Capitolo 4 - Schema

Vesper si stiracchiò sulla poltrona, spingendo all'indietro le scapole in un leggero scricchiolio. Era solo un banale fastidio e credeva di essere stato abbastanza discreto, non si era lasciato sfuggire neanche una smorfia mentre drizzava il busto e si sistemava meglio sulla seduta, ma suo padre alzò una mano per interrompere il suo interlocutore e puntò i rigidi occhi neri su di lui.

«Sei stato seduto troppo a lungo. Dovresti stenderti.»

«Sto bene, avevo solo bisogno di cambiare posizione. Voglio seguire il resto della riunione.»

Luciano fece cenno al maggiordomo di avvicinarsi. «Porta altri cuscini a mio figlio. Che stia comodo.»

«Sto bene» insistette Vesper, ma l'uomo annuì a suo padre e lasciò subito la stanza. Nessuno osò emettere fiato fin quando non fu di ritorno, e benché Vesper tentò di rifiutare si trovò infine costretto ad alzarsi e lasciare che il maggiordomo sistemasse due cuscini ben sprimacciati sotto di lui. Solo a quel punto l'espressione di Luciano si distese e tornò a rivolgere l'attenzione ai suoi ospiti.

Vesper sistemò gli occhiali da sole sul naso, sentendosi avvampare mentre abbassava lo sguardo. Sapeva che nessuno lo stava osservando – se suo padre avesse scorto il minimo accenno di giudizio nelle loro espressioni quell'incontro si sarebbe concluso molto male – ma di certo lo trovavano patetico. Non potevano ammetterlo, ma lo pensavano. Partecipava a quelle riunioni da tre anni, ma per tutti era ancora il bambino a cui si concedeva di restare nella stanza degli adulti per pietà.

Era l'unico a sedere su una poltrona. Gli altri avevano robuste sedie di legno intagliato laccate d'oro, con schienale e seduta imbottiti sotto stoffe nere arabescate. Quella di suo padre era provvista di braccioli e svettava tra le altre con l'alta spalliera decorata come una corona, imponendo la stessa solennità dell'uomo che la occupava. Vesper, d'altro canto, sprofondava in un morbido ammasso di forme abbozzate e cuscini ricamati che strideva in quell'arredamento raffinato come una nota fuori scala.

Lui e sua sorella sedevano entrambi a fianco di suo padre, però Fosfor era subito alla sua destra mentre lui si trovava dall'altro lato, oltre il posto vuoto che un tempo apparteneva a sua madre. Apprezzava che suo padre lo tenesse libero in suo onore, ma era difficile farsi vedere attraverso il fantasma di quel ricordo. A volte si domandava se Luciano lo considerasse suo figlio o solo un frammento di ciò che restava di Helena.

Riempì i polmoni di un respiro lento e afferrò la penna quando Liam Korwell riprese a parlare. Gli piaceva verbalizzare i discorsi tenuti in quella stanza, anche se non era necessario farlo. La sua memoria registrava con più accuratezza quando la penna tracciava lettere sulla pagina, e ancora di più quando le batteva a macchina.

«I Sovalye sono in allerta costante. Hanno messo tutti sotto indagine: il direttore, le guardie, gli infermieri, persino quelli delle pulizie. Manca solo che si mettano a interrogare le turbine e l'abbiamo fatta completa» disse Liam, tamponando il viso grassoccio con un fazzoletto. Non era una notizia tanto pessima – la prigione non era un punto chiave negli affari degli Aureli – ma non era neanche bella e suo padre non era rinomato per la sua temperanza. «In una giornata hanno già arrestato cinque guardie e licenziate dodici, e dire che alcune di quelle non le avevamo neanche corrotte. Alla prima irregolarità che trovano sei fuori. Se anche rimarrà qualcuno dei nostri dopo il setaccio, dovremo aspettare che si calmino le acque.»

«Voglio sapere chi è il coglione che c'è dietro» sbottò Adrian Pelt, agitandosi sulla sedia. «Se qualcuno parla, ci staranno addosso come delle fottute zecche. E tutto per due morti del cazzo!»

Era il più giovane lì dentro insieme a Vesper, ventuno anni compiuti da qualche mese. Dopo la morte di suo padre l'impero della droga di famiglia era nelle sue mani, ma non sembrava ancora in grado di gestirlo. Troppo emotivo, irruento; era solo questione di tempo prima che qualcuno se ne approfittasse. Luciano aveva educato i suoi figli a riguardo sin da piccoli, né Vesper né sua sorella avrebbero mai perso le staffe in quella sala. Come secondogenito lui non sarebbe mai diventato capofamiglia, ma Fosfor era pronta a prendere quel posto sin da quando aveva compiuto diciassette anni. Era per suo padre che accettavano la presenza di una donna, ma presto avrebbero imparato a temere lei.

Era giusto, ma anche ironico. Quel tavolo brulicava di vecchi misogini, e nonostante tutto avrebbero fatto meno fatica ad accettare sua sorella come regina piuttosto che lui.

«Non due semplici morti, due esecuzioni» lo corresse Fosfor. Il suo tono si faceva affilato durante le riunioni, lo sguardo fiero così simile a quello di suo padre. I ricci neri li aveva ereditati da Helena, ma per il resto non le somigliava affatto. «Quella guardia non poteva scegliere un modo più plateale per ucciderli. Era così prevedibile che avrebbe sollevato un polverone, che mi viene da pensare che facesse parte del piano.»

«Ma certo, lo hanno fatto apposta!» Adrian batté un pugno sul tavolo, cercando l'appoggio degli altri con lo sguardo. «Qualche bastardo sta cercando di affossarci tutti!»

Cornell Thrust scosse il capo, aggrottando le sopracciglia folte. «Sta' calmo, Adrian. La questione si sarà sgonfiata in un paio di settimane, non c'è da temere. Dubito faccia parte di un piano ragionato, i due ladruncoli avranno fatto qualche sgarro a qualcuno che ha deciso di vendicarsi in grande stile.»

«Ci vuole coraggio a definirlo grande stile» sghignazzò Liam, mentre gli altri uomini al tavolo suggerivano questa o quella strampalata teoria sull'accaduto.

Vesper roteò gli occhi, ma le scrisse tutte comunque. Magari uno di loro aveva azzeccato un dettaglio, anche se era più probabile che volessero soltanto un nemico comune su cui sfogarsi – il che rendeva più plausibile l'ipotesi di Cornell. Se il mandante non aveva previsto che avrebbe attirato l'inimicizia delle famiglie criminali era davvero un idiota, e Vesper non era ancora riuscito a pensare a una motivazione che avrebbe potuto renderlo conveniente – ma se c'era, sarebbe riuscito a trovarla.

Sollevò lo sguardo sui presenti mentre la discussione proseguiva, scrutandoli attraverso le lenti scure degli occhiali. Nessuno alzava troppo la voce, benché le note dell'opera che il grammofono diffondeva nel corridoio avesse un volume così alto da coprire ogni discorso. La voce di sua madre era magnifica persino soffocata dalle porte chiuse della stanza, ma non era solo per amore e nostalgia che suo padre riproduceva i suoi dischi durante gli incontri con gli altri capi: era un promemoria. Ascoltando avrebbero ricordato Helena, e anche ciò che Luciano era in grado di fare a chi scatenava la sua ira.

Per disprezzare così tanto la vecchia nobiltà, le famiglie criminali non si comportavano in modo così diverso. Dicevano di essere alleate in quel gioco, ma la loro fiducia era un fil di ferro troppo semplice da piegare. Si sarebbero azzannate alla gola con la stessa brutalità delle gang se avessero avuto da guadagnarci, e più i loro discorsi diventavano frivoli più c'era da preoccuparsi. Nessuno stava parlando di Quentin, ad esempio: che assoldassero Kolt per strappargli informazioni su un manufatto misterioso il giorno prima del suo omicidio non sembrava una coincidenza, ma l'argomento non era stato sfiorato. Ne erano all'oscuro o stavano nascondendo qualcosa?

Anche suo padre l'aveva notato. Si era chiuso in un silenzio meditabondo e fissava i suoi ospiti come un falco durante la caccia. Di certo avrebbe mandato i suoi uomini a indagare, e Vesper avrebbe fatto sì che informassero anche lui di cos'avevano scoperto.

Al termine della riunione, Vesper aveva scritto tredici pagine e la mano faceva così male che le dita avevano cominciato a tremare. Era stato bravo a nasconderlo mentre scriveva, poi aveva allentato la presa sulla penna e una fitta gli aveva scosso le articolazioni, strappandogli un sussulto. L'attimo dopo il dolore si era già attenuato, ma suo padre se n'era accorto e gli aveva ordinato di tornare in camera a riposare.

Si lasciò cadere sul materasso, svuotando il petto in un sospiro denso. Avrebbe dovuto discutere della riunione con Fosfor e suo padre, invece se ne stava lì disteso a massaggiare il palmo e le dita affaticate. Ridicolo. Stava bene, tenere a riposo la mano sarebbe stato sufficiente. Poteva ancora ascoltare, parlare, ragionare. Poteva fare molto di più, se glielo avessero permesso.

Qualcuno bussò alla sua porta, e dopo il suo consenso il maggiordomo si affacciò oltre l'uscio.

«Il signor Bangarada in visita per lei, signorino Vesper.»

«Signor.»

L'uomo lo fissò interdetto per un attimo. «Sì, il signor Bangarada.»

«Fallo salire» si arrese Vesper, roteando gli occhi.

Si sfilò gli occhiali da sole e li appoggiò sul comodino, stropicciando le palpebre. C'era troppo silenzio ora che il grammofono era stato spento, la pelle pizzicava in un prurito che si estendeva fino alle ossa, ma quando sentì la porta aprirsi di nuovo il petto si fece subito più leggero.

Si mise in piedi e le sue labbra si distesero non appena vide Kolt, anche se aveva l'espressione seccata e la camicia abbottonata solo per tre quarti sotto la giacca di pelle. Gli stava bene addosso, ma Vesper oscillava sempre tra la voglia di chiuderla come si deve e quella di strappargliela via del tutto.

«Niente finestra, oggi?»

«Ho visto andarsene le automobili, pensavo fossi ancora con tuo padre e tua sorella. Che ci fai già qui?»

Vesper lasciò cadere le braccia lungo i fianchi nell'ennesimo sbuffo. «Indovina.»

«Oh, povera stellina. Ti sei stancato tanto a stare seduto? L'angioletto di papà ha bisogno del riposino» sghignazzò lui, pizzicandogli la guancia tra le dita. «Chissà che direbbe il caro Luciano se scoprisse tutto quello che facciamo.»

«Non gli serve sapere tutto, ti ucciderebbe solo per avermi fatto uscire di casa senza scorta. E poi metterebbe delle sbarre alla finestra, una guardia del corpo che mi segue anche in bagno e niente più visite esterne senza supervisione.»

«Scommetto che riuscirei a farti scappare anche così.»

Vesper inarcò un sopracciglio. «Da morto?»

«Ah già, c'era anche quella parte.» Kolt si abbandonò sulla poltrona. Afferrò uno dei rompicapi dalla scrivania e cominciò a giocarci, muovendo gli anelli metallici senza alcuna intenzione di scioglierli dall'incastro. «A proposito di morti...»

«Quentin è stato ucciso insieme a suo marito» lo fermò Vesper. «Lo so. Sei riuscito a parlarci?»

«Sì, con un tempismo del cazzo! Ero a tanto così dal farlo parlare, e quando decidono di ammazzarlo? In quel fottuto momento! Una guardia—»

«Ha sparato con il fucile d'ordinanza dalla torretta del cortile esterno, durante l'ora d'aria. Lo so.»

Kolt si fermò. Allargò le braccia, fissandolo sotto le sopracciglia aggrottate. «Ti dispiace? C'ero io là in mezzo, lascia parlare il protagonista.»

«Scusa, vai avanti.»

Si appoggiò alla scrivania e tornò a massaggiare la mano, ridacchiando mentre Kolt borbottava. Lo adorava anche quando s'imbronciava in quel modo, e ascoltare una storia che già conosceva era persino piacevole se era lui a raccontarla. La sua voce smuoveva qualcosa nel suo petto, distendeva i suoi nervi, riempiva il silenzio di un tepore così avvolgente da dimenticare qualsiasi malumore. E si sentiva un idiota, ma qualunque cosa Kolt facesse – ridere, imprecare, concentrarsi o sbottonare quella dannata camicia – lui non riusciva a distogliere lo sguardo.

«Quentin era pronto a dirmi dov'era il tesoro» disse Kolt, tornando a spostare gli anelli del rompicapo. I suoi movimenti non sembravano seguire una qualche logica, ma riuscì comunque a sfilarne uno mentre parlava. «A quanto pare ha preso delle precauzioni, ha fatto venire un Dotai dritto dritto da May Yava. Se non ha sparato cazzate, lui era il solo a poter aprire la cassaforte— no, ha parlato di forziere. Apprezzo lo stile, all'antica. Fa molto pirata. Ad ogni modo, non abbiamo fatto in tempo a finire il discorso che la guardia ha aperto il fuoco, mi sa che non aspettava altro che si avvicinasse abbastanza. Pezzo di merda. Quale figlio di puttana spara alle spalle?»

Vesper soffiò una risata leggera. «Oh, posso assicurarti che tu hai fatto molto di peggio.»

La risposta goliardica che si aspettava non arrivò. L'espressione di Kolt si incupì, il sorriso abbandonò le sue labbra mentre gli occhi, fissi sul rompicapo, perdevano ogni luce. «No, non l'ho fatto.»

Riempì il petto di un sospiro pesante, poi abbandonò il rompicapo sulla scrivania. Era ovvio che c'era qualcosa che si rifiutava di condividere, ma ogni volta che Vesper aveva provato a chiedergli qualcosa aveva negato, glissato o si era semplicemente rifiutato di rispondere. Non gli aveva mai rivelato il suo vero nome, né raccontato da dove provenisse – Vesper considerava un miracolo aver scoperto che non era originario di Lenwish – o come fosse finito a vivere per strada.

Afferrò il rompicapo e cominciò a rigirare gli anelli seguendo lo schema che aveva compreso anni addietro. Ci aveva smanettato per giorni prima di venirne a capo, ma una volta compreso il trucco poteva risolverlo senza neppure guardarlo: persino con le dita doloranti, in poche mosse ogni anello era libero dagli altri. La mente di Kolt era un enigma molto più complesso, sentiva di imparare a capirlo ogni giorno di più e al tempo stesso di essere ancora lontano alla soluzione.

«Kay.» Si umettò le labbra. Forse aveva usato un tono troppo greve, lo vide irrigidirsi sulla poltrona e stringere una mano piena di anelli attorno al bracciolo. «Se volessi parla—»

«Comunque il forziere non è perduto» disse Kolt, la voce abbastanza alta da coprire i suoi sussurri. Aveva di nuovo il tono spensierato, ma si alzò in piedi per dargli le spalle e Vesper si arrese al silenzio, lasciandolo proseguire. «Quentin ha parlato di sua figlia, prima di morire. Una certa Cathy, forse sta per Catherine o qualcosa del genere. A quanto pare può portarmi lei dal tesoro, perciò devo trovarla.»

«Perciò io devo trovarla» lo corresse Vesper.

Kolt sghignazzò e, quando si voltò verso di lui, qualunque ombra fosse calata sul suo viso era sparita. «Grazie per esserti proposto, Blackstar! Dato che sei stato così gentile da offrirmi il tuo aiuto, penso proprio che accetterò.»

«Il mio aiuto si paga» gli ricordò, ma lui si limitò ad alzare le spalle.

Non era vero, ormai doveva averlo capito. Vesper non concedeva a nessun altro il privilegio di una collaborazione, e se qualcuno avesse scoperto che un Aureli spifferava segreti a un mercenario – persino se si trattava del pupillo di Gari – le famiglie avrebbero manifestato il loro dissenso, ma lui lo faceva comunque. Se Kolt gliel'avesse chiesto, Vesper gli avrebbe fornito qualsiasi informazione, concesso qualsiasi favore, sperperato qualunque somma senza pretendere nulla in cambio. Per lui avrebbe fatto di tutto perché meritava tutto, ma se anche l'avesse detto non era certo che Kolt gli avrebbe creduto. Non fino in fondo. Non sembrava conoscere altra lingua se non quella degli affari.

Ma sotto c'era qualcosa. Anche se negava a parole, i suoi gesti lo tradivano e Vesper si rifiutava di credere che fosse solo un abbaglio. Non avrebbe avuto senso. Ogni cosa nel mondo seguiva uno schema, bastava solo imparare a leggerlo.

Lasciò cadere gli anelli metallici sulla scrivania e si alzò, vagando lungo la stanza. «Non è un'informazione così riservata. Saresti in grado di scoprirlo anche da solo.»

«Sicuro. Sono in grado di fare qualsiasi cosa.»

«Allora perché—?»

«Così è più veloce» tagliò corto Kolt. «Andiamo, Blackstar. Sono sicuro che sai già come si chiama, dove si trova e cosa mangia a colazione.»

«Può darsi. Che faresti se dicessi che non lo so ancora?»

Lui gli tagliò la strada, avvicinandosi fino a costringerlo ad alzare la testa per guardarlo negli occhi. «Direi che è una stronzata.»

Vesper prese fiato per rispondere, ma la mano di Kolt si serrò sulla gola e strinse, spezzandogli il respiro. Lo obbligò a indietreggiare finché la sua schiena non incontrò la parete e lo schiacciò al muro – non troppo forte, mai troppo forte, ma abbastanza da irradiare una vampata di calore lungo i muscoli.

«Cos'è, mi stai sfidando a convincerti?» sussurrò sulle sue labbra, le dita strette attorno al suo collo e il corpo premuto contro il suo. «Sai che non mi tiro indietro da una scommessa.»

Gli sembrò che stesse sorridendo, quel sogghigno fetente che indossava sempre quando sapeva di avere la vittoria in pugno, ma era difficile distinguere i contorni del suo viso quand'era così vicino. Era difficile distinguere qualsiasi cosa quando gli stava addosso, non riusciva neppure a pensare con poco ossigeno e col sangue che defluiva verso il basso ventre. Lasciò che gli allargasse le gambe per farsi spazio e chiuse gli occhi quando cominciò a baciarlo, abbandonandosi ai brividi di piacere che gli scombussolavano i sensi.

Santo il sole e tutte le stelle. Neanche un minuto e si era già liquefatto tra le sue braccia, un ammasso gemente alla mercé delle sue carezze. Di cosa stavano parlando?

«Cathleen Eldmere» ansimò, e Kolt si allontanò per lasciarlo respirare. «Tredici anni, figlia naturale di Quentin. La madre, Alanya Corls, è defunta, non ci sono altri parenti noti in vita.»

«Visto? È stato veloce» sghignazzò lui. «Se sei preoccupato per il tuo pagamento basta dirlo, rimediamo subito.»

Non era quello il punto, ma Vesper tenne per sé il commento. Era inutile parlare se lui fingeva di non capire. Non c'era trucco, accordo o scommessa che avrebbe potuto convincere Kolt a fare qualcosa che non voleva.

Sospirò. «Credimi, sono impaziente di riceverlo, ma è meglio che tu vada da Cathleen il prima possibile. Non sappiamo ancora chi ha orchestrato l'omicidio di Quentin, né perché: non possiamo escludere che il manufatto c'entri qualcosa, in questo caso lei sarebbe il prossimo obiettivo.»

«Ma perché ucciderlo, se vogliono il manufatto?»

«Forse sanno già dove si trova.» Scivolò via dalla sua presa e sistemò camicia e cravatta per rendersi di nuovo presentabile. Sentiva ancora il corpo in fiamme e di certo il viso era ancora arrossato, ma si schiarì la gola e si sforzò di recuperare un tono neutrale. «Se la storia del Dotai non era un imbroglio, forse loro non ne sono a conoscenza o forse sanno già che Cathleen può aprire il forziere, perciò hanno preferito dare la precedenza al problema principale. O forse Quentin si è fatto un nemico che non vedeva l'ora di farlo fuori e ha subito colto l'occasione. Le opzioni sono parecchie. Finché non avrò scoperto altro, meglio tenersi pronti a tutto.»

Kolt gettò fuori l'aria in uno sbuffo pesante, tirando indietro i capelli biondi con le dita. «Che palle. Grazie al cazzo che chiunque è disposto a indebitarsi pur di assumere Gari, lui mica deve scervellarsi tanto. Gli basta seguire quello che gli dice di fare il suo Naru e via.»

«Credevo lo considerassi noioso. Ti lamentavi sempre che non c'era sfida.»

«Infatti! Una botta di culo è bella perché è una botta di culo, sennò non c'è gusto. Che vittoria è se sai già di avere la fortuna sempre dalla tua parte? E no, barare è un altro discorso, devi essere bravo a farlo.» Kolt agitò una mano e dalle sue dita penzolò il rompicapo ad anelli metallici, nuovamente incastrati l'uno nell'altro, come se l'avesse fatto apparire per magia. «Però è una rottura di coglioni anche tutto questo ipotizzare, calcolare e strategizzare.»

«È la parte più divertente» ribatté Vesper, strappandogli il rompicapo dalle mani. Kolt gli aveva insegnato qualche trucco, ma lui non era così bravo. Quando aveva avuto il tempo di raccoglierlo e sistemarlo? Non aveva sentito neanche un tintinnio. «E "stategizzare" non esiste.»

«Beh, dovrebbe: rende bene l'idea. In ogni caso, per fortuna ho te a farlo al posto mio.» Gli fece l'occhiolino e scostò le tende per aprire la finestra. «E ora scusami, ma ho una ragazzina da rapire. Nel senso positivo, ovvio.»

Vesper inarcò un sopracciglio. «C'è un senso positivo?»

«Ce n'è di sicuro uno negativo, e non è quello. In che orfanotrofio l'hanno piazzata?»

«Non è più in orfanotrofio. Ha dato fuoco al dormitorio dopo neanche una settimana, adesso è in riformatorio.»

«Ma che bel caratterino! Vedi? Questo si prospetta divertente.»

«Kay—»

«I know, I know... Stai attento, non farti ammazzare, le solite cose» disse Kolt, scavalcando il davanzale. «La prossima volta che verrò a trovarti avrò già i miei trenta milioni e tutto il resto, vedrai. Ti porto fuori a cena per festeggiare, offri tu.»

Vesper si affacciò per guardarlo mentre si calava dalle modanature fino alla tettoia per poi scivolare giù, restando appeso al bordo per un istante prima di saltare a terra. Lo faceva sembrare così facile, ma lui non aveva mai provato a farlo da solo. Sarebbe stato un modo molto sciocco per morire. Il suo paio di ali gli aveva appena rivolto un saluto dal basso e se ne stava andando, così non gli rimase che chiudere la finestra.



Ebbene sì, alla fine ho deciso di non usare solo il POV di Kolt, benché il suo resterà comunque quello principale :3 Come si può intuire dalla copertina, anche Vesper giocherà un ruolo molto importante nella storia e mi sembrava carino mostrare le cose anche attraverso i suoi occhi.

Finora sappiamo che a ordinare l'omicidio di Quentin non è stato qualcuno della criminalità organizzata di Lenwish - o almeno non pubblicamente. La testolina di Vesper è già al lavoro e se c'è qualcuno che può far luce sui punti ancora oscuri questo è lui u_u

Funfact: Il nome della madre di Vesper, Helena, è ispirato al personaggio di Dead or Alive, uno dei giochi (specialmente il 2) con cui ero letteralmente fissata da piccola. La madre di Helena era una cantante lirica che è stata assassinata durante uno spettacolo, similmente alla madre di Vesper, perciò non potevo esimermi dall'omaggiarla :3

E non so voi, ma a me le interazioni tra lui e Kolt piacciono sempre un sacco ♥ Peccato che Kolt non sia ancora pronto ad aprirsi, né sui suoi sentimenti né tantomeno sul suo passato. Non l'avrebbe fatto neanche con Chloe, se non fosse che l'ha scoperto da sola :') 

Ho pensato di inserire la oneshot del loro primo incontro come flashback nel prossimo capitolo, trovo che si leghi bene alla chiusura di questo e voglio sperimentare. Vedremo come si legherà nella narrazione, ma questo sarà un problema della Mari del futuro che dovrà revisionare xD

Ditemi pure la vostra, i feedback sono sempre ben accetti ♥

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