il respiro che si mescolava al suo.

Vesper prese fiato tutto in una volta perché non ne aveva più. Si sentì avvampare e boccheggiò sillabe inconcludenti, il meccanismo dei suoi pensieri si era inceppato e non c'era modo di riattivarlo.

«Io... Vado» riuscì a balbattere, poi si voltò in fretta e zoppicò via.

Quanti feels vuoi in questo capitolo? Sì.

Ha fatto malissimo ç__ç La parte iniziale è stata devastante, piagnucolo da sola a pensarci... Mi voglio male? Mi voglio male. Shotout a Vesper che ha la lucidità di capire se che crolla pure lui crollano tutti e si fa carico di tutto anche se sta soffrendo come un cane, fisicamente ed emotivamente 😭 

Con lui Kolt riesce finalmente a sfogarsi, sia per il rimpianto di aver "lasciato le cose a metà" con Realgar ma soprattutto per quello che è la vera base di tutto, ossia quanto successo con suo fratello. In Bluebird non era pronto per parlarne né per ascoltare Chloe, ma Vesper riesce a dargli un po' di conforto  ♥ Aveva davvero bisogno di aprirsi un po', peccato che sia servito un altro trauma a tirarglielo fuori ç_ç

Almeno possiamo consolarci con un po' di coccole finali, anche se la trama torna a bussare alla porta. Quindi stay tuned, perché i prossimi capitoli... Non so quando arriverano, lol, il lavoro mi sta fagocitando, ma cercherò di non tardare troppo :3

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