Facciamo una scommessa - Parte 3 [Longshot]
Tipologia: Oneshot, Prequel [Canonica]
Rating: 16+ (Presenza di linguaggio volgare)
Avvertenze:
- Essendo legata a Kolt, la oneshot è un prequel di Longshot, più che di Bluebird. Non sono presenti spoiler sulla trama e può essere letta a prescindere.
Combattere sotto il sole cocente d'estate era stata una pessima idea. Era a petto nudo, ma il sudore colava lungo la pelle abbronzata, i capelli si erano incollati a fronte e guance – maledetto il giorno in cui aveva deciso di tagliarli – e le mani erano appiccicose, roventi, così come il viso e il petto. Respirava a bocca aperta seguendo il ritmo frenetico del suo cuore, gli occhi che non perdevano di vista Realgar per un solo istante. Ogni senso, ogni fibra della sua attenzione era proiettato su di lei: sentiva solo il suono dei suoi passi, la pelle bollente contro la sua, la tensione dei muscoli mentre contrastava la sua forza. Scorse un'apertura dopo l'ultimo scambio e si lanciò senza pensare: l'attimo prima correva verso di lei, quello dopo l'aveva avvolta con le braccia e gettata a terra, molleggiando con lei sul materasso d'allenamento che avevano posizionato sul terrazzo.
«Uno.» Spinse un braccio contro il suo petto per trattenerla, assicurandosi che le sue spalle restassero inchiodate al suolo. «Due.»
«Tre» concluse lei, afflosciandosi in un sospiro. «Cazzo.»
Kolt la liberò dal suo peso e si distese al suo fianco per riprendere fiato. «Meno duecentosessanta. Mi sto avvicinando.»
«Sì, dai, magari tra una decina di anni ci arrivi» lo sbeffeggiò lei.
L'aveva sconfitta alcuni mesi dopo l'inizio del suo addestramento, ma non aveva accettato la libertà che lei gli aveva restituito. Realgar l'aveva sconfitto non una ma centinaia di volte, e aveva deciso che sarebbero stati davvero pari solo quando le avrebbe recuperate tutte.
Perché posso farlo, aveva risposto quando gli avevano chiesto il motivo, e grazie agli Angeli nessuno dei Rascals aveva sentito la necessità di indagare oltre. Non poteva ammettere di essersi affezionato a loro, che il motivo per cui continuava a bazzicare con la gang non era perché Realgar gli ordinava di farlo. Non poteva ammettere che misurarsi con Realgar aveva cominciato a divertirlo, che l'idea di quell'eterna sfida lo stuzzicava, che voleva riuscire in quell'impresa impossibile solo per impressionarla.
Erano passati tre anni dal loro primo incontro, e Kolt non era più il ragazzino smilzo e sbruffone che a malapena sapeva tirare un pugno. Aveva raggiunto Realgar in altezza, doveva radersi per mantenere il volto pulito e sfoggiava un fisico asciutto, con muscoli definiti che gli avevano fruttato l'attenzione di molte ragazze. Non aveva mai raggiunto l'abilità di Realgar nella lotta, ma sapeva combattere, e la sua natura Dotai lo rendeva un avversario difficile da affrontare ora che il suo corpo era cresciuto e temprato dall'allenamento. Era più forte, più resistente e più veloce di lei – ed ancora uno sbruffone, ma si era assicurato di poterselo permettere.
Voleva che lo vedesse. Che notasse quanto si era fatto bello, capace, grandioso. Che lo desiderasse quanto lui desiderava lei.
La seguì con lo sguardo mentre si alzava, scuotendo le lunghe treccine rosse che rivelavano sfumature tendenti al viola sotto la luce del sole. A Sayfa nessuno aveva capelli di quel colore, sebbene Realgar gli avesse detto che a Verlate fosse piuttosto comune. Lì era anomala persino la sua carnagione, più scura di quella yaveni e dalle tonalità calde come il fuoco, e di rado si vedevano ragazze così alte e con un fisico così massiccio. Erano parte delle cose che la rendevano Realgar, ma Kolt era certo che, se anche fosse stata una comune roumberghiana, avrebbe brillato come una gemma tra la cenere.
Kolt si mise in piedi e si accostò a lei, affacciandosi al parapetto. Di fronte a loro, annebbiata dai fumi viola di Sihir che i comignoli sputavano fuori senza sosta, la città si estendeva in conglomerato di ferro e mattoni che proseguiva fino al lago. Sull'altra sponda c'era una Lenwish diversa, la Lenwish ricca, dove le ville sfoggiavano ancora lo sfarzoso stile imperiale e le residenze signorili sorgevano lontano dal clangore delle fabbrile. Lì le tubature venivano nascoste con cura, i marchingegni mascherati da decorazioni in ferro battuto. Nei bassifondi, però, palazzi e stabilimenti industriali si ergevano in un ammasso disordinato, accalcandosi gli uni sugli altri come ubriachi in cerca di sostegno. Terrazzi e balconi si incastravano in dislivelli improbabili, ponti sospesi collegavano gli ingressi, vecchie strutture si reggevano su rinforzi metallici di fortuna mentre una fitta rete di tubature si insinuava tra i vicoli come radici contorte. C'era sempre un cantiere dietro l'angolo, un'impalcatura che si affacciava sulla strada, una gru che svettava tra i tetti, e il quartiere non era mai identico al giorno precedente.
«Laggiù» disse Realgar, un braccio teso verso la zona industriale che si allungava a ovest. «I Crowbar sono stati decimati, ormai quella è terra di nessuno. Si stanno tutti ammazzando per averne un pezzetto, a me basterebbe il vecchio deposito. Si butta giù, si allargano le fondamenta e si tira su un'arena coi controcazzi.»
Kolt arricciò le labbra in un mugolio incerto. «Ci sono gli Underbridge, lì accanto. Di sicuro ci hanno già messo gli occhi sopra.»
«Si stanno già scontrando per la serra, dovranno rinunciare a una delle due cose.»
«Nah, non si è mai vista una gang che si fa mettere i piedi in testa da un branco di ragazzini, se vi lasciano il deposito i loro giorni sono finiti. Dovete combattere se vuoi prendertelo, e i Rascals non sono pronti.»
Realgar gettò fuori l'aria in un sospiro pesante, accartocciando la sua espressione. La banda si era fatta più numerosa in quegli anni, ma i più erano ancora dei ragazzini; avevano poche armi, non erano abituati agli scontri veri e l'unico motivo per cui non li avevano ancora scacciati dalla fabbrica era perché non interessava a nessuno. Non valeva la pena scontrarsi per il niente.
Kolt sbatté le palpebre. L'idea gli scivolò nella mente così naturale che gli sfuggì uno sbuffo ilare mentre si voltava, poggiando i gomiti sul parapetto. «Facciamo una scommessa. Se riesco a convincere gli Underbridge a lasciar perdere il deposito, ho vinto.»
Realgar alzò un sopracciglio. Schiuse le labbra in uno schiocco e prese fiato per quello che sembrava dover essere una polemica, invece disse soltanto: «E come faresti?»
«Molto semplice: non si preoccuperanno del deposito, se non esiste alcun deposito.» Alzò una mano con indice e medio tesi come fossero la canna di una pistola, poi mimò il gesto di uno sparo mentre ne imitava il suono. «Ti renderò la regina di cenere e macerie.»
«Che cazzo di folle» disse Realgar, ridendo. «Se ti beccano sei finito.»
«L'unica gang che può offendersi ha già la pira pronta. Allora, ci stai?»
Realgar distese le labbra e si umettò quello inferiore, intrigata. «Cosa metti sul piatto?»
«Se vinci tu, cancelliamo la vecchia scommessa. Entrerò a far parte dei Rascals, farò il tatuaggio con voi quando diventerà una vera gang. Sarò ai tuoi ordini anche quando avrò recuperato tutte le sconfitte.»
«Se le recupererai.»
«Lo farò» disse Kolt. «Non preoccuparti, potrai continuare a farmi tutte le richieste che ti pare...ma se vincerò questa sfida, dovrai assumermi e pagarmi come tutti gli altri. E quando avrai costruito la tua arena verrò a prendere la mia parte, diciamo... un dieci per cento mensile.»
Realgar si allontanò dal parapetto, trascinando le scarpe sulla pietra grezza mentre avanzava verso il materasso. Si lasciò cadere all'indietro, poi si raddrizzò fino a sedersi sul bordo, con le gambe nude incrociate davanti a sé. Indossava solo un paio di pantaloncini e una fascia elastica sul seno, il resto del suo corpo era coperto da un mosaico di tatuaggi vivaci con un unico spazio vuoto all'altezza del cuore. Praticamente nuda, eppure ancora troppo vestita.
«A me sembra che tu stia facendo di tutto per restare, Golden Boy.»
«E allora? Qualche problema?»
«Dimmelo tu. Sei tu che dicevi di odiare i Rascals.»
Kolt alzò le spalle. «Ho cambiato idea.»
«Dicevi di odiare anche me.»
«Ho molto, molto cambiato idea.»
Avanzò verso di lei e Realgar sciolse l'intreccio delle gambe, allungando le mani che si strinsero presto attorno al suo busto. Kolt si puntellò con il ginocchio e si abbandonò sul materassino con lei, avventandosi sulla sua bocca. Faceva caldo, ma il sole non bruciava quanto le mani di Realgar che gli percorrevano la schiena, graffiando all'altezza delle scapole mentre lo baciava con più foga. Gli circondò il bacino con le gambe e lo attirò a sé, strusciandosi contro di lui in mugolii vogliosi, le labbra umide che gli toglievano il respiro.
La prima volta che l'aveva baciata, qualche mese prima, lei gli aveva tirato un pugno nello stomaco per riflesso; poi però gli aveva ficcato la lingua in bocca e la mano nei pantaloni, e neanche dieci minuti dopo ci stavano dando dentro sul ring.
La scopata più bella della sua vita, ma non l'avrebbe mai ammesso. Non poteva dire che l'aveva sognato decine di volte né che avrebbe voluto restarle accanto anche dopo, addormentarsi al suo fianco come facevano Dorotea e quel ragazzo dai capelli rosa di cui non aveva capito il nome. Non poteva dire che era la ragione per cui avrebbe voluto restare con i Rascals, che desiderava essere uno dei suoi re di cenere e macerie, che si era innamorato di lei anche se aveva davvero, con tutte le sue forze, provato a non farlo.
I legami erano catene, Realgar non faceva eccezione. Kolt poteva sentire lo sguardo severo di Gari perforargli la schiena e lo sapeva che aveva ragione, cazzo, lo sapeva, ma non voleva rinunciare a tutto. Il sesso andava bene; gli affari andavano bene; le scommesse, le bevute e il divertimento andavano bene. Tutto il resto non esisteva finché non gli dava un nome, e se non esisteva non poteva essere distrutto – né poteva distruggere lui.
«Non mi hai ancora detto se ci stai.»
«Ci sto, ci sto» sghignazzò lei. Kolt adorava sentirla ridere, ma non l'avrebbe mai detto, perciò andava bene. «Non deludermi, Golden Boy.»
Sorrise, baciandole il collo. «Non lo faccio mai.»
Concludiamo così la oneshot (che tanto "one" non era XD) dedicata a Realgar, con un piccolo salto avanti nel tempo! Per chi si fosse perso con i conti, qui il nostro Kolt ha diciassette anni (e non ha ancora conosciuto né Vesper né tantomeno Märghe, per chi se lo stesse chiedendo) ♥
Poiché sappiamo che Kolt non fa parte di nessuna gang potete già capire come sia andata a finire questa scommessa, e in Longshot avremo occasione di vedere l'arena tanto desiderata da Realgar!
Fatemi sapere che ne pensate, per il resto ci rivedremo su Longshot~
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