Figurati se ti lascio cadere [Longshot]
Tipologia: Oneshot, Prequel [Canonica]
Rating: Per tutti
La melodia leggera dell'aria riempiva il corridoio. Suo padre impostava il volume dell'amplificatore al massimo quando aveva ospiti, e il giradischi riproduceva senza sosta il canto etereo di sua madre finché l'incontro non era concluso. Vesper conosceva a memoria ogni opera, ogni scala e arpeggio, il suono di ogni strumento dell'orchestra e di ogni verso, persino quelli il cui significato gli era ancora oscuro. Aveva dimenticato com'era la voce di sua madre quando parlava, ma l'avrebbe riconosciuta tra mille cantanti, cogliendo ogni sottile variazione rispetto alle interpreti che avevano ottenuto i suoi ruoli dopo di lei.
Si avvicinò al mobile di legno intarsiato che sosteneva il giradischi, con l'insieme di piccoli ingranaggi sul fianco che roteava in un movimento ipnotico. La musica era così alta che il suono dei suoi passi lungo il tappeto grigio era impercettibile, eppure si mosse comunque in punta di piedi, sfiorando con cautela la vetrina che custodiva gli altri vinili. Suo padre teneva gli originali in cassaforte e possedeva almeno una decina di copie per ogni disco, ma nessun altro a parte lui aveva il permesso di toccarli – neppure Fosfor, che era la sua preferita. Vesper avrebbe voluto averne almeno uno da poter far suonare quando voleva, prima di andare a dormire o quando le ossa facevano troppo male per riuscire ad alzarsi dal letto. Ascoltare sua madre lo faceva sentire meglio, più di quando riuscisse a fare qualsiasi medicina.
Chiuse gli occhi, immaginandola al suo fianco come quand'era bambino. Non ricordava più il suo volto, non quello vero; nella sua memoria esisteva solo l'immagine dipinta nei ritratti di famiglia, con il sorriso elegante e i lunghi boccoli neri, ma non aveva dimenticato il calore delle sue carezze tra i capelli. Non aveva dimenticato il modo in cui lo spronava a cantare, così schiuse le labbra e lasciò viaggiare la sua voce con lei sulle note leggere dell'aria, accompagnandola fino alla conclusione.
Un fischio di apprezzamento gli gelò il sangue. «Così la stellina sa cantare.»
Vesper si voltò in un sussulto. Di fronte a lui, con le mani in tasca e una spalla appoggiata contro la parete, un ragazzo in giacca di pelle e pantaloni attillati lo fissava con un sorriso strafottente sul volto. I suoi occhi erano di un giallo tanto caldo che sembravano fatti d'oro, e così i capelli corti che dalla riga centrale ricadevano morbidi fino alle guance. Scacciò un ciuffo con uno sbuffo, e Vesper si accorse che era rimasto a fissarlo ricadere giù solo quando lo sentì sghignazzare.
«Sai anche parlare o ti serve l'accompagnamento musicale?»
Deglutì, sentendo avvampare il viso. «Chi sei?»
«Quello che il tuo paparino ha deciso di lasciare fuori.» Il viso si accartocciò in una smorfia. Come faceva a essere così carino persino con un'espressione simile addosso? «Puoi chiamarmi Kolt, lavoro con Gari. Almeno lui sai chi è, vero, Blackstar?»
«Mi chiamo Vesper. È la stella della sera, non la stella nera.»
«È uguale» Scrollò le spalle, ma il resto delle sue parole si perse nella musica.
L'aria aveva lasciato il posto a un duetto, e la voce piena del tenore a cui spettava la prima strofa sovrastava quella di Kolt al punto che Vesper riuscì a comprendere solo qualche sillaba. La sua espressione dovette risultare abbastanza confusa, perché lui sbuffò di nuovo e si staccò dalla parete per venire avanti. Sfilò le mani dalle tasche, sistemando i capelli dietro le orecchie bucate da orecchini lungo tutta la curva del padiglione, tra brillanti e pendenti d'oro sui lobi. Nessun tatuaggio in vista, ma forse aveva qualcosa sotto la maglia; gli uomini preferivano marchiare prima il petto e le spalle – non lui, lui aveva scelto il collo. Non aveva il fisico definito che molti membri della gang potevano vantare, e dubitava che crescendo sarebbe cambiato qualcosa, perciò la stella a quattro punte degli Aureli era lì dove poteva mostrarla senza doversi spogliare. Un problema che di certo non affliggeva Kolt: se gli avesse chiesto di scoprirsi, Vesper era certo che avrebbe sfoggiato un ventre asciutto, magari con una linea marcata di addominali e— Signore della Luce, quant'era vicino? Un battito di ciglia ed era a un palmo dal suo viso, chinato su di lui per abbassarsi alla sua altezza. L'odore di fumo che si portava dietro era così forte da pizzicare le narici, ma non era quello il motivo per cui si ritrovò a schiudere le labbra per respirare.
«Non te la prendere, ma sono più interessato alla stella del mattino» disse Kolt. «Sai dov'è tua sorella?»
«Perché la cerchi?»
«Di certo non per cantare» sghignazzò, scompigliandogli i capelli in un rapido gesto. «Te lo spiegherò quando sarai più grande, d'accordo?»
Vesper si accigliò. Era ovvio che fosse interessato a Fosfor, tutti i ragazzi carini lo erano, persino quelli che avevano ancora la sua età. Lei ripeteva che Vesper brillava al suo stesso modo, ma era rimasta l'unica a crederci.
«Mio padre ti ucciderà se ti scopre con lei.»
«Sì, può darsi.... Ma io sono un bastardo fortunato che è molto bravo a non farsi scoprire. Dunque, Fosfor?»
«Non è in casa» bofonchiò Vesper, ma lui strinse gli occhi e lo guardò confuso finché non alzò la voce. «Non è in casa. Non so dov'è e nemmeno quando torna.»
«Che rottura di coglioni. Perché è sempre così difficile trovare qualcuno che sappia qualcosa?» Kolt drizzò il busto nell'ennesimo sbuffo. «Cazzi suoi, non mi metto a cercarla per tutta Lenwish. Che fai, vieni?»
Vesper sbattè le palpebre. «I-io?»
«No, parlavo col giradischi. Vieni con me?»
La risposta gli morì in gola. Il volto andò in fiamme mentre balbettava, e il cuore prese a battere così forte che, non fosse stato per la musica ad alto volume, era certo che l'avrebbe sentito anche Kolt.
«Non fare quella faccia, ti pare che mi scopo i ragazzini?» sbottò lui, roteando gli occhi. «Andiamo a farci un giro. Quei due ne avranno almeno per un'ora, che dovrei fare? Avanti e indietro per il corridoio mentre li aspetto? Col cazzo. Questo posto è enorme, ci sarà qualcosa con cui ammazzare il tempo, no?»
Vesper puntò lo sguardo ai suoi piedi, pregando il Signore della Luce di farlo sparire all'istante. Tentò di schiarirsi la gola, ma venne fuori un suono troppo acuto, che spinse an cora più in basso la sua testa. «A mio padre non piace che gli estranei vadano in giro per la villa.»
«Fammi indovinare, mi ucciderà se lo scopre?»
«L'ultimo ha perso due dita.»
«Personcina adorabile. Beh, vorrà dire che andremo fuori dalla villa.»
Kolt strizzò l'occhio e lo superò, avanzando a passo spedito fino a raggiungere le finestre. Ne spalancò una e si affacciò per guardare giù, poi scavalcò il davanzale.
Vesper trasalì. Si precipitò da lui e lo afferrò per la giacca, stringendo con tutte le forze che aveva. I muscoli si lamentarono in una fitta di dolore per lo scatto improvviso, ma non lo lasciò andare neppure quando braccia e gambe cominciarono a tremare.
«Che stai facendo?!»
«Rilassati, ho tutto sotto controllo. La cornice qui è così larga che ci si può ballare sopra.» Kolt rise e si spinse in avanti, scivolando giù fino a poggiare i piedi sul marcapiano. La giacca si sollevò alle sue spalle, stretta tra le dita di Vesper, e solo allora si rese conto dell'inutilità di quel gesto: gli sarebbe rimasta in mano solo quella, se Kolt fosse caduto davvero, o forse sarebbe precipitato insieme a lui. Di sicuro sarebbe precipitato insieme a lui. Non avrebbe avuto la forza per tenerlo in equilibrio, figurarsi per aiutarlo a risalire.
Due colpetti sul dorso lo convinsero a mollare la presa. Kolt si sistemò la giacca con la tranquillità di chi non sostava su una sottile linea di pietra, una mano poggiata sul davanzale per darsi sostegno e l'altra che lo incitava a raggiungerlo in un gesto a mezz'aria. «Andiamo, il tetto è a due passi. Ci fumiamo qualcosa con la bella vista.»
«Io...» Vesper strinse i pugni, forzandosi a non arretrare. Guardò giù, puntando gli occhi sul prato che riusciva a scorgere dietro la figura di Kolt, e gli sembrò sempre più distante mentre il cuore aumentava i battiti. «Io non posso uscire.»
«Se dico che tuo padre non ci scopre, non ci scopre. Fidati.»
«No, io... Io... È troppo alto» bofonchiò, la vista che si faceva sempre più sfocata. Un brivido gelido si insinuò fin dentro i muscoli, tanto rigidi che non riusciva più a muoverli. Cadere dalla finestra all'interno sarebbe stato troppo alto, cadere e basta era troppo alto, non poteva permettersi neanche di inciampare sui suoi stessi piedi. Era al sicuro solo fintanto che non si allontanava da quel tappeto.
«È troppo alto» ripeté Vesper, facendosi piccolo mentre Kolt liberava un soffio di scherno. «Le mie... le mie ossa sono troppo fragili. Non posso farci niente. Si rompono anche solo se sbatto contro qualcosa, se cadessi da qui...»
«Non ti ci devi mica lanciare, dal tetto. Finché resti su non c'è da preoccuparsi, giusto?» Kolt sorrise di nuovo, e il sole che gli illuminava il viso non brillava tanto quanto lui. Si sporse verso l'interno e allungò un braccio, offrendogli il palmo. «Andiamo. Sei con me, figurati se ti lascio cadere.»
Vesper esitò. Sbattè le palpebre e i contorni della mano di Kolt si fecero di nuovo nitidi, solidi, e il terreno oltre le sue spalle non sembrava più così distante. Facevano tutti un passo indietro quand'erano con lui, così terrorizzati dall'idea di fargli male che non osavano toccarlo – no, terrorizzati da come suo padre li avrebbe puniti se gli fosse successo qualcosa. Nessuno di loro l'avrebbe invitato sul tetto, nessuno di loro avrebbe creduto che sarebbe riuscito a raggiungerlo, come se l'unico esito possibile per lui fosse cadere giù.
Figurati se ti lascio cadere.
Poteva fidarsi di lui? No, era assurdo solo prenderlo in considerazione. Era uno sconosciuto, per quanto ne sapeva poteva essere solo una scusa per lanciarlo di sotto – ma gli aveva teso il braccio. Era abbastanza temerario per infischiarsene del fatto che rischiava la vita solo per averglielo proposto, e se credeva che potevano farcela allora poteva crederci anche lui.
Afferrò la sua mano. Scavalcò la finestra e si calò sul marcapiano, che non era così largo come Kolt voleva far credere, ma riusciva a tenere i piedi uniti ed era sufficiente per mantenere l'equilibrio. La fresca brezza d'autunno gli sferzò il viso, spingendo indietro i morbidi ricci neri, ma quando guardò giù il petto si svuotò. Vesper aderì al muro con tutto il corpo, un palmo premuto contro la pietra grezza e l'altro stretto a quello di Kolt, che sghignazzò di nuovo.
«Non fare il cagasotto» disse, mentre la musica del giradischi si perdeva nel vento. «Se riesci a stare in piedi puoi anche camminare, no?»
No, avrebbe voluto obiettare, ma quando si voltò a guardarlo le parole si sciolsero tra le sue labbra. Lo vide muovere lenti passi verso il tetto spiovente che sporgeva poco più avanti e in qualche modo si mossero anche i suoi piedi, la presa di Kolt sembrava più sicura di qualsiasi parapetto. C'era il vuoto sotto di lui, e il cuore rimbalzava da un angolo all'altro del petto fino a martellare tra le orecchie, ma aveva il sole di fronte a lui e nulla di male poteva accadere finché lo teneva per mano.
Quasi non si accorse che avevano già raggiunto il tetto. Vesper restò a fissare le tegole grigie sotto i suoi piedi, immobile, poi la gioia esplose in un'ondata di calore che gli attraversò il corpo. Gettò fuori l'aria in una risata piena, così vivace che non ne riconobbe il suono. Da quanto tempo non rideva in quel modo? Da quanto non sentiva quel brivido scuotergli i muscoli, mutando la paura in eccitazione?
«Visto? Te l'avevo detto che era una cazzata» disse Kolt. Si mise a sedere sulle tegole e Vesper lo imitò subito, acquattandosi al suo fianco.
«Fai cose del genere tutti i giorni?»
«Se mi va, perché no?»
Tirò un pacchetto di sigarette dalla giacca e ne tirò fuori una da incastrare tra le labbra. Allungò il pacchetto verso Vesper e le sue dita afferrarono l'estremità sporgente prima che la sua mente riuscisse a formulare una risposta. Tenne la sigaretta stretta in mano mentre Kolt afferrava l'accendino, spingendo indietro lo sportellino per far brillare la piccola fiamma dalle venature violacee che incendiò presto il tabacco.
«Sai come si fa?»
«Che ci vuole ad accendere una sigaretta?»
«Sai fumare?»
Vesper arricciò il naso, evitando il suo sguardo. Poteva sentire che stava sogghignando di nuovo e il solo pensiero bastò a farlo arrossire. «Non l'ho mai fatto.»
La risata di scherno che si aspettava non arrivò. Kolt gli sfilò la sigaretta dalla mano e la avvicinò alla sua bocca, lasciando la presa solo quando lui la strinse tra le labbra. «Non mordere» disse soltanto, poi avvicinò la fiamma per accenderla. Vesper non la guardò neppure; non riusciva a staccare gli occhi dalle labbra dischiuse di Kolt, così vicine che se non fosse stato per la sigaretta gli sarebbe bastato sporgersi per—
«Non tirare tutto in una volta» disse Kolt, chiudendo lo sportello dell'accendino in uno scatto secco. «Fai piano. Tienilo in bocca per un po', poi butta giù.»
Vesper obbedì. Prese la sigaretta tra le dita, imitando la posa di Kolt, e aspirò fino a che il sapore amaro del fumo non gli riempì la bocca. Si fermò a metà del suo respiro, ma quando provò a inghiottire un bruciore acuto gli raschiò la gola.
Sputò fuori il fumo in uno spasmo che gli piegò il busto, e continuò a tossire fino a far lacrimare gli occhi prima che l'irritazione gli concedesse un po' di tregua.
«Che cazzo fai?!»
«Hai detto butta giù» protestò con un filo di voce.
«Sì, nel senso di farlo andare nei polmoni mentre respiri, non ti ho detto ingoia. Quello si fa con altre cose in altri contesti, know the fucking difference.»
Kolt riportò la sigaretta alle labbra, l'estremità divenne rossa mentre aspirava. La allontanò dalla bocca e guardò Vesper con la coda dell'occhio mentre soffiava via il fumo, il capo inclinato perché il vento non lo spingesse addosso a loro.
«Vuoi riprovare, Blackstar?»
Lui tirò su col naso. Pregò che Kolt non avesse notato le lacrime, avrebbe preferito buttarsi giù dal tetto piuttosto che farsi vedere da lui mentre le asciugava. Il petto faceva ancora male per la tosse, una fitta che pressava sulla gabbia toracica in modo costante, e respirare graffiava la gola arrossata. Portò comunque la sigaretta alla bocca e tirò di nuovo, inspirando a fondo dopo aver tenuto per un po' il fumo tra le labbra chiuse. Tossicchiò quando lo soffiò fuori; gli spasmi erano deboli e la gola non bruciava più come prima, lasciando solo un leggero solletico. Il retrogusto del fumo sulla lingua era ancora orribile, così astringente che Vesper sentì le sue labbra arricciarsi, ma quando alzò gli occhi Kolt lo guardava con un'espressione così soddisfatta che gli parve il sapore più buono di sempre.
«Allora non sei del tutto un coglione!»
«Non sono per niente un coglione.»
«Ma va, solo un coglione poteva affogarsi a quel modo. Però alla fine ci sei riuscito, quindi facciamo che ti tolgo... venti punti coglione.»
Vesper alzò un sopracciglio. «Ci sono dei punti?»
«Ci sono sempre dei punti. Te ne tolgo altri trenta se riesci a spegnere la sigaretta in cinque secondi.»
«Ma è impossibile!»
«Cinquanta lunari che ci riesco?»
Vesper annuì e il sorriso di Kolt si allargò da un orecchio all'altro. Non avvicinò neppure la sigaretta alla bocca, la prese dal filtro e schiacciò l'estremità accesa contro una tegola, sfregando fino a frenare la combustione. Lui restò a bocca aperta per qualche istante, fissando la sigaretta spiaccicata nella cenere.
«Non vale.»
«Certo che vale. Ho detto spegnere, non finire.»
«Hai barato!»
«Sei tu che hai prestato poca attenzione, per questo hai perso.» Kolt gli sfilò la sigaretta dalle dita e prese un tiro, gli angoli delle labbra ancora piegati all'insù. Picchiettò con il pollice sul fondo mentre soffiava via un refolo di fumo, facendo cadere altra cenere sul tetto. «Ma hey, ti ho insegnato a fumare e ti ho impartito una lezione di vita, ti è andata bene!»
«E che lezione sarebbe, come sprecare una sigaretta?»
«Scherzi? Sai quante stecche ci compro, con cinquanta lunari? La lezione è che solo perché hai le ossa fragili non significa che dev'esserlo anche il tuo cervello» disse Kolt, e gli tirò una schicchera sulla fronte mentre parlava. Era leggera, ma Vesper lo fissò con gli occhi sgranati di uno stupore tale da farlo trasalire. Chiunque aveva paura di toccarlo, figurarsi colpirlo.
«Non c'è niente di impossibile, esiste solo quello che vuoi e come puoi ingegnarti per ottenerlo» proseguì Kolt. «E così possiamo aggiungere alla lista di prima che ti ho fatto dono di una perla di saggezza, e tutto gratis! Beh, in realtà mi devi cinquanta lunari, ma quelli li ho vinti legalmente. Tutto sommato lo definirei un ottimo affare.»
Vesper si rabbuiò. Spostò lo sguardo all'orizzonte, dove il sole prossimo al tramonto aveva tinto il cielo di calde tinte rosate che rischiaravano le nubi scure. «La tua perla di saggezza fa schifo. Certe cose sono impossibili e basta.»
«Cose tipo questa?» Kolt prese la sigaretta tra le dita, vi passò l'altra mano davanti e l'istante dopo era sparita. Aprì entrambi i palmi verso Vesper e lui cercò di sporgersi per capire dove l'avesse nascosta, ma il refolo di fumo non si vedeva da nessuna parte. Pensò che l'avesse lasciata cadere finché non roteò i polsi, e la sigaretta riapparve tra indice e medio.
«Come— Sei un Dotai?»
«Risposta giusta e risposta sbagliata. Il mio Naru non ha nulla a che fare con questo... però lo faccio comunque.» Sollevò la mano libera e rigirò con il pollice l'anello che indossava all'anulare, facendogli cenno di guardarlo. Chiuse il pugno, lo riaprì più rapido di un battito di ciglia e l'anello era passato al medio. Lo fece di nuovo e lo spostò sull'indice, poi lo fece sparire in un gesto fluido del polso. Quando Kolt portò la sigaretta alle labbra, Vesper notò la fascia dorata scintillare sull'anulare dell'altra mano, e un solo schiocco di dita bastò per farlo tornare al suo posto.
Gli sfuggì dalle labbra un verso ammirato, e si accorse di essere rimasto a bocca aperta solo quando la sentì farsi secca. Lo sentì sghignazzare mentre teneva lo sguardo ancorato alle sue dita, fissando quello che a occhio e croce sembrava solo un comunissimo anello – lo era, senza dubbio. E se quello non era frutto di un Naru, allora...
«È solo un trucco» borbottò Vesper, soffocando il guizzo di entusiasmo che lo aveva pizzicato al centro del petto.
«E che importanza ha? Quello che conta è che ci riesco.»
«Non ci riesci davvero, è un'illusione. Non serve a nulla. Posso ingegnarmi quanto voglio, ma se cadessi davvero dal tetto morirei e basta.»
Kolt aggrottò la fronte. «Perché, vuoi cadere dal tetto?»
«No, dico solo... Se. Se cado, muoio. Sopravvivere è impossibile.»
«Con quell'atteggiamento lo è di certo.»
«Cosa c'entra il mio atteggiamento? Non posso mica... far comparire un materasso qui sotto all'improvviso.»
«Va bene, allora» si arrese Kolt in un sospiro. Prese una nuova boccata dalla sigaretta, lo sguardo dritto davanti a sé. «Hai ragione tu, è impossibile. Cadi e muori. Fine della storia.»
Vesper sbattè le palpebre, balbettando frasi che non trovarono mai conclusione. Tutto qui? Kolt sembrava così sicuro di ciò che diceva, ma erano solo... parole a caso? Una stupida frase motivazionale che non portava da nessuna parte? Tirò ancora di più le ginocchia al petto, anche se la pendenza rendeva quella posizione così scomoda che se ne pentì subito, e così di essere salito su quel tetto. Forse Kolt non era temerario, ma soltanto folle. Forse non credeva di poterlo portare lì, non ci aveva solo pensato abbastanza. L'avrebbe lasciato cadere, e lui era uno sciocco che si era lasciato abbindolare solo perché era bello più del sole.
Si alzò in piedi. Si mosse verso il marcapiano – troppo in fretta, con troppa energia. Non si era neppure accorto che sedere a quel modo gli aveva intorpidito le gambe, e quando le sentì formicolare aveva già perso l'equilibrio. Annaspò, fissando i contorni della finestra farsi sfocati mentre si inclinavano sempre di più. Non riusciva a respirare. Non riusciva a muoversi, anche se il tempo si muoveva così lentamente che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, e invece se ne stava lì a guardare il mondo piegarsi mentre cadeva. Vide il futuro dipinto nella sua immaginazione, mescolarsi ai colori di quella realtà ormai ridotta a forme indistinte: avrebbe prima battuto contro il bordo del tetto, o forse avrebbe picchiato la testa contro il marcapiano e poi sarebbe impattato contro il terreno. Se il Signore della Luce gli avesse voluto almeno un po' bene, forse l'avrebbe ucciso prima che arrivasse il dolore, altrimenti...
Qualcosa lo afferrò per il polso. Udì una serie di imprecazioni e bestemmie mentre il mondo tornava dritto, poi due braccia si chiusero attorno a lui in un abbraccio così stretto da togliergli il respiro.
«Porca puttana, Blackstar! Non era un cazzo di consiglio!» sbraitò Kolt, assicurandosi che Vesper riuscisse a stare in piedi prima di lasciare la presa. Non si allontanò del tutto; tenne le mani ancorate sulle sue spalle, il volto che aveva abbandonato la maschera di strafottenza per tingersi di preoccupazione. Se per lui, o per ciò che rischiava se Vesper fosse davvero morto a causa sua, quello non sapeva dirlo; ma il suo tocco era caldo, sicuro, e avere quegli occhi dorati piantati nei suoi gli fece dimenticare persino il panico che aveva provato.
«Puttana Lemurea... Con questa stronzata hai ripreso tutti i punti coglione che ti avevo tolto, più gli interessi. Ma che cazzo ti dice il cervello?»
Vesper si sentì avvampare di nuovo, stringendo la giacca di pelle di Kolt tra le dita. «Io... M-mi dispiace.»
Kolt riempì i polmoni fino in fondo, gettando fuori l'aria in un sospiro pesante. «Mi hai anche rovinato la scena, cazzo. Era perfetta! E invece no, lui doveva fare l'imitazione di un piccione che si dimentica di avere le ali.»
«... Eh?»
«Ma sì, dai, c'era tutto. Seduti a fumare sul tetto, il tramonto sullo sfondo, e dopo la pausa ad effetto io me ne esco così.» Si schiarì la gola, voltando lo sguardo verso il sole. «Per come la vedo io, esistono due modi di cadere. Puoi farlo mentre aspetti di schiantarti al suolo... oppure mentre cerchi di capire come volare.»
Lui boccheggiò, fissando il sorriso provocante che curvò le labbra di Kolt. L'espressione seria si incrinò per un istante e il soffio ilare che gli sfuggì fu sufficiente a far cedere anche Vesper, che scoppiò a ridere tra le sue braccia.
«Guarda che è una figata! Certe stronzate vanno un casino nei romanzi per sgrillettine, se riesci a piazzare bene una cosa del genere stendi chiunque, dammi retta.»
«È... passabile.»
«Passa— Mi prendi per il culo? Ti ho appena salvato la vita, dovresti dire qualcosa come: "grazie, Kolt. Sei davvero il migliore, fortuna che esisti". Che fine hanno fatto le buone maniere? Non le insegnano alle scuole per ricconi? E ride pure!»
«Scusa, scusa» borbottò Vesper, respirando ampie boccate per far scemare quell'ilarità che ancora gli scuoteva il petto. «Grazie, Kolt.»
«Grazie, Kolt, e...?»
«Grazie, Kolt. Sei davvero il migliore, fortuna che esisti.»
«Bravo, ragazzo. Mi piacciono quelli che imparano in fretta. Ora facciamo che ti riporto dentro prima che torni l'istinto da piccione rincoglionito, mhn?»
Vesper annuì. Tenne stretta la sua mano mentre camminavano sul marcapiano, finché non fu di nuovo con entrambi i piedi sul tappeto del corridoio. La musica era ancora alta, suonava l'interludio di metà opera, e il cuore batteva all'impazzata anche se non rischiava più di cadere. Quanto tempo era trascorso? Quanto ne mancava alla fine dell'incontro? A volte Vesper riusciva ad ascoltare l'intero vinile, ma prima o poi Gari sarebbe comunque uscito dall'ufficio di suo padre, e Kolt sarebbe andato via con lui, e...
«Non ho i cinquanta lunari.»
Kolt lo guardò con un sopracciglio alzato. «Cos'è, non vai in giro con gli spiccioli?»
«Mio padre non mi lascia tenere soldi, devo chiederli a lui se voglio qualcosa.»
«Sì, sì, ci sta. Bella pensata. Credibile, molto nel personaggio.» Si chinò su di lui. Gli afferrò il mento tra le dita e lo spinse in alto, costringendolo ad alzare la testa. «Però devi guardarmi negli occhi quando menti.»
Vesper deglutì. Così vicino. Sarebbe caduto, se si fosse spinto avanti? Forse sì, forse avrebbe assaggiato il paradiso solo per un istante prima di precipitare, ma quella poteva essere l'ultima occasione che aveva per— no, non l'ultima. Non voleva che fosse l'ultima.
Drizzò il busto. Inspirò fino in fondo, senza smettere di guardarlo. «Non ho davvero i cinquanta lunari, non adesso. Farò in modo di averceli la prossima volta.»
«La prossima volta?»
Annuì. «Se vuoi i tuoi soldi dovrai tornare da me.»
Kolt rise, strizzandogli la guancia in un buffetto prima di lasciarlo andare. «Mi piacciono quelli che imparano in fretta.»
Ebbene sì, non ho neanche cominciato a scrivere Longshot e già parto con le oneshot collegate xD Mi sembrava un modo carino per familiarizzare coi nuovi personaggi, oltre al fatto che avevo questa scena in testa e mi andava di scriverla, còff. Ne ho già in mente anche un'altra e non è detto che non scriva qualcosa di simile anche con il POV di altri, vedremo...
Nel frattempo, spero che vi sia piaciuta! Che ne pensate del giovane Vesper? :3 E quanto è figo ma anche pazzo furioso Kolt? XD Mi fa sempre morire, mannaggia a lui!
Attendo i vostri commenti e come sempre stay tuned ✨
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