Quel giorno sulla spiaggia - Parte 2 [Bluebird/Longshot]
La prima cosa che fece fu comprare un biglietto ferroviario. La meta non era importante, voleva solo allontanarsi dalla sua città il più possibile, così scelse un treno a caso tra le prossime partenze. Nelle tre ore e quaranta minuti che lo separarono dal capolinea, Keten pensò in modo più approfondito a ciò che lo attendeva. Con il cibo che aveva con sé avrebbe potuto resistere tre o quattro giorni al massimo, razionando le scorte, l'acqua però sarebbe finita prima. E, soprattutto, non aveva un posto in cui dormire: aveva molti soldi con sé, ma non aveva idea di dove trovare un posto che affittasse camere a minorenni scappati di casa senza allertare i Sovalye. Perciò si sarebbe accontentato della strada, almeno per il primo periodo: una volta arrivato a Lenwish, la sua destinazione, avrebbe dato priorità a cercare un buon posto dove passare la notte e poi avrebbe venduto i gioielli che aveva sottrato ad Elyssa. Con quelli avrebbe acquistato una coperta, uno zaino più grande, altra acqua e cibo; gli sembrava un buon piano.
Si domandò se i suoi genitori sarebbero stati orgogliosi di lui: lo definivano un bambino intelligente e testardo, che quando si metteva sapeva tirare fuori sufficiente ingegno da stupire chiunque. Elyssa sosteneva che sarebbe diventato un ottimo avvocato come suo padre, ma gli ottimi avvocati non scappano di casa e non sparano ai fratelli minori; Enai, lui sì che sarebbe diventato l'avvocato che suo padre desiderava, mentre Keten avrebbe utilizzato quell'intelligenza e testardaggine per... beh, sopravvivere.
Era finito il tempo dei dolci risvegli di sua madre, che dava il buongiorno con una colazione impiattata in modo sempre diverso; era finito il tempo dei letti comodi, della scuola e degli amici, delle domeniche trascorse con papà, dei giochi e delle risate; ma erano tutte cose che aveva già perso mesi fa. Se anche avesse fatto marcia indietro, se anche fosse tornato a casa in quell'istante, non le avrebbe avute indietro.
Ma, forse, poteva ancora averle Enai. Insieme ai genitori poteva ricostruire quell'idillio che Keten aveva distrutto, e questo pensiero gli avrebbe dato o la forza di superare qualunque notte su panchine scomode, qualunque pranzo scarno e qualunque sensazione di solitudine.
Due giorni dopo ebbe il primo, violento scontro con la realtà.
Chiedere informazioni su dove poter vendere dei gioielli era stato un gesto spontaneo e innocente, ma le indicazioni che un giovane sulla ventina gli aveva fornito non conducevano a un cambio oro. Keten si rese conto di essere stato ingannato quando si trovò davanti a un vicolo cieco, ma a quel punto era troppo tardi: il ragazzo lo aggredì alle spalle gettandolo al suolo, premendo il suo viso contro la pietra umida di pioggia. Mentre lui lo teneva fermo, un altro ragazzo frugò all'interno dello zaino per appropriarsi della pochette in cui Keten teneva i gioielli, poi fuggirono dopo avergli assestato un calcio nello stomaco.
Lacrime calde rigarono il suo viso livido, bruciante per dolore e rabbia, umiliazione e sorpresa. Nel ricco quartiere in cui i Bilmer avevano acquistato la loro villetta, nessuno pestava ragazzini indifesi per rubare dei gioielli - ma lì non c'erano giardini curati e famiglie per bene, lì le strade puzzavano di umidità e spazzatura e i sorrisi erano falsi e pericolosi.
Sistemato lo zaino in spalla alla meglio, Keten comprese che quello era un mondo di cose ingiuste e gente di cui non poteva fidarsi, e se voleva davvero sopravvivere era necessario essere meno ingenuo e più diffidente.
Ciò nonostante, due settimane dopo non gli era rimasto altro che i vestiti logori che aveva indosso, il suo zaino blu, qualche spicciolo e ben pochi viveri. Aveva subito altre due aggressioni che gli avevano lasciato il corpo pieno di lividi, e gli avevano insegnato che muoversi in modo discreto non era sufficiente: la strada era un mare di pesci affamati e lui era una preda piccola e facile, e se voleva sopravvivere doveva al più presto trovare un modo per difendersi.
Si ritrovò di fronte alla vetrina di un negozio di giocattoli a fissare con aria indecisa e perplessa la pistola giocattolo esposta proprio accanto a peluche giganti di varie forme animali. La forma ricordava quella di una comune pistola ad avancarica, ma era una semplice riproduzione di legno dipinto che non avrebbe ingannato nessuno - ma per Keten era più che sufficiente.
«Il tuo è un Naru di nuova generazione», gli avevano detto al Centro di Ricerca, «sei solo il secondo portatore di Altershot, perciò le tue potenzialità e i tuoi limiti sono ancora da definire con certezza. La tua affinità con le armi da fuoco è tale che puoi sfruttarla anche con altri oggetti che vi somiglino, dovresti essere in grado di modificare il tipo di proiettile e persino crearne uno.»
Keten immaginò i ragazzi che l'avevano aggredito ridere di fronte alla figura di un bambino con in mano una pistola giocattolo; le risate però mutavano in urla di dolore quando i proiettili di Sihir si conficcavano nelle loro carni.
Quel pensiero lo spaventò, facendolo sobbalzare. Non avrebbe mai pensato a qualcosa di così cruento, prima; quel breve tempo in strada lo aveva reso più cattivo.
"E' solo per difendermi" si disse, entrando di corsa all'interno del negozio per acquistare il giocattolo con i soldi che gli rimanevano. "Devo difendermi, o mi ruberanno tutto quello che mi è rimasto e morirò di fame."
Quando alcuni ragazzi tentarono di derubarlo, Keten non ebbe dubbi sul da farsi. Sfoderò la pistola di legno e la puntò verso di loro, portando alla memoria i suoi giorni al Centro di Ricerca. A quel tempo aveva pregato i ricercatori di lasciarlo in pace, ma adesso era grato per la loro insistenza: se non fosse stato per le informazioni che gli avevano fornito e gli allenamenti per trovare il suo Focus, dubitava che sarebbe riuscito a richiamare il Sihir così facilmente nonostante i suoi numerosi tentativi nel vicolo in cui dormiva.
Focalizzazione: ecco ciò che gli serviva. Concentrare la vista e le attenzioni su un unico punto, metterlo a fuoco come se non esistesse altro che l'obiettivo da colpire, e allora l'energia mistica affiorava attraversando la sua pelle fino all'indice che teneva sul finto grilletto.
Sparò due colpi: il primo si schiantò contro la spalla di uno dei ragazzi, il secondo perforò la coscia dell'altro. Keten sorrise mentre le espressioni dei due mutavano in dolore e sorpresa, il sangue che colava dalle loro ferite mentre arretravano terrorizzati.
«Dotai!»
Esclamò il primo, ed entrambi corsero via come potevano. Keten li lasciò andare, sentendo crescere un senso di soddisfazione che gli avvampò il petto, qualcosa che mai avrebbe creduto di poter associare a quel potere. Era stata la sua rovina, ma poteva essere la sua salvezza: forse un ragazzino avrebbe avuto vita difficile per le strade, ma un Dotai sarebbe certamente riuscito a sopravvivere.
Tre settimane dopo, Keten si ritrovò senza denaro né cibo. Aveva creduto di poter andare avanti per un po' chiedendo l'elemosina, ora che aveva modo di difendersi dai furti grazie alla pistola di legno, ma aveva sopravvalutato la generosità dei Roumberghiani. Ciò che racimolava gli era a malapena sufficiente per arrivare a fine giornata, e c'erano stati giorni in cui era stato costretto al digiuno. Grazie alle fontane pubbliche non doveva preoccuparsi dell'acqua ed era riuscito ad intrufolarsi in un vecchio edificio abbandonato per dormire, un posto più riparato che l'avrebbe protetto dal freddo invernale, ma il cibo era ancora un problema.
Aveva sentito dire che la Chiesa della Luce offriva pasti ai senzatetto, ma la sua giovane età attirò l'attenzione nel momento in cui si presentò a chiedere del cibo. Le Lucille avevano le migliori intenzioni: si preoccuparono di chiedergli se fosse solo e se avesse un posto in cui vivere, desiderose di trovargliene uno, diventando troppo insistenti per i suoi gusti. L'Orfanotrofio dei Lucisti sarebbe stato una buona scelta - un letto comodo, un pasto assicurato, la compagnia di persone che non ti avrebbero picchiato per derubarti dei tuoi averi, eppure Keten temeva che soggiornare in Orfanotrofio avrebbe presto o tardi rivelato la sua identità. E lui non voleva farsi trovare.
Il giorno del suo compleanno comprò un bombolone alla crema con cui viziarsi. Era una decisione stupida: costava cinque volte una pagnotta ed era a malapena sufficiente a saziarlo, oltretutto non era neanche così buono. Un tempo l'avrebbe definito mediocre, appena passabile se paragonato a quelli che Elyssa acquistava dalla pasticceria di fiducia, ma dopo due giorni di stenti per il suo palato era la cosa più buona che avesse mai assaggiato. Sapeva di non potersi permettere dei festeggiamenti, ma aveva il disperato bisogno di qualcosa di allegro e piacevole, e quel sapore zuccherino era abbastanza confortevole da instillargli in petto un po' di buon umore.
Lo assaporò lentamente, ignorando le lamentele dello stomaco affamato, e chiudendo gli occhi si concesse di ripensare a casa: ricordò com'era prima di quell'estate, ricordò il suo compleanno dell'anno precedente, le risate dei suoi amici e gli abbracci affettuosi dei suoi cari. Per qualche breve istante, morso dopo morso, riuscì ad illudersi di essere ancora a casa sua, tra le braccia di sua madre. Avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe ritrovato nel suo letto, avvolto da morbide coperte. Suo padre gli avrebbe scompigliato i capelli dicendogli che aveva soltanto fatto un terribile incubo. Si sarebbe voltato e alla sua destra avrebbe visto Enai dormire pacificamente nel suo letto.
Forse non era ancora troppo tardi. Forse poteva tornare indietro e...
Il suono di uno sparo gli riempì le orecchie in uno schiocco. Diede l'ultimo morso al bombolone mentre la sua gioia si trasformava in polvere: le risate divennero urla, gli abbracci solo fredde e gelide occhiaie. Rimase a fissare la carta sporca di zucchero, si rannicchiò su sé stesso e pianse fino ad addormentarsi.
Elyssa e Ruben, doveva riconoscerlo, erano stati dei buoni genitori. Kolt non li colpevolizzava per come avevano gestito l'incidente, per essere crollati sotto il peso del dubbio e del dolore: i loro amici non erano stati in grado di offrire il conforto di cui avevano bisogno e lo psicologo che avrebbe dovuto aiutarli ad affrontare la situazione sembrava gettare sale sulle loro ferite.
Non li aveva odiati quando aveva dieci anni, convinto di meritare il loro astio, non li odiava ora che ne aveva venticinque e riusciva a comprendere che, al posto loro, probabilmente avrebbe ceduto anche lui. Quando ripensava a loro non provava risentimento per gli ultimi mesi passati insieme, ma conservava i bei ricordi che avevano costellato la sua infanzia. Li elogiava, piuttosto, per l'educazione che erano riusciti ad impartirgli senza eccessiva severità o bontà: a undici anni Keten era un bambino intelligente e di buon senso per la sua età, conosceva la differenza tra bene e male, tra giusto o sbagliato, e in strada portava ancora con sé la morale che gli era stata impartita.
Se fosse rimasto a casa, forse sarebbe diventato un brav'uomo, una persona onesta e corretta come suo padre. Lo considerava ancora il suo modello di vita e una parte di sé sperava di riuscire comunque, un giorno, a diventare come lui: avrebbe stretto i denti fino a quando non fosse diventato abbastanza grande da cercare un lavoro e allora i brutti giorni sarebbero finiti.
Sopportò i crampi della fame, il dolore di un giaciglio scomodo, le temperature troppo basse per i suoi vestiti, la solitudine, il costante timore di vivere guardandosi costantemente le spalle: nonostante tutto ciò, quegli insegnamenti erano così saldi che Keten attese un mese intero prima di convincersi ad abbandonarli, realizzando che se voleva evitare di morire l'unica alternativa rimasta era rubare.
Inizialmente venne a patti con sé stesso convincendosi a saccheggiare solo ciò che era necessario. L'unica furtività che avesse mai allenato era quella necessaria ai semplici giochi con gli altri bambini, ma il mercato cittadino era abbastanza confusionario da permettergli di sgraffignare vestiti più caldi e un po' di frutta, pane e persino caramelle senza farsi notare.
Con l'arrivo dell'inverno, però, il clima rigido e le giornate piovose resero il mercato meno frequente e affollato, spingendo Keten a rubacchiare all'interno dei negozi. Non era difficile come aveva pensato, ora che i suoi sensi si erano affinati tenendolo in allerta e le sue mani erano diventate più svelte: doveva solo attendere che gli occhi fossero voltati da un'altra parte e infilare sotto il giaccone questo o quello. Di tanto in tanto, quando l'elemosina gli forniva abbastanza monete, acquistava qualcosa dagli stessi negozi in cui rubava, per rendere le sue visite meno sospette.
Provava ancora del senso di colpa ogni volta che i proprietari gli rivolgevano la parola o persino si mostravano gentili con lui, offrendogli una barretta di cioccolata o una fetta di formaggio, a cui Keten imparò a rispondere con il più credibile falso sorriso che riusciva ad imitare. Gli dispiaceva sinceramente per loro, ma non poteva fare a meno di ciò che rubava ed erano poche cose, per loro non avrebbe fatto differenza. Non ricordava precisamente quando quel senso di colpa aveva cominciato ad affievolirsi, ma sarebbe stata una menzogna dire che era scomparso del tutto.
Non era un uomo onesto. Non si riteneva neanche una brava persona.
Ma non aveva mai derubato nessuno che non fosse abbastanza ricco da sopportare la perdita.
Con l'avvento della primavera i mercati tornarono ad essere più frequenti, e le strade offrivano posto ad artisti e saltimbanco di ogni tipologia. Keten li guardava in parte con la meraviglia di un bambino e in parte chiedendosi se avesse potuto provare a fare lo stesso: funzionava meglio dell'elemosina. Non aveva ereditato il talento artistico della madre, né avrebbe saputo mettere in scena spettacoli degni di questo nome. Sapeva suonare la chitarra, ma non era mai stato particolarmente bravo - e comunque non aveva una chitarra. Comprarne una sarebbe stato troppo costoso ed era troppo grande perché potesse infilarla sotto un giubbotto.
Cominciò ad interessarsi ai giochi da strada: da ciò che poteva vedere osservando la folla riunirsi attorno ai banchi, chi giocava perdeva quasi sempre eppure continuava a puntare ancora e ancora, continuando a tornare sempre numerosi. Perciò la sua idea non era quella di giocare, bensì quella di imparare a stare dietro il banco: vincere era più difficile di ciò che sembrava e si ripromise che non avrebbe ceduto alla tentazione di fare soldi facili partecipando a quei giochi. Vagò di vicolo in vicolo alla ricerca di un gioco che faceva al caso suo, cercando come poteva di comprendere i trucchi del mestiere.
Ciò nonostante infranse quella promessa solo due giorni dopo.
A quel tempo giocare d'azzardo non era ancora diventata una sua abitudine, perciò non avrebbe ceduto per dei semplici dadi, delle carte e neppure per quei strani aggeggi che facevano roteare minuscole palline numerate. Kolt trovava difficile resistere al loro richiamo, ma Keten sarebbe riuscito a mantenersi fedele ai suoi propositi se non avesse notato quel gioco in particolare.
La chiamavano Roumberette, termine che Keten trovava orribile e cacofonico, ma che non frenava i più dall'avvicinarsi, incuriositi dalla novità. Quanto a lui, non fu quel nome ad attirare la sua attenzione, né gli annunci del conduttore, né ciò che prometteva la vincita o il modo in cui avevano allestito il banco: fu la pistola.
Keten aveva visto pistole vere solo in illustrazioni e riproduzioni giocattolo, ma quella era diversa da qualsiasi arma avesse mai visto. Aveva una forma compatta e squadrata, con la canna più corta e il calcio più lungo, unica parte ad essere rivestita di legno. Già questo era sufficiente a renderla bizzarra, ma la cosa che Keten trovò più curiosa era che i proiettili venivano inseriti in un piccolo cilindro rotante che poteva ospitarne ben sei. Quella pistola era il fulcro del gioco: il conduttore parlò dell'arma chiamandola gioiellino di nuova generazione, parole che Keten prese per vere, perché non aveva mai visto nulla del genere e sembrava che anche la folla fosse piuttosto sorpresa.
Lo scopo era semplice: il giocatore non doveva far altro che sparare un colpo di pistola verso un bersaglio posto più avanti. Non era importante fare centro, motivo per il quale il cerchio ligneo era abbastanza grande e vicino da poter essere colpito da chiunque senza sforzo; era tutta una mera questione di fortuna. Il conduttore avrebbe inserito nella pistola un solo proiettile, poi avrebbe fatto ruotare il cilindro. Il caso avrebbe deciso se il proiettile si sarebbe fermato nella giusta posizione o se, premendo il grilletto il giocatore avrebbe sparato un colpo a vuoto, perdendo la sua scommessa.
Semplice. Abbastanza da convincere un nutrito nugolo di persone a tentare la fortuna, accumulando una serie di sconfitte che non minavano la convinzione che prima o poi la buona sorte avrebbe arriso loro. Dopotutto era solo una questione di probabilità.
Non era molto diverso dagli altri giochi che aveva visto, né era più semplice vincere: sembrava anzi che quel proiettile non volesse proprio saperne di venire sparato via, ma Keten realizzò piuttosto rapidamente che lui non aveva bisogno di quel proiettile. Avrebbero potuto consegnargli una pistola vuota e avrebbe vinto in ogni caso.
Cercò di non mostrarsi troppo sicuro di sé nell'accostarsi al banco di gioco, lasciandosi scorrere addosso qualche risata, le parole di chi sosteneva che quello non fosse un tipo di gioco adatto a lui. Il conduttore si mostrò abbastanza gentile da prendere la sua quota e offrirgli la possibilità di un tentativo, invitandolo a rivolgere l'arma verso il bersaglio.
Keten non dovette fingere di non sapere come impugnarla, perché era la verità: le armi giocattolo erano nettamente più leggere, adatte alla sua mano da bambino, perciò dovette aiutarsi con la sinistra per avere sostegno. Fissò il piccolo cerchio rosso al centro e lasciò che il Sihir scivolasse all'interno dell'arma, poi premette il grilletto.
Il rinculo dello sparo lo spinse all'indietro, sorprendendolo tanto da cadere a terra, ma il suo stupore era nulla se paragonato a quello disegnato sul viso del conduttore e dei suoi colleghi quando quel sonoro bang accompagnò il proiettile fino al bersaglio. Un sorriso spontaneo si disegnò sul viso di Keten quando si rialzò per raccogliere la sua vincita, e la soddisfazione di avere nuovamente così tanti soldi tra le mani gli rese impossibile rifiutare di giocare una seconda volta, e poi una terza. Entrambe le volte i colpi di Keten andarono a segno tra lo stupore generale, tanto che qualcuno tra la folla cominciò a crederlo un portafortuna e si offrì di pagarlo per giocare al posto suo.
Il sorriso di Keten si accentuò, inebriato dalla situazione che finalmente volgeva a suo vantaggio: naturalmente era troppo piccolo e ingenuo per comprendere che avrebbe dovuto fermarsi a quel primo tentativo, troppo ignorante riguardo le caratteristiche delle armi da fuoco da sapere che quel suo trucco avrebbe destato sospetti di fronte a così tanti colpi messi a segno.
Si rese conto che le cose non sarebbero finite bene quando uno dei colleghi del conduttore, un omone dai capelli bluastri e braccia grosse quanto la sua vita, lo scortò lontano dal banco per riscuotere la sua vincita, che a detta loro ammontava a più di quanto avessero in cassa. Non appena furono lontani da occhi indiscreti la grossa mano dell'omone fu attorno al suo collo, sollevandolo di malagrazia da terra per sbatterlo contro il muro. Keten chiuse gli occhi quando lo vide sollevare il pugno ed era piuttosto certo che si sarebbe schiantato a breve contro la sua faccia, ma qualcosa lo impedì.
«Mettilo giù, se non vuoi che il tuo culo abbia un secondo buco.»
Keten non conosceva quella voce. Era profonda, resa roca dall'età e dal fumo del sigaro che aveva tra le labbra, e benchè non avesse un'aria minacciosa - sembrava piuttosto il tono di un uomo appena sveglio, leggermente infastidito dal sonno che aveva interrotto - si riusciva a percepire che quanto aveva detto era la pura e semplice verità. Keten sentì che la breve risata di scherno che l'omone rivolse allo sconosciuto mutò in un rantolo interdetto e stupito.
«Ha cercato di fotterci, Gari!» L'omone parlò con il tono di un bambino impaurito, e Keten sentì lo sconosciuto schioccare la lingua contro il palato.
«Non ha cercato, vi ha fottuti alla grande» rispose con uno sbuffo divertito. «Poi ha fatto il coglione, ma quello si può sistemare. Lascialo a me e levati dalle palle.»
L'uomo chiamato Gari puntò contro l'omone il fucile più grosso che Keten avesse mai visto, e la mano che stringeva il suo collo allentò la presa, facendolo cadere sulle ginocchia. Quando rialzò lo sguardo, l'omone si stava già allontanando a passo svelto e al posto suo vi era un uomo basso e tarchiato, privo di capelli ma con una folta barba rossa, le cui rughe suggerivano che avesse una cinquantina d'anni. Keten borbottò dei ringraziamenti in sua direzione, non sapendo come avrebbe dovuto comportarsi, ma l'uomo sputò a terra in un borbottio rauco.
Gari non perse tempo in presentazioni e le prime parole che rivolse a Keten furono confermare ciò che che aveva già detto sul suo conto, dandogli del coglione. Gli spiegò che le rivoltelle erano pistole moderne e che molti non conoscevano il loro nome, figurarsi il loro funzionamento. Il trucco del gioco stava nel tamburo, che Keten scoprì essere il nome del cilindro che conteneva i proiettili: il conduttore faceva credere di girarlo in modo casuale, ma sapeva come fare perché il proiettile non finisse mai in canna: in definitiva, stavano barando.
Gli disse che avrebbe dovuto accontentarsi di un solo tentativo per non destare sospetti e chiedere di girare da sé il tamburo, se glielo avessero concesso. In ogni caso, la sua piccola truffa sarebbe stata scoperta facilmente a meno che non avesse svuotato la pistola dopo lo sparo, facendo credere di gettar via il bossolo vuoto. A quel punto era meglio riscuotere la vincita e correre via prima che potessero farsi venire qualche dubbio a riguardo.
Keten era incerto: quell'uomo lo aveva salvato da un pestaggio, ma non sapeva se poteva fidarsi di lui. Sembravano buoni consigli, ma non era certo del motivo che lo spingeva a darglieli. Perciò abbassò il capo e tenne a mente quelle osservazioni per il futuro, ma cercò immediatamente di defilarsi: Gari fu rapido ad afferrarlo per la collottola frenando la sua fuga.
«Rallenta, ragazzo. Puttana Lèmurea, pensi ti abbia salvato per buon cuore?»
Keten non aveva mai sentito nessuno pronunciare così incautamente il nome della Dama della Notte, figurarsi accostarle un simile epiteto. Quell'imprecazione bastò ad ammutolirlo e restò a fissare l'uomo con gli occhi spalancati, bianco in viso. Per tutta risposta, Gari gli sbuffò del fumo in faccia, facendolo tossire.
«Come ti chiami?»
«Keten.»
«Bene, dimenticatelo. Prima regola, non usare mai il tuo vero nome per strada: da oggi Keten è morto, trovatene un altro.»
Lo posò di nuovo a terra, ma gli lanciò un'occhiata da prova a scappare e imbraccio di nuovo il fucile, perciò Keten restò immobile con l'espressione terrorizzata di un cerbiatto.
«Uhm... Kolt andrebbe bene?»
Gari gli lanciò un'occhiata sbieca. «Come la pistola? Ma sei serio?»
«Vuol dire anche oro» lo corresse, anche se era vero solo per il dialetto del sud-est di Roumberg. Lo sapeva perché era così che Ruben chiamava lui e suo fratello, quando si vantava di loro con i suoi amici. My likol kolt barz, diceva mentre scompigliava i loro capelli biondi: i miei piccoli lingotti d'oro.
«Fai il cazzo che ti pare» lo informò Gari, sollevando le spalle. «Tu puoi chiamarmi Gari, da oggi lavori per me. Fai quello che ti dico e avrai da mangiare e dove dormire, troveremo il modo di rendere utile quel Naru che ti ritrovi. Se stai attento potresti pure imparare qualcosa. Ora togliti quell'espressione del cazzo dalla faccia e muoviamoci, c'è molto da fare.»
Keten lo osservò cominciare a camminare nell'assoluta certezza che lui l'avrebbe seguito. Lo lasciò andare avanti di qualche passo, domandandosi quanto sarebbe stato saggio seguire uno sconosciuto e quanto pericoloso sarebbe stato quel lavoro cui aveva parlato.
Forse sarebbe stato meglio voltarsi e provare comunque a fuggire: aveva gambe veloci e conosceva quei vicoli, forse sarebbe riuscito a sgattaiolare via battendo quell'uomo in velocità.
Allora sarebbe tornato a... cosa? Alla sua vita di elemosina e piccoli furti?
Forse era l'ennesimo ragionamento da ragazzino ingenuo, ma se Gari avesse voluto fargli del male l'avrebbe già fatto. Non voleva neanche fare del bene, l'aveva ammesso lui stesso, e probabilmente era intervenuto solo perché interessato a sfruttare il suo Naru.
E anche se fosse?
Cibo, un posto dove dormire e qualcosa da imparare erano una buona offerta, non aveva senso scappare ancora prima di conoscere il tipo di "lavoro" che lo aspettava. Non aveva nulla da perdere, poteva permettersi di correre il rischio.
Così avanzò a passi svelti e testa alta affiancando l'uomo, senza neanche pensare ai soldi che aveva perso per pagare la sua quota alla Roumberette. In qualche modo sentiva che non sarebbe stato un problema: era una preoccupazione che avrebbe angosciato Keten, ma ora il suo nome era Kolt.
E con un po' di fortuna, quella poteva essere la sua più grande occasione.
Purtroppo non ho un disegno collerato, perciò beccatevi questo Kolt appena sveglio!
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui!
Ho scritto questa Oneshot anni fa. Inizialmente sarebbe dovuta essere l'inizio di una vera e propria storia su Kolt, ma quando ho ripreso in mano tutti i progetti legati a Bluebird e affini mi sembrava stonare con il resto: è molto narrata, sembra più un mix tra un racconto e la stesura del background di un personaggio, perciò ho deciso di accantonarla.
L'idea per la storia con protagonista Kolt c'è ancora, ma dubito fortemente di utilizzare questo scritto così com'è: vorrei trovare un modo diverso per introdurre la sua storia, un modo meno "raccontato e cronologico", ma sarà un problema per la Mari del futuro.
Dato che di quanto successo col fratello se ne parla già in Bluebird, ho pensato di riprendere in mano queste righe, sistemarle un pochetto (non troppo, perché l'istinto era quello di riscrivere tutto o quasi ahahah) e pubblicarle negli "Extra", perché un po' mi intristiva vedere questo file lì fermo a prendere polvere!
Spero che non sia troppo "pesante" e che possa risultare interessante e magari utile a delineare alcuni tratti di un personaggio che purtroppo si è visto poco finora, ma che ha ancora molto da dare :3
Come sempre ogni commento è ben gradito, fatemi sapere che ne pensate e se vi va lasciate una stellina, il vostro supporto è sempre apprezzato! ♥
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