Fiori

Assorbire.
Assimilare.
Sopportare.
Tre verbi adatti ad entrambe le persone nella stanza.
«Cos'è sbagliato? Cos'è sbagliato? Cosa ho sbagliato?» frasi pronunciate a fior di labbra con voce dolente, tra un respiro affannoso e l'altro, risposte brucianti di una gola secca come le sue labbra.
Alle sue spalle, un uomo in completo con gesti precisi e accurati come un chirurgo che ha tra le sue mani la più preziosa delle creature sistema in un vaso di maiolica al centro di un comò in legno pregiato un mazzo di rose rosse fresche e dai petali morbidi su cui posa la punta delle dita sfiorandole con dolcezza come farebbe sulla pelle del suo padrone e lo specchio riflette l'immagine, gli risponde stoico:
«Non ho mai visto nessuno morire di raffreddore.»
Basta quella frase per far riprendere vigore all'uomo dai capelli blu che, vestito in uno "sconveniente" pigiama blu a cuori rossi si solleva di scatto seduto in mezzo al letto per rivolgersi con voce ed espressione stizzita al suo segretario - capace di mostrargli il proprio amore più coi gesti e con la servile fedeltà di chi a modo suo lo conosce più di se stesso eppure non riescono mai ad arrivare a un punto d'incontro.
Tadashi continua come in trance a infilare il dito in una rosa, dandogli le spalle. È ormai abituato al suo modo melodrammatico di prendere la vita ma a volte è davvero difficile sopportarlo e reprimere la voglia di zittirlo col proprio corpo, come adesso che Ainosuke strepita:
«E se non fosse un semplice raffreddore? Cosa ne sai tu del destino che sei un semplice servo?!»
dopodiché si lasciò cadere di peso sul materasso.
Allargò le braccia, poi si mise in posizione supina fissando il cielo di stoffa rosso scuro sopra di lui, lasciandosi andare con tono mesto a una sequela di confessioni:
«Ah, me lo merito per tutti i miei peccati: l'aver quasi ucciso il rosso, la mia ossessione per Langa, tutti quelli che ho portato all'ospedale da quando ho iniziato la S, tutte le volte che ti ho insultato...»
Tadashi caccia un sospiro.
Lascia perdere la rosa rossa torturata dal tocco profondo del proprio indice e i pensieri celati dietro per tornare alle proprie mansioni: disdire gli appuntamenti di Ainosuke Shindo e posticipare alcuni incontri; telefonare alle zie e dirle di non preoccuparsi troppo del loro nipote, che si sarebbe occupato di tutto lui, come al solito (infidia nella voce); sistemare le carte sul tavolino dal ripiano in cristallo su cui accanto a un tablet ci sono il suo prezioso telefonino e il portasigarette; cambiare l'acqua a un bouquet di rose scarlatte e blu dal gambo lungo e, infine, dopo aver ricevuto la cena da uno dei camerieri e inviato dal proprio account un messaggio di servizio ai membri della S dove gli chiese di pensare alla loro incolumità è tempo di dedicarsi al compito più atteso: immergere una pezza di lino in una bacinella di porcellana blu e oro, strizzandola con un movimento fermo ma delicato cosicché che Ainosuke possa ascoltare il cadere delle gocce prima di posarla sulla fronte del suo padrone.
Tutto quel tempo meritò di essere premiato da una battuta sarcastica di Tadashi:
«Uno che fino a sei mesi fa era il tuo servo e oggi è il tuo cagnolino fedele.»
«Ahhh, come farò... Sto morendo. Il destino ha deciso di punirmi per tutto il male che ho fatto. Ma è stato magnanimo e mi ha offerto un ultimo istante del tuo sorriso.»
Con fare melodrammatico Ainosuke alzò un braccio e lo portò a coprirsi gli occhi.
Fatto. Stava vivendo il suo meraviglioso momento Ghibli, peccato che Tadashi rimase impassibile a guardarlo anche se si stava prodigando nella più sincera della confessioni.
D'altronde lui ha come una propensione naturale a non mostrare spesso le sue emozioni né a lasciarsi trascinare da esse.
«Siamo esseri fatti di chimica, nati per vivere in una realtà fisica.» sentenziò l'animo da monaco buddista di Tadashi mentre l'animo da bodyguard si mise in moto e subito con uno scatto fulmineo prese dal comò un'aspirina, strappò di colpo la bustina e posizionò in mezzo al proprio indice e medio la pasticca e con un movimento ben rodato uni le dita e le infilo in bocca al suo padrone.
Aspettò che la lingua si posasse sulla punta delle dita tagliando in due il blocco tra le punte per cogliere la cura e poi allontanarle piano dal fuoco che ha toccato.
Annaffiare il fiore: gli passò un bicchiere d'acqua e glielo osservò svuotare.
Prendersene cura: attese che Ainosuke posasse la testa sul cuscino per rimboccargli le coperta e dargli un bacio sulla guancia.
Osservarlo e custodirlo: Tadashi si spogliò del completo, affondò la mano sotto al cuscino nero al lato destro del letto ne prese un pigiama grigio e lo indossò, poi si infilò nel letto matrimoniale, cercando di restare sveglio.
Perché lo sa benissimo: le piante hanno bisogno di cure e Ainosuke appartiene a una famiglia piuttosto particolare.
Un cactus capace di far sbocciare fiori di jacaranda screziati sui cui rami appuntito crescono boccioli di rose rosse, blu, bianche, gialle capaci di cambiare sfumatura a ogni movimento del suo animo che mutano quando serve in umili tulipani. Ma devi fare attenzione poiché in questa pianta si cela l'essenza di un Rododendro schilippenbachii, mutazione di una margherita calpestata dopo essere stata sfiorata con dita gentili.
Solo Tadashi Kikuchi, l'umile figlio di un giardiniere, sa come prendersi cura di questa pianta multiforme che ora si sfoga con lui per essersi un po' appassito.

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