Baby, I can make you feel (hot)

Si erano rimessi in piedi con la sabbia appiccicata ovunque: sulle gambe, tra le dita, perfino nei capelli.

Le mani ancora sporche, il respiro ancora spezzato.

Katsuki si era chiuso i pantaloni in fretta, mentre Izuku cercava di capire se la canotta fosse salvabile o da buttare direttamente nell'inceneritore.

«Ok, ne ho i coglioni pieni del gelsomino.» borbottò il biondo, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.

«Ma è profumatissimo!» ridacchiò Izuku, mordendosi il labbro e cercando di non guardarlo troppo a lungo.

Era un casino.

Tutto quanto era diventato un casino.

Camminarono piano e in silenzio, uno accanto all'altro, ma senza toccarsi. Non c'era imbarazzo tra loro, o, almeno non di quel tipo... ma c'era piuttosto una strana consapevolezza, una tensione leggera, quasi gentile, che li univa come un filo d'erba tra due dita: fragile, ma impossibile da ignorare.

Al bar c'era ancora troppa gente.

Le luci più forti li fecero esitare un attimo, e all'istante si distanziarono di più, come due che si erano persi nella folla e ora si erano solo "incrociati per caso" per poi dirigersi verso il bagno.

«...solita coda dalle donne.»

«Tantissima coda...»

Le voci più avanti di loro erano familiari.

Mina, Jirō e quella stangona di Momo, tutte e tre in fila per i bagni, i tacchi infilati nella sabbia, gli occhi sporcati di mascara e annacquati dalla tequila.

«Merda...» mormorò Izuku, ma il biondo fu svelto ad afferrargli il gomito e lo spinse istintivamente verso sinistra, tra le ombre laterali del locale.

«Tira dritto. Se ci vedono conciati così, ci tolgono la vita per mesi...»

«Kacchan non fare così che sembriamo due criminali.»

«Io forse. Tu sembri solo uscito da un porno a basso budget.»

Izuku avvampò e trattenne una risata nervosa, ma non rispose.

Kacchan aveva ragione e lui aveva troppa voglia di ridere davvero, di nuovo. Perché questo Katsuki, quello con la battutina pronta e così tanto attento... Dio come gli piaceva!

La porta del bagno si richiuse dietro di loro con un tonfo ovattato.

Un odore forte di sapone industriale e piscio li accolse, mischiandosi poi al profumo d'estate che ancora si portavano addosso: gelsomino, sudore, salsedine...

Niente urla, niente chiasso. Solo loro due.

Il neon sopra lo specchio tremolò per un istante, poi si stabilizzò, illuminandoli con una luce smorta e impietosa. «Wow.», fu l'unico commento di Izuku, mentre guardava se stesso riflesso nello specchio: aveva ancora i capelli scompigliati, una guancia arrossata (forse per la sabbia, forse per quello che era successo) e la canotta nera... beh, quella era ormai compromessa: ora la vedeva bene quella macchia lattiginosa che la decorava con poco margine d'interpretazione. «Siamo un casino...» mormorò.

«Già. E sembri pure fottutamente soddisfatto di te stesso.», lo rimbeccò Katsuki, andandogli vicino e passandogli il pollice sullo zigomo, togliendogli un grumo appiccicaticcio di sabbia, per poi sciacquarsi le dita sotto l'acqua.

Izuku arrossì di colpo e restò per un momento imbambolato a guardare l'altro lavarsi le mani con meticolosa attenzione.

«Sembri uno che ha litigato con una bottiglia di lozione e ha perso.». Katsuki, accanto a lui, si passò una mano tra i capelli sudati e poi sul viso: aveva la camicia irrimediabilmente stropicciata, qualche granello di sabbia ancora incollato al collo e quando spostò lo sguardo su Izuku... beh, Izuku sembrava sopravvissuto a un tifone.

L'altro lo guardò storto. «Stupido.» e toccò il tessuto della canotta con due dita, per poi sospirare e abbassare lo sguardo. «Proviamo così...?» e si sporse a prendere una salvietta, si piegò sotto il rubinetto, aprì l'acqua fredda e la bagnò. Cominciò a strofinare la macchia, con scarso successo.

Izuku si guardò ancora una volta nello specchio e fece una smorfia. «Ok... no... Ho fatto peggio...» e afferrò l'orlo della canotta e se la sfilò dalla testa con un gesto deciso, lasciando scoperta tutta la parte superiore del corpo: spalle forti, petto ben disegnato, le cicatrici come trame sottili su una pelle lucida di calore e un filo di sudore.

Rimase con la canotta in mano per qualche secondo, incerto, poi la mise sotto il rubinetto e aprì di nuovo l'acqua fredda. Il getto schizzò dappertutto appena lui ci mise sotto il tessuto sporco.

«Stai solo facendo un lago, Deku...», sbuffò Katsuki, avvicinandosi con passo pesante. Gli prese la canotta dalle mani, le nocche che sfiorarono le sue. «Dammi qua!»

Il ragazzo dai capelli verdi si scansò appena, gli occhi un po' bassi, le guance colorate, mentre l'altro si mise a strofinare con forza la stoffa sotto l'acqua assieme a un goccio di sapone liquido, con un'espressione concentrata, quasi stesse ripulendo una macchia di sangue dal suo stesso costume da battaglia.

Katsuki ci provava, a restare concentrato, però ogni tanto alzava lo sguardo, e il petto nudo dell'altro gli toglieva qualche secondo di concentrazione.

Una goccia di sudore si staccò dal mento di Izuku, scivolò giù dalla clavicola, passando sopra i pettorali, lentamente verso gli addominali, e poi sparì dietro il bordo dei pantaloni.

«Che c'è?», chiese il ragazzo dai capelli versi mentre sollevava le sopracciglia, col tono innocente di chi non si rende conto di un cazzo.

Katsuki deglutì. «Niente.», e continuò a strofinare. «È solo che sei... sporco ovunque, cazzo.»

Izuku fece un sorrisetto, inclinando un po' la testa. «Non volevo combinare tutto quel casino... sul serio.»

«Non è stato un casino.»

«Ho ancora sabbia sulle braccia...», protestò, osservandosi i bicipiti, ruotandoli, passandosi le mani sul collo, sul retro della schiena per togliere la maggior parte della sabbia, finendo tuttavia per farsi uno scrub involontario e decisamente fastidioso.

Mentre lui si torceva, Katsuki si sporse appena, osservandolo con un sorrisino stampato sul volto. «Mh... anche sul culo.»

Izuku lo colpì piano con un gomito. «Kacchan!»

Il biondo alzò le mani. «Che vuoi, scusa? È un dato oggettivo!»

Rimasero in silenzio per un attimo, poi si scambiarono uno sguardo riflesso nello specchio, entrambi con la schiena piegata verso il lavandino, le mani ormai lavate, le guance colorate.

L'atmosfera sembrava improvvisamente irreale.

Katsuki si mosse per primo. Allungò una mano verso la schiena di Deku e, con un tono che voleva suonare indifferente, bofonchiò: «Hai ancora sabbia pure sulle scapole.»

L'altro si voltò appena, curioso, ma non ebbe il tempo di rispondere: il biondo aveva già preso la canotta bagnata e gliela stava già passando piano sulla schiena, strofinandola con un gesto ruvido ma controllato, come se stesse asciugando un vetro appannato.

Il tessuto, umido e freddo, a contatto con la pelle accaldata lo fece rabbrividire. Il suo corpo si irrigidì per riflesso, le scapole si contrassero, e sentì la pelle accapponarsi lungo tutto il dorso.

«Ah—!», gli uscì, trasalendo, e si osservò nello specchio, le labbra semiaperte per la sorpresa, le guance che si accendevano di un rossore più vivido. I capezzoli si intirizzirono per il contatto improvviso, quasi fossero stati sfiorati da cubetti di ghiaccio, e si rese conto, con crescente imbarazzo, di quanto il suo corpo reagisse a ogni minima attenzione di Kacchan.

Le braccia gli si coprirono di pelle d'oca, e provò a incassare il collo tra le spalle, quasi volesse scomparire. «É... fredda...», mormorò, a mezza voce.

«Ah? Che credevi?», sbuffò Katsuki, continuando comunque a passargli addosso la canotta con movimenti brevi, metodici, ma più lenti, come se ogni gesto fosse un'occasione per restare ancora lì a toccarlo, a stargli vicino.

Poi si fermò, allontanandosi appena, voltandosi verso il rubinetto: risciacquò bene la canotta per togliere via i residui di sabbia, la strinse forte tra le mani sopra il lavandino, l'acqua che sgocciolava e schizzava ovunque, prima di porgergliela.«A posto. Ma non mettertela subito...» disse, senza guardarlo negli occhi. «Aspetta almeno che si asciughi un po'.»

Izuku la prese con entrambe le mani, ancora umida, ancora fredda, e annuì. Fece come il biondo gli aveva detto e si spostò verso l'asciugamani automatico montato a muro, allungandola sotto il getto d'aria calda. Il rumore coprì per un istante il battito del suo cuore, che gli martellava forte nelle orecchie.

Rimase lì, a torso nudo, lo sguardo fisso davanti a sé, le braccia tese a reggere il tessuto, ma la consapevolezza addosso era tutta un'altra: sentiva gli occhi di Kacchanpuntati sulla sua schiena, immobili, pesanti, caldi.

E in mezzo a quella stanza illuminata al neon, tra il rumore dell'acqua che gocciolava ancora nel lavandino e il soffio costante dell'asciugamani, tutto sembrava trattenere il fiato. Anche loro due.

Katsuki gli lanciò un'occhiata laterale mentre si passava una mano a sistemarsi i capelli. «Sistemati quel cespuglio che hai in testa che sembri un pulcino bagnato.», disse a voce più alta per sovrastare il rumore dell'asciugamani.

«E tu uno che cerca scuse per non fissarmi.»

Il biondo sbuffò, ma gli occhi restarono lì, incollati ai contorni delle spalle, ai segni chiari che le luci gli disegnavano sul petto e che lui vedeva di sfuggita dallo specchio.

Lì, dove prima aveva posato le mani. Dove avrebbe voluto lasciare la bocca. Dove le dita avevano solo sfiorato, ma la mente aveva già toccato cento volte.

«Ci hai pensato? Prima, dico. A tutto questo...» mormorò Izuku, mentre allontanava le mani e il getto d'aria si fermava con un sospiro meccanico. Si voltò verso di lui, il torso ancora nudo, gli occhi incerti.

Un silenzio si stese tra loro, fitto e carico, lo stesso che avevano imparato a riconoscere fin da piccoli. Quello che precede i pugni, le confessioni, o le parole che non si sanno più ricacciare dentro. O i baci rubati, come quella sera.

Katsuki si voltò piano. Si appoggiò con l'anca al lavandino, le braccia incrociate, il busto appena inclinato verso di lui. Lo sguardo basso, quasi a proteggersi dal peso di quegli occhi verdi.

«A volte. Ma non così.»

Izuku inclinò appena la testa. «Come, allora?»

«In un modo più... stupido.», e il biondo fece una smorfia e alzò le spalle con noncuranza: «Tipo che ti prendevo per il colletto della divisa e ti baciavo in un'aula vuota. O dopo un allenamento, quando eravamo mezzi morti. O in infermeria, magari col naso rotto. Cose... cose così.»

Izuku sorrise piano. «Romantico.»

«Non lo dire con quell'aria da presa per il culo!» ringhiò Katsuki, ma senza mordente. La voce gli uscì più rotta che dura.

«Non ti sto prendendo per il culo!» replicò Izuku subito, le mani aperte a mezz'aria, un passo più vicino. «È che... non pensavo che anche tu avessi immaginato qualcosa.»

Ci fu un attimo in cui nessuno dei due seppe bene dove guardare. Katsuki si passò una mano tra i capelli, le dita nervose, mentre Izuku si infilava di nuovo la canotta umida e fresca e poi la mano andava a massaggiarsi la nuca, cercando parole che non sembrassero stupide appena dette.

«Kacchan...» disse infine.

«Che c'è?»

Quello abbassò lo sguardo, poi lo rialzò lentamente, le pupille dilatate, la voce appena un sussurro: «Mi... mi batte ancora il cuore come se avessi corso una maratona... Solo per quello che hai detto...»

Katsuki si morse l'interno della guancia e lo fissò per qualche secondo. Avrebbe potuto ridergli in faccia, scrollare le spalle, buttare tutto a fanculo con una delle sue solite battute acide. Invece, si limitò a sospirare e voltarsi verso il lavandino. Si sciacquò di nuovo le mani, senza fretta, come se quell'acqua potesse aiutarlo a raffreddare qualcosa che invece continuava a bollire dentro.

«Quindi...», Izuku parlò per primo, nervoso. Si grattò ancora dietro la testa, le ciocche verdi irrimediabilmente spettinate. «...noi adesso cosa siamo?»

Katsuki lo guardò di traverso, poi tornò a chinarsi sul lavandino. «Due cretini che si sono leccati la faccia dietro un cespuglio?»

«Kacchan...»

Un lungo sospiro, pesante come una confessione non voluta e Katsuki si appoggiò con le mani al bordo del lavandino, la schiena leggermente curva. «Io... Non lo so. Ma mi è sembrata la cosa più giusta che ho fatto negli ultimi anni.»

Izuku lo fissò, e qualcosa dentro di lui cedette: gli occhi verdi, limpidi, si fecero lucidi senza che volesse, senza che potesse davvero farci niente.

«Oh no,» brontolò Katsuki, con una finta esasperazione nella voce. «Ti prego, Deku. Non piangere.»

«Non sto... piangendo.»

«Stai per farlo.»

«È solo che... ho avuto paura. Di aver rovinato tutto. Di... averti fatto... schifo.»

Katsuki non rispose subito, ma si voltò, gli si avvicinò in un solo passo. Lo afferrò per la canotta - o meglio, per quella cosa sformata che restava incollata alla sua pelle, ormai solo una pezza fradicia - e lo tirò verso di sé con decisione, i loro corpi quasi si toccarono. «Hai idea di quanto tempo ho passato a far finta di non volerti guardare? Di non volerti...toccare come ho fatto stasera?»

Izuku fece appena cenno di no con la testa, le labbra socchiuse, il fiato corto.

«Da quando ti ho visto ballare come se stessi facendo l'amore con l'aria... Cristo! mi si è spenta la testa.»

Izuku deglutì, col cuore in gola. Un sorriso timido e tremante gli piegò le labbra: «Beh...» mormorò, «No-non era con l'aria che volevo farlo, in realtà...»

Katsuki sgranò appena gli occhi, colto alla sprovvista da quella risposta, poi scoppiò in una risata bassa, quasi strozzata, che gli uscì dal naso prima ancora che dalla bocca.

Scosse la testa, come se non potesse credere a quel che aveva appena sentito, ma non si allontanò. Anzi: lo tirò ancora un po' più vicino, fino a che le loro fronti si sfiorarono e i respiri si intrecciarono. «Merda...» sussurrò.

«Eh...» fece Izuku, con lo stesso mezzo sorriso, ancora in bilico tra l'imbarazzo più cocente e quella strana elettricità che l'aveva pervaso mentre si baciavano.

Rimasero così qualche secondo, sospesi, occhi negli occhi, e poi Izuku ruppe l'attimo con un sorrisetto più sfrontato, le guance ancora colorate: «La prossima volta, però, voglio essere io a sporcarti la canotta.»

Katsuki lo fissò, l'angolo della bocca gli si piegò in su, in un ghigno più affilato. Voleva davvero scherzare col fuoco? «Troppo tardi. Intanto mi hai già sporcato le mutande.»

Izuku arrossì all'istante e il suo sorriso si sciolse in un'espressione mista tra panico e incredulità. «Kacchan!», sbottò, la voce spezzata a metà tra un'esclamazione e un grido, il rossore che gli arrivava fino alle orecchie.

Gli staccò con un gesto deciso la mano dalla sua povera canotta maltrattata e si voltò di scatto, fuggendo con passo veloce verso il bagno. Si chiuse in uno dei cubicoli e si sedette sul copriwater ancora vestito, prima di sospirare: aveva il viso bollente, il cuore che non accennava a calmarsi, e una tensione fastidiosa nei pantaloni. Appena si rialzò se li abbassò con movimenti lenti.

Faceva fatica persino a fare pipì, perché non bastava averlo in tiro: pure la sua vescica sembrava in imbarazzo. Alla fine si sforzò, finì, si alzò e si avvicinò al piccolo lavandino interno al cubicolo. Aprì l'acqua fredda, esitò un istante, poi si sciacquò in fretta, con una smorfia e un mezzo lamento.

Il contatto del liquido gelido sul pene fu un'altra scarica che lo fece rabbrividire.

Katsuki, nel cubicolo accanto, fu un po' più sbrigativo, meno titubante: tirò lo sciacquone, si ricompose e uscì. Andò a lavarsi le mani davanti allo specchio, ancora con i capelli leggermente spettinati e le maniche arrotolate sugli avambracci. Mentre si sciacquava i polsi, udì la porta aprirsi dietro di lui con un cigolio deciso.

«Oh, ma guarda un po'... che quadretto edificante!».

Monoma.

Camicia tutta abbottonata sul petto, - che chissà Dio sa come non stava evaporando per il caldo! - maniche arrotolate e, in mano, un bicchiere mezzo vuoto con qualcosa che sembrava troppo colorato per essere davvero alcolico.

Dietro di lui, Shinso entrava con l'aria di chi non aveva chiesto di assistere a nulla, ma si era comunque trovato nel mezzo.

Katsuki sbuffò, senza voltarsi del tutto. «No, eh...», la mascella si strinse.

Monoma si avvicinò al lavandino accanto, appoggiando il bicchiere sul bordo con fare teatrale. «Siete spariti da più di mezz'ora... La pista sembra così vuota! Ho ipotizzato che vi foste ritirati a... meditare

Nel frattempo, Izuku era ancora nel cubicolo, immobile, con le mani bagnate appoggiate al bordo del lavandino.

Ascoltava le voci da fuori con un'espressione di puro orrore dipinta sul volto.

Si chiese se sarebbe mai riuscito a uscire da lì. O se non fosse il caso di aprire una botola sotto i suoi piedi e sprofondare direttamente in un'altra dimensione.

Katsuki si girò appena, lanciandogli uno sguardo piatto: «Monoma, se apri bocca un'altra volta ti ficco la testa nel cesso.»

«Uh, tocco romantico. Ma ammettilo, hai fatto colpo!», Monoma continuò con tono fintamente innocente, piegando un po' la testa. «Avete dato un bello spettacolino in pista... Fortuna siamo tutti maggiorenni, eh? Altrimenti saremmo stati tutti traumatizzati.» e ridacchiò, puntando l'indice contro la spalla di Katsuki. «O stimolati, a seconda dell'orientamento.»

A katsuki uscì solo una frase, a mezza voce. «Va' a farti fottere, Monoma!»

«Pensavo l'avessi appena fatto tu!»

Shinso lo colpì con una gomitata. «Taci un secondo, dai.»

Izuku in quel momento uscì dal cubicolo. Si bloccò sulla soglia, un po' troppo pallido, le orecchie rosse e che, con finta noncuranza, si dirigeva verso il lavandino, sperando di passare inosservato.

E mai vi fu errore di valutazione più grande, perché Monoma, invece, lo notò subito. «Ah! Ma ecco l'altro protagonista del porno da spiaggia! Il verdino del momento!»

«Neito...», mormorò Izuku, già sul punto di voler scomparire in una crepa del pavimento. «Ti prego...»

«Oh, tranquillo. Non ti giudico!», Monoma si sporse verso Izuku e gli fece l'occhiolino, lavandosi le mani con una lentezza quasi sadica, come se stesse gustandosi ogni secondo del loro imbarazzo. Il sorrisetto era tagliente ma non cattivo, affilato più dalla confidenza che dal veleno.

«Anzi, se volete vi faccio da PR! Giuro che c'è gente che vi shippa da prima della guerra. Roba vecchia, eh!». Poi si voltò verso Shinso, che lo seguiva un passo dietro, le mani in tasca e lo sguardo stanco di chi aveva già previsto tutto. «Com'è che dice quello sciroccato di Kaminari? Come cazzo li chiama?»

Shinso, come ridestato da un sonno profondo, fece un sospiro lungo. «Il nome più quotato è KatsuDeku...»

«Bleah. Troppo banale.» Monoma aggrottò la fronte, teatrale, come se davvero stesse discutendo una questione di branding di altissimo livello. «Io preferisco ExploDeku. Ha più mordente, no? Suona tipo attacco speciale finale...»

E ridacchiò, letteralmente in faccia a Katsuki, che era rimasto in silenzio solo per contenere un omicidio.

Katsuki si voltò piano, la mascella serrata, le vene che cominciavano a pulsare appena sotto la pelle delle tempie. Pugni chiusi, schiena tesa, occhi come brace: «Te lo dico solo un'ultima volta: se muovi un altro muscolo della faccia, ti affogo nel sapone.»

Monoma aprì la bocca, forse solo per respirare, ma Izuku fu più svelto a parlare e afferrò il braccio di Kacchan: «Dai. Lascia perdere... Andiamo via.», la voce gli tremava appena, ma il gesto fu deciso e non lo lasciò nemmeno ribattere che lo stava già strattonando, anche se il biondo sbuffava, rimanendo con la mascella contratta.

Uscirono dal bagno come se stessero scappando da una scena del crimine.

Dietro di loro, un attimo prima che la porta si richiudesse con un tonfo, la voce di Monoma li aveva rincorsi come una fucilata nella schiena: «Cercate di non rifarlo in un bagno pubblico, però!»

Silenzio. Poi il tonfo della porta che copriva tutti i rumori all'esterno.

Shinso rimase a fissarla un attimo, poi si voltò lentamente verso Monoma, sollevando un sopracciglio con la stanchezza di chi ha già rinunciato a capire.

«Ma mi spieghi che ti è preso?»

Monoma si asciugò le mani con finta grazia sotto il getto d'aria calda, quasi accarezzandola con il movimento. «Ho dato una... spintarella.»

«Non mi sembrava tanto una spinta quella...»

«Oh, fidati!» Monoma allungò una mano verso il bicchiere appoggiato poco prima, e riprese a sorseggiare il drink con la cannuccia tra le labbra, un'aura da finta innocenza stampata sul volto. «Ne avevo le palle piene di vederli che si scopavano con gli occhi ogni cinque minuti. Era diventato patetico! Una tensione sessuale che si tagliava con un grissino!»

Shinso roteò gli occhi a quella battuta, esasperato.

«Anche se...» Monoma inclinò la testa di lato, sognante, «Dai, sono adorabili da guardare, eh! Oscenamente imbarazzanti, ma adorabili.»

Shinso gli si avvicinò con calma, poi gli afferrò i capelli dietro la nuca con un gesto secco e preciso. «Parla ancora e ti bagno la testa nella tequila.»

Monoma si lasciò tirare verso di lui, ancora col bicchiere in mano. «Ma dai! Era solo per dare una spinta alla trama!»

Un altro strattone più deciso e un mugolio che gli lasciò le labbra assieme all'estremità della cannuccia. «Ok! Ok! Basta... sceneggiatura alternativa. Ho capito.»

Shinso sbuffò, mollando un po' la presa sulle sue ciocche chiare. «Dio, sei un bambino dispettoso...», gli soffiò sulle labbra, facendogli chiudere gli occhi per un istante.

«E tu mi ami così, ammettilo.», replicò Neito, sfrontato come sempre.

«Ti sopporto e basta. A ore alterne.»

Un ghigno si formò sulle labbra del biondo: «Serio? Magari se mi dai venti minuti...», e gli passò la punta della lingua sul labbro superiore, preludio di un bacio che forse non sarebbe neppure stato tale.

Anche Shinso sorrise, scoprendo i denti bianchi in un'espressione sorniona e così accattivante che Neito irrigidì la schiena. «Solo venti? Mh... mi sottovaluti, Neito...»

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