Give it to me, baby, like boom, boom, boom ⚠️

Izuku aveva corso per primo, con la risata che gli graffiava la gola e il vento che gli mordeva le gambe.

La sabbia, sotto l'acqua, pizzicava i piedi, ma non importava, perché c'erano solo loro e il rumore del mare davanti.

L'acqua era fredda: non gelida da far male, ma abbastanza da strappare un brivido lungo la schiena ogni volta che si muovevano e li avvolgeva come una coperta troppo sottile in una notte ancora tiepida d'estate.

Se ne restò fermo ad attendere Kacchan, immobile, con il mare fino all'ombelico e lo sguardo rivolto verso il cielo. Le stelle erano tantissime, sfocate dal riflesso che si frantumava sulle piccole onde, e lui si sentiva minuscolo. Minuscolo ma presente. Vivo.

Rise di una risata sottile, spezzata dal respiro corto e dalla pelle d'oca che gli saliva lungo le braccia.

Katsuki si avvicinò lentamente: aveva camminato per un tratto lungo la battigia, lasciando che la marea gli accarezzasse le caviglie, poi aumentò il passo fino a correre, come se volesse raggiungerlo non solo nel corpo, ma anche in quello stato d'animo, in quella libertà nuova che si leggeva nella postura sciolta del ragazzo dai capelli verdi, che ai suoi occhi aveva un'aria scomposta e luminosa insieme.

Lo raggiunse quando l'acqua li copriva entrambi fino al petto.

Si fermò proprio dietro di lui e gli passò le braccia intorno al busto, strette, bagnate, forti.

Appoggiò il mento sulla sua spalla e restarono lì, fermi, ascoltando il respiro dell'altro, l'acqua che scivolava lenta intorno a loro, le loro ombre che si fondevano sotto la luna.

«Sei una visione, lo sai?», sussurrò Katsuki, appena discostandosi con la bocca dall'incavo del suo collo.

Izuku sorrise, chiudendo gli occhi, il cuore che batteva quasi in sincrono con quello dell'altro.

«Anche tu...»

Katsuki ridacchiò piano. «Fidati... Tu lo sei abbastanza per entrambi.». Izuku sentì un tremito salirgli lungo la colonna vertebrale.

Non rispose. Si limitò ad alzare le mani e poggiarle sopra quelle di Katsuki, intrecciandole alle sue.

Un silenzio perfetto. Poi un sorriso appena accennato si dipinse sulle labbra del biondo.

Fu proprio in quell'istante che Katsuki piegò lentamente le ginocchia, inclinando il busto all'indietro, portando con sé anche Izuku, che non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stesse accadendo. In un attimo si ritrovarono entrambi sott'acqua, immersi in una bolla liquida che li avvolse completamente. L'acqua li accolse con un fruscio ovattato, mentre qualche bolla d'aria risaliva in superficie.

Riemersero quasi subito, sputacchiando e ridendo, i capelli incollati alla fronte, gli occhi lucidi e brillanti.

Izuku tossicchiò tra le risate, scostandosi indietro di mezzo passo. «Sei uno stupido!» esclamò, la voce ancora rotta dall'acqua e, senza pensarci due volte, sollevò entrambe le mani e le spinse nell'acqua con forza, schizzandogli l'equivalente di una secchiata dritta in faccia.

Katsuki chiuse gli occhi di scatto, scattando all'indietro per la sorpresa. «Oh, davvero?!» sbottò, scrollandosi come un cane. «Hai deciso di dichiarare guerra, Deku

Izuku gli rispose solo con un'altra spruzzata d'acqua, stavolta più forte. «Prendi questa, Dynamight

La risata di Katsuki esplose chiara e limpida nella notte, portata lontano dal vento e dalla marea, mentre si scostava indietro dopo uno spruzzo sul petto, lanciando un finto urlo indignato. «Oh, ora l'hai fatta grossa!».

Izuku era già a un paio di metri di distanza, che rideva. Una risata vera, quella che gli piegava gli occhi, quella che da bambini faceva innamorare chiunque. L'acqua gli scendeva dai capelli sulla fronte, e il suo corpo sembrava scolpito nella notte.

Katsuki lo rincorse. A fatica, certo: l'acqua rallentava ogni passo, ma lo faceva anche ridere, bestemmiare, imprecare. «Fermo, stronzo! Vieni qua!»

Izuku gli lanciò ancora un altro spruzzo, e poi uno ancora.

L'acqua, in quel gioco, diventava arma e alleata. Gli scivolava sulle cosce, sulle ginocchia, sul torace nudo, mentre lui si muoveva con l'agilità di chi finalmente non ha più paura di mostrarsi.

Si rincorsero tra le onde, con i piedi che faticavano a staccarsi dal fondale, con i fiati corti, i corpi a tratti immersi fino alle spalle, a tratti sbucati fuori con schizzi e tonfi.

Le risate si confondevano col rumore dell'acqua.

Si rincorrevano tra gli spruzzi, faticosamente, con l'acqua fino al petto e il fiato che si spezzava in mezzo ai denti.

Izuku aveva provato a fuggire, ma le gambe erano pesanti, i movimenti lenti.

«Smettila di scappare!», Katsuki, alle sue spalle, si muoveva con quella stessa goffaggine ostinata e determinata che metteva in tutto. «Ti prendo!», ringhiò.

«Non ci riesci! Sei troppo lento!», rispose Izuku, e quasi si strozzò dal ridere.

Lo scontro avvenne qualche secondo dopo, a metà tra una carica e un abbraccio: Katsuki lo raggiunse con una mano che lo afferrò al braccio, e lo tirò indietro, tra uno schizzo e una risata, facendolo girare su sé stesso, stringendolo contro il proprio corpo come se fosse un premio da non lasciarsi scappare, con le mani che si chiudevano con più forza attorno alla vita di Izuku.

Lo attirò contro di sé, il petto contro la sua schiena, la bocca vicina all'orecchio. «Preso!», mormorò, ansimante, con il naso premuto contro la sua nuca bagnata.

Izuku tremava per il freddo, ma rideva ancora. «Hai vinto solo perché hai le braccia più lunghe!»

«Ho vinto perché ti ho preso.»

Restarono stretti, ansimanti, tremanti, ma sorridenti. Il mare li avvolgeva, ne carezzava i fianchi, si insinuava tra le gambe. Il cuore batteva veloce in entrambi, ma non solo per la corsa.

Il biondo si fece più serio, improvvisamente, e gli lasciò un bacio lieve sulla spalla, poi uno sotto l'orecchio e Izuku si irrigidì appena, trattenendo il fiato. «Adesso cosa fai?», sussurrò. Ma il tono era tremante, impastato di qualcosa che non era più divertimento.

Katsuki fece scivolare una mano lungo il suo fianco, lenta. «Faccio questo...», e le labbra gli sfiorarono il collo, un bacio appena accennato. Poi un altro. E un altro ancora, sotto l'orecchio, lungo la spalla.

Izuku gemette piano, involontariamente; era ancora intorpidito dal freddo, ma qualcosa dentro di lui si stava risvegliando. Un calore nuovo, sottile, cominciava a pulsare sotto la pelle.

La luna si rifletteva spezzata sul mare, creando intorno a loro un mosaico tremolante di luci bianche e blu. I brividi correvano lungo la schiena, ma le mani restavano ferme, ostinate, a cercarsi anche senza calore.

«Sei gelato...», mormorò il biondo, passandogli da dietro le mani sul petto, poi lungo l'addome, fermandosi poco sopra l'inguine. «Dobbiamo scaldarti, mmh?»

Era una dichiarazione di intenti, quella, e Izuku si voltò lentamente verso di lui, il respiro che si incastrava a metà strada in gola, carico di esitazione.

Katsuki continuava a tenerlo contro di sé, le mani ancora posate sui suoi fianchi, e le dita affondavano appena nella pelle scivolosa, umida di acqua salata. Ogni movimento era lento, misurato, come se stesse trattenendo il respiro e Izuku era tutto pelle, fiato e brividi.

«Kacchan...» sussurrò, con un tono che tremava un po' d'ansia.

Il biondo si chinò a baciarlo sotto l'orecchio. La pelle lì era calda, anche se bagnata, e il sale si attaccava alle labbra come polvere viva.

Lo leccò piano: il sapore era forte, intenso, un misto tra sudore e mare. «Hai idea di quanto sei bello?»

Izuku non rispose. Era come se avesse dimenticato come si parlava.

Lo lasciò fare, e chiuse gli occhi. Solo allora, senza dire nulla, Katsuki cominciò a toccarlo davvero, ma con quella delicatezza rara, come se ogni parte del corpo dell'altro fosse sacra, da esplorare con cura.

Le mani forti si mossero più in basso, si adagiarono sulle sue cosce immerse e le risalirono piano, con le dita aperte, fino ai glutei, che strinse con una pressione decisa ma non invadente.

Il corpo di Izuku fremette contro il suo, e lui lo sentì.

Sentì tutto.

Il contatto sotto la superficie era quasi ipnotico: la pelle scivolava sotto i polpastrelli, morbida e sfuggente per colpa dell'acqua, le mani si muovevano come in un rito, esplorando, disegnando traiettorie lente lungo le curve, tra le gambe, sui fianchi.

Izuku si sporse appena, cercando la sua bocca e fu come accendere un fiammifero nel buio.

Le mani di Katsuki gli scivolarono sulle spalle nude, le dita sfiorarono piano le scapole, poi risalirono a stringergli la nuca, tirandolo verso di sé. Il bacio che seguì non fu famelico come i primi, ma lento, febbrile, con il sapore del mare che li avvolgeva entrambi. Il sale pizzicava le labbra e bruciava leggermente dove c'era la pelle più sensibile, ma c'era qualcosa di profondamente sensuale in quel sapore crudo e primordiale.

La lingua del biondo si insinuò tra le labbra dell'altro con una fame trattenuta troppo a lungo.

Izuku rispose subito, aggrappandosi alle sue spalle, ansimando appena.

Si baciarono più e più volte, con quel rumore sordo dell'acqua che si muoveva intorno a loro, come un respiro costante, e ogni bacio che si scambiavano portava via un po' più di controllo.

«Mi fai impazzire...» sussurrò Katsuki sulle sue labbra bagnate. L'altro ridacchiò piano, il cuore che gli batteva forte e la voglia che, nonostante il freddo, tornava a farsi sentire. La loro vicinanza, la pelle contro pelle, l'acqua che li scivolava addosso come seta viva... era tutto così...

«Non pensavo potesse essere così bello...» mormorò Izuku, gli occhi socchiusi e il naso che si strofinava appena contro la guancia del biondo.

Quello non rispose, ma lo baciò di nuovo, mentre i corpi si cercavano sotto la superficie, più lenti, più attenti.

Katsuki si chinò, stavolta sul collo, e lo baciò lì, dove pulsava il sangue, sulla giugulare. La pelle era liscia, salata, calda sotto la bocca, e lui ci affondò i denti con leggerezza, solo per il gusto di sentirlo rabbrividire.

«Ancora freddo?» sussurrò.

«N-noo... Sei tu...», e Katsuki sorrise contro la sua pelle.

Le mani si mossero ancora, più audaci; una gli scivolò tra le cosce, sotto l'acqua, accarezzando l'interno con lentezza, facendogli trattenere il fiato, che poi lo lasciò andare in un sussulto che fece tremare tutta la superficie dell'acqua intorno a loro.

«Va bene così?»

«Sì... sì, Kacchan...», ma la voce gli si spezzava in gola. Il contrasto tra il freddo del mare e il calore del tocco di Kacchan era quasi insostenibile, lo faceva vibrare dentro.

Katsuki si accoccolò appena, avvicinandosi da sotto, una mano che continuava a muoversi tra le sue gambe, esplorando con cautela, ma anche con desiderio crescente.

Il contatto era diverso, amplificato, perchè l'acqua rendeva tutto più fluido, ma anche più incerto: le dita scivolavano, ma ogni punto toccato era come una piccola scintilla accesa sotto pelle. E Izuku lo sentiva, dappertutto.

L'acqua si mosse intorno a loro come un manto liquido che li proteggeva da tutto.

Sotto la luna, si baciarono di nuovo, con più urgenza, con il biondo che gli accarezzava la schiena con una mano, a piccoli cerchi, mentre l'altra scendeva, si posava dietro, tra le natiche, e cercava piano, senza invadere, solo con l'intenzione precisa di farlo stare bene.

Katsuki si staccò appena dal bacio, gli occhi fissi in quelli di Izuku, il petto che si sollevava in respiri affannati. «Se... se non vuoi-»

La risposta arrivò veloce, senza esitazione. «Voglio.». Poi, più piano: «Ma ho...paura?»

Katsuki lo fissò per un lungo istante, e gli scostò i capelli bagnati dalla fronte. La sua mano tremava appena. «Anch'io...». Le parole gli uscirono un po' più basse, un po' più morbide.

Izuku annuì, mordendosi il labbro inferiore.

Katsuki si abbassò, si inginocchiò nell'acqua, che lì arrivava al petto. Le sue mani scorrevano lungo le cosce del ragazzo dai capelli verdi, le accarezzavano con una delicatezza che contrastava con la sua solita ruvidità. «Però... Dimmi se ti fa male. Ti prego...»

La prima carezza più intima fu timida, quasi un lampo: la pelle era ipersensibile, arrossata dal freddo e le dita cercavano il punto giusto, il respiro che cambiava, un brivido che lo fece tremare... Lo accarezzò lì, dove la tensione faceva contrarre involontariamente quello stretto anello di muscoli, dove il desiderio pulsava e lo faceva gemere piano, nel suo orecchio, con il sale sulle labbra e la pelle umida di brividi.

Izuku gli si aggrappò alle spalle e Katsuki si prese il suo tempo, lo toccò con calma. Un dito soltanto.

Il tempo sembrò essersi sospeso e olo il mare continuava a respirare, lento, profondo, come se stesse cullando anche loro nel suo grembo salato.

Le onde lambivano dolcemente i petti, e poi si ritiravano, lasciando sulla pelle un brivido.

Là, dove la luna si rifletteva sull'acqua nera come olio, due corpi si muovevano con lentezza, tenendosi l'uno all'altro come unica ancora.

Izuku aveva la testa leggermente piegata in avanti, gli occhi socchiusi, le labbra dischiuse, il petto sollevato appena dai piccoli flutti, che si muoveva al ritmo del respiro spezzato.

Katsuki lo stringeva a sé, nudo contro nudo, il petto incollato al suo petto, la fronte appoggiata alla spalla umida.

Il suo respiro caldo, carico di tensione e attenzione, gli accarezzava la pelle tra il collo e l'orecchio, mentre una mano lo teneva saldo sul fianco e l'altra, più in basso, gli esplorava l'interno con una pazienza che non sembrava nemmeno appartenergli.

Un dito, all'inizio.

Solo uno, bagnato e lento, che accarezzò prima l'esterno, con movimenti circolari, attenti, come per chiedere il permesso prima ancora di provare a entrare.

Izuku trattenne il fiato, il mento appena sollevato, gli occhi chiusi.

Poi, quando quel dito si insinuò con cautela, lo sentì tutto, in una la tensione che si arrampicava su per la spina dorsale, mentre la pelle che si accendeva in un punto solo, come se il resto del corpo fosse solo eco.

Lo preparava osservandolo, respirando con lui, sintonizzandosi sul ritmo del suo corpo, come se fosse un'esplosione da controllare.

«Aspetta...», Izuku gemette piano, poi sussultò. «Fa un po' male quando spingi...»

Katsuki si bloccò. «Vuoi che mi fermi?»

«N-no!»

E il biondo se lo strinse di più contro il proprio petto. «Respira con me...», gli disse piano, la voce ruvida ma gentile.

Mentre il dito si muoveva con maggiore sicurezza, mentre il corpo di Izuku si abituava, si apriva, tremava e si lasciava andare, Katsuki parlava.

Gli diceva quanto era bello, quanto lo aveva voluto. Quanto non si rendeva conto di quanto fosse incredibilmente desiderabile così. La voce di Katsuki era roca, impastata di desiderio, ma non smetteva di cercarlo con le parole. Di rassicurarlo.

Izuku gemette ancora, e fu un gemito pieno, profondo, che si sciolse contro la sua spalla.

Le sue unghie si strinsero contro la schiena di Katsuki, che trattenne il respiro.

«Kacchan...». Era una preghiera, una supplica, una resa.

E per Katsuki fu il segnale che poteva smettere di trattenersi.

Il dito si mosse di nuovo, lentamente, scandagliando, esplorando.

Poi, dopo qualche istante, un secondo lo seguì.

La sensazione fu più intensa, più piena e stavolta Izuku lasciò andare un lamento breve, strozzato, che finì in un gemito in fondo alla gola, poi ansimò, appoggiando la fronte sulla spalla di Katsuki: la pelle del biondo era calda e tesa, il respiro irregolare.

«Fa male... ma...», e si ritrovò a spingere il bacino indietro, in un cenno quasi involontario. Un segnale chiaro, eppure le dita non accelerarono. Continuarono a muoversi con quella stessa pazienza feroce, spingendosi un po' più in profondità, poi aprendosi piano, creando spazio, preparandolo con precisione quasi devota.

I muscoli delle cosce si tendevano, le dita dei piedi si contraevano nella sabbia molle, le mani che cercavano qualcosa a cui aggrapparsi... e lo trovarono sul braccio di Katsuki, quello che lo teneva stretto. Lo afferrò con forza, senza vergogna, senza maschere. «Kacchan...» disse di nuovo, la voce incrinata, vibrante.

E in quella parola c'era tutto: il dolore, il desiderio, la fiducia.

Katsuki baciò la sua spalla, poi il collo, poi lo spazio umido sotto l'orecchio. «Ci sei?» mormorò.

Izuku annuì, piegandosi un po' in avanti, il petto che si sollevava e abbassava con più rapidità. «Sì... non fermarti. Ti prego...»

E lui non lo fece.

Continuò a muovere le dita dentro di lui, lente e profonde, curvandole con dolcezza ogni volta che sentiva il corpo fremere, cercando quel punto nascosto che avrebbe potuto trasformare tutto in estasi.

Izuku si contorceva, si tendeva, gemeva piano, e ogni reazione sembrava scolpita nell'acqua, nelle onde, nella notte stessa.

Il mare li abbracciava, la luna li custodiva, e, tra le sue mani, Katsuki lo vedeva crollare.

Ma non come qualcosa che si rompe, ma come qualcosa che finalmente si lascia andare.

Ogni suo movimento era lento, dosato.

Le dita affondavano piano, con quel tipo di premura che viene solo quando si desidera qualcosa al punto da volerne godere ogni secondo.

E Izuku si apriva, tremando, non solo nel corpo, ma era un tremito più profondo, più nudo ancora.

Ogni volta che sentiva le dita uscire e scivolare di nuovo dentro di lui, sentiva anche se stesso franare un po'. Per il dolore, per la resa. per la fiducia assoluta che in quel momento riponeva nel suo Kacchan.

L'acqua li avvolgeva entrambi, tiepida e scura, e aiutava, perché faceva tutto più fluido, più morbido, quasi naturale.

La sabbia sotto i piedi si spostava, cedeva, e Izuku sentiva di potersi perdere, se non fosse stato per l'abbraccio saldo del biondo, che lo teneva stretto e lo guidava senza forzare.

«Va meglio?» sussurrò Katsuki, la voce stranamente dolce.

Le parole gli si posarono sulla bocca come un bacio.

Izuku annuì appena, il fiato spezzato che gli usciva a tratti dalle labbra umide, un suono basso, più vicino a un gemito che a una risposta.

Ma bastava e Katsuki lo capì subito, sorridendo contro la sua pelle.

Izuku era arrossato fin sotto le orecchie, scoperto e vulnerabile, completamente esposto tra le braccia di chi aveva amato per anni in silenzio, con il cuore che gli tremava nel petto come un uccellino ferito.

Eppure, nonostante l'imbarazzo, nonostante il pudore che gli serrava la gola, non si era mai sentito così desiderato.

Così visto.

Ogni gesto di Katsuki era insieme fame e adorazione.

Ogni affondo di quelle dita era un modo per dirgli: "Ti voglio. Ma ti rispetto."

Ogni bacio sulla spalla, sul collo, tra i capelli bagnati, era un modo per restituirgli qualcosa che gli aveva negato troppe volte: il diritto di essere amato così, interamente.

Katsuki si mosse un po', aggiustando l'angolo delle dita, e Izuku ansimò piano, afferrando con più forza l'avambraccio che lo teneva stretto.

«Katsuki...» sussurrò, come se quel suo nome bastasse a dire tutto.

«Ancora freddo?», gli sussurrò il biondo, con un ghigno impastato d'affetto.

Izuku scosse la testa. E per un istante, nel cuore della notte, immersi in un mare che sembrava non avere fine, tutto si fermò di nuovo.

Nudi, immersi fino al petto, erano invisibili al mondo, lì dove solo la luna e il mare erano muti testimoni di ciò che stava avvenendo.

Il contatto si fece più profondo, più ritmato e Izuku si aggrappò alle sue spalle, poi alla nuca, poi lo tirò a sé, cercando di baciarlo ancora, impacciato, ma bellissimo e Katsuki lo abbracciò forte, ancora immersi nell'acqua, affondando in lui un terzo dito, mozzandogli il respiro in gola.

«Sei... sicuro che va bene?», sussurrò, mentre lo penetrava ancora, lo allargava di più.

Izuku, ancora tremante, rise piano. «Sì.... Sì...»

Poi venne il momento.

Lo sentì spostarsi, con lentezza, e le dita uscirono piano, lasciando dietro di sé una scia di calore e vuoto. «Tieniti a me.» disse solo.

E Izuku obbedì, senza fiatare: Katsuki lo prese sotto la coscia destra, sollevandola con un gesto deciso ma attento, e la fece scivolare sul proprio fianco.

Piantò i piedi nella sabbia sotto l'acqua, spalancando le gambe quel tanto che bastava a dargli l'equilibrio, e lo guardò.

I loro occhi si incontrarono, e in quell'istante Izuku vide tutto: la paura, l'eccitazione, l'amore, la fame. Tutto.

L'acqua fredda gli lambiva i fianchi, mentre Katsuki lo teneva sollevato appena, il petto contro il suo, il calore del suo corpo era come una fiamma viva nel fresco della notte.

Lo sollevò appena, aiutandolo a trovarsi nella posizione giusta, il corpo avvolto attorno al suo, e quando si spinse dentro di lui - piano, piano, come se avesse paura di romperlo - lo fece tenendolo stretto, tenendogli una mano sulla coscia alzata e una sulla schiena.

Izuku lasciò andare un sospiro tremante.

Quando sentì la pressione, un attimo prima dell'ingresso, tutto il corpo si tese.

Le onde spezzavano il silenzio con dolcezza, quasi in punta di piedi, come a non volerli disturbare. Ogni tanto, un refolo di vento fresco accarezzava le loro tempie sudate, le guance arrossate, le labbra appena dischiuse.

L'ingresso fu lento, più lento di quanto si aspettasse, più pieno.

Era come se tutto il suo corpo si stesse dilatando per accogliere quella nuova realtà.

Il respiro gli morì in gola, le dita affondarono nelle spalle del biondo e un lamento gli sfuggì dalle labbra, incerto, rotto.

Katsuki si fermò subito. «Va tutto bene?», sussurrò, la voce roca, tesa.

Izuku si sentiva pieno, tirato, impacciato, ma annuì, perché lo voleva. Lo aveva sempre voluto.

Il primo istante fu un'esplosione confusa di sensazioni: una fitta acuta, una tensione che partiva dal basso ventre e gli attraversava la schiena come uno spillo incandescente.

Era troppo e il suo corpo si chiuse, d'istinto. «Fa male...» mormorò, con un filo di voce.

Si vergognava di dirlo, ma non riusciva a tenerlo dentro.

Non era solo per il dolore, - e c'era, accidenti se c'era! - ma perché era Kacchan.

Kacchan che lo toccava.

Kacchan che lo guardava da così vicino, che lo teneva come qualcosa di fragile e importante, che non lo spingeva, non lo forzava. Solo... lo aspettava e gli lasciava spazio.

La sua mano forte gli accarezzava la schiena, lo cullava piano, lo teneva fermo, stretto, il naso che gli sfiorava la guancia. «Lo so. Respira. Respira con me, Izuku.»

La voce di Kacchan non era mai stata così flebile, così gentile.

Izuku annuì, senza staccarsi. Cercò il fiato dentro di sé, provò a lasciarsi andare, mentre la presa del biondo lo ancorava a terra, alla realtà.

Pochi millimetri alla volta, con il volto contratto per trattenersi, e Izuku lo sentiva tremare. Non solo lui. Entrambi tremavano.

Quando fu dentro del tutto, il respiro si fece unico sulle loro labbra, le fronti unite, lo sguardo liquido tra le ciglia, assieme alle lacrime.

Le gambe tremavano, eppure non avevano mai provato una sensazione simile:

Il dolore per Izuku era ancora lì, certo, ma cominciava a trasformarsi. Da lama si faceva pressione, da bruciore, qualcosa di più sordo, che vibrava sotto la pelle, come se ogni singola terminazione nervosa vibrasse, e ciò che inizialmente per entrambi sembrava insostenibile, cominciava a sciogliersi nel calore di essere uniti finalmente in quel modo.

Corpi e anime.

Il dolore c'era, era reale. Ma divenne anche necessario, come un passaggio, come una soglia da attraversare per raggiungere finalmente la felicità.

«Va meglio?», Katsuki non si mosse subito, ma si preoccupò

Izuku annuì, le labbra socchiuse. «Sì... sì. Solo... resta così, un attimo.»

E lo fece. Rimasero fermi, con il mare che lambiva i loro corpi, con il respiro che si spezzava tra i baci lenti.

Poi, quando Izuku lo cercò con i fianchi, con un movimento timido ma chiaro, Katsuki cominciò a muoversi, lento, attento.

Ad ogni spinta Izuku gemeva piano, la voce spezzata, il volto nascosto contro il suo collo.

Ogni tanto stringeva i denti. Ogni tanto rideva, piano, come se non riuscisse a credere che stava succedendo davvero.

La voce di Katsuki era rotta, incredula. «Dio... Sei mio...»

E Izuku lo fu. Lo fu con ogni fibra del suo corpo.

Quando il ritmo accelerò, il dolore divenne parte del tutto, uno sfondo lieve, come se avesse spalancato una porta e dietro ci fosse un intero oceano che non sapeva esistesse.

Il piacere non arrivò come una scossa, ma come un'onda che si propagava dal centro verso l'esterno: dai fianchi, al ventre, alle cosce, ai battiti frenetici nel petto.

Ogni movimento di Kacchan lo colpiva dentro, ma invece di stringersi, si apriva.

Ogni frizione, ogni singola spinta, lo faceva tremare.

Non pensava fosse possibile provare una cosa del genere.

Il sale sulle labbra di Kacchan, i suoi baci ruvidi, affamati, la sensazione scivolosa delle mani bagnate che gli stringevano le cosce...

Ogni parte del suo corpo sembrava viva in modo nuovo, più crudo, più vero.

Il dolore non era sparito, ma era diventato il trampolino su cui si innalzava tutto il resto.

«Kacchan...» gemette, la voce spezzata, le mani strette intorno al collo dell'altro. «Dio, non...»

Il movimento si fermò, il respiro si sospese.

Katsuki era immobile, il braccio ancora sotto la coscia di Izuku, il petto incollato al suo, la fronte contro la sua e non osava più muoversi.

Tutto in lui urlava, ma qualcosa, qualcosa di più forte, gli diceva che doveva aspettare. Perché il corpo che stringeva tra le braccia non era solo un corpo. Era Izuku.

«Va tutto bene?» mormorò, morbido. L'altra mano gli accarezzò il fianco, scivolando sotto l'acqua come un'onda dolce.

Izuku annuì appena. Tremava un po', ma non di freddo.

«Sì... solo... è tanto. Sei tanto..

La risata che Katsuki trattenne gli sfuggì comunque dalle narici, e la soffocò con un bacio tra i capelli verdi e arruffati.

E fu Izuku a muoversi per primo.

Lo fece quasi con timidezza. Uno spostamento minimo del bacino, un tentativo di cercare il proprio ritmo. Un altro. Un respiro trattenuto. Un brivido.

Poi un gemito, sottile, profondo. Incredulo.

La testa ricadde appena in avanti contro la spalla di Katsuki, e quando parlò, sembrava stupito di se stesso. «Kacchan... sto bene. Davvero. È solo... è troppo bello. Non pensavo potesse... essere così...»

Katsuki si morse la lingua per non tremare.

Le braccia si strinsero un po' di più attorno al corpo bagnato che stava ancora imparando ad accogliere il suo. Poi, a un soffio dall'orecchio: «Dio... se mi stringi così me lo stacchi, Deku...». Lo disse con quella voce lì, quella roca, sfrontata, ma incrinata di emozione.

Izuku rise di un suono pulito, rotto da un singhiozzo di piacere, e quella risata lo rilassò più di qualsiasi altra cosa.

Si voltò appena con il viso, cercando il suo. E il bacio che ne seguì fu bagnato, lento, salato.

Poi cominciarono davvero a muoversi insieme.

Lasciò che fosse Izuku a guidare, a stabilire il ritmo, a scoprire cosa gli piacesse di più.

Il braccio sotto la sua gamba lo sosteneva, gli dava ancoraggio, mentre l'altra mano lo accarezzava piano, seguendo le linee dei fianchi, la curva della schiena, il cuore che batteva impazzito sotto la pelle.

Ogni spinta cercava spazio. Ogni frizione toglieva fiato e ne dava uno nuovo.

L'acqua li circondava come un sudario liquido, il sale si posava sulle labbra ogni volta che si baciavano e rendeva tutto più intenso, più viscerale.

Izuku gemeva a occhi chiusi e ogni colpo gli arrivava dentro come un'onda nuova, eppure sembrava che il suo corpo la stesse aspettando.

Non sapeva se fosse dolore o piacere, o entrambi insieme, ma sapeva che stava diventando parte di qualcosa che non avrebbe mai dimenticato.

«Kacchan...» mormorò, e stavolta la voce gli tremava per un altro motivo.

Il biondo rispose solo con un bacio.

Uno profondo, lento, di quelli che tolgono l'ossigeno più dell'acqua.

Katsuki ogni volta che affondava, sentiva il proprio nome nel fiato di Izuku, anche quando non lo diceva.

E lui, d'un tratto, non rispose con le parole, ma con i fianchi.

La presa si fece più sicura, il ritmo più fluido. Ogni spinta era precisa, cercava il punto giusto, lo colpiva dentro con intensità crescente e Izuku non riusciva più a stare in silenzio: ogni colpo gli faceva salire un lamento, un sospiro, un gemito strozzato.

Sentiva tutto: il sale che pizzicava i capezzoli, la pelle scivolosa sotto le mani, il calore che si accumulava sotto l'ombelico, come un nodo che si stringeva e si scioglieva e tornava a stringersi.

E quella voce... La voce di Kacchan, roca, impastata di desiderio e parole mezze sussurrate che non avrebbe mai immaginato di sentirgli dire.

«Così stretto... cazzo, Deku...»

Perché la sensazione di essere dentro di lui, di essere dentro quel momento e non solo nel corpo, lo spezzava e lo ricostruiva ad ogni movimento.

E anche per lui... c'era dolore, perché stringeva. Dio! quanto stringeva.

Era come se ogni parte di Izuku lo stesse trattenendo, risucchiando, scegliendo.

«Fermati un secondo...» ansimò, ridendo piano, con la fronte sudata. «Mi vuoi morto, vero?»

Izuku sorrise. Era rosso, bocca aperta, occhi lucidi. «Non lo faccio apposta... sei tu... sei tu che mi fai stare così.»

Un'altra spinta, più lenta, più profonda.

Katsuki gemette contro il suo collo, lo baciò lì, piano, mentre il corpo sotto di lui cominciava a tremare sul serio.

«Sei bellissimo. Così bello...». Lo disse piano. Ma lo disse.

Izuku si aggrappò a lui: le unghie sulle spalle, il petto incollato al suo. Il cuore impazzito.

«Guarda come tremi...»

E lui tremava: tutto il corpo era scosso da fremiti, come se stesse per esplodere e, in un certo senso, era così.

Il piacere cresceva a onde, più alto di qualsiasi altra cosa mai provata.

Non era solo sesso: era qualcosa che stava dentro di lui, che lo stava riscrivendo, che stava prendendo ogni pezzo del suo corpo e dicendogli: Ecco cosa sei. Ecco cosa può essere. Ecco cosa può dare lui a te.

Izuku si mosse una volta ancora, e poi ancora.

Il ritmo era scomposto, trattenuto, come se il piacere lo stesse ormai divorandolo da dentro.

Il suo corpo tremava contro quello del biondo, ogni fibra tesa in un'attesa dolceamara, ogni respiro spezzato, irregolare, teso come l'arco prima del colpo.

La luna illuminava appena le gocce d'acqua che scivolavano sulla spalle del biondo come perle. Izuku le fissava a tratti, quando riusciva ad aprire gli occhi, mentre il suo corpo si adattava, imparava, si tendeva e cedeva, tutto insieme.

Ad un certo punto fu Katsuki ad abbassarsi, a mordergli piano il collo, poi la clavicola, poi a baciarlo goffamente, violentemente, con lingua e denti e tutto il bisogno del mondo.

Izuku si mosse sotto di lui, le gambe che tremavano, i muscoli che si tendevano per contenerlo tutto. Sentiva la pelle sfregarsi sulla pelle, l'acqua sollevarsi e cadere di nuovo con piccoli schizzi che parevano echi di quello che stava succedendo. Sentiva il cuore esplodergli nel petto, il sesso duro contro l'addome di Katsuki, compresso, dimenticato ma vivo, ogni fibra di sé tesa a quello, a quel momento.

«Kacchan... io... sto-»

Katsuki lo avvolse con entrambe le braccia, premendolo contro di sé, mentre il mare li cullava. «Sono qui... Lasciati andare...»

E fu allora che Izuku si arrese. Il gemito che gli sfuggì era quasi un singhiozzo.

Il corpo si contrasse, le dita scivolarono sulle spalle bagnate del biondo, stringendogli forte i bicipiti gonfi e il ventre si irrigidì in un solo spasmo. Si aggrappò a Katsuki e tutto il mondo collassò in un secondo: fu come svuotarsi e riempirsi insieme.

Si sciolse contro di lui, con la fronte sulla sua guancia, la bocca aperta in un respiro rotto, un urlo muto e il calore improvviso del suo orgasmo si riversò tra i loro corpi, un fiotto caldo sotto l'acqua fredda, e per un istante sembrò quasi irreale: un contrasto di temperatura, un lampo di vita liquida tra i corpi, subito inghiottito dal mare.

Lo sperma si confuse con la salsedine, con le piccole onde che li accarezzavano.

Un momento prima era lì, una traccia concreta del loro piacere, un'impronta tra i muscoli tesi e il respiro ansimante.

Un attimo dopo... Portato via.

Sciolto, trascinato dolcemente via dalle correnti, come se il mare volesse conservare quel segreto in fondo al suo ventre.

E mentre il corpo ancora gli pulsava, sentì Kacchan soffocare un ringhio tra i denti, seguito da una spinta più profonda, le mani che gli stringevano la carne come se potesse sparire.

Anche Katsuki si lasciò andare poco dopo, un ringhio sommesso tra i denti, il volto nascosto nella curva del collo di Izuku, i polpastrelli premuti contro la pelle dell'altro come se i corpi volessero fondersi.

Affondò con lentezza, una, due volte ancora, con la fronte sulla sua spalla e le labbra schiuse in un sussurro roco che suonava come una litania: «Mio... Mio... Mio...».

Fu allora che il corpo si tese del tutto, e venne dentro di lui, con un grido strozzato e il corpo che si irrigidiva tutto in un solo spasmo, senza difese, senza maschere.

Sentì l'urgenza dell'orgasmo rompersi in mille schegge, in onde che lo attraversavano dalla nuca ai talloni.
Sentì Izuku stringersi attorno a lui, accogliere il suo seme caldo nelle viscere, e gemere piano in un suono che sapeva di resa totale e fiduciosa, un suono che nessun altro aveva mai sentito da lui.

Quando si ritirò, lo fece con cura, quasi con timore.

E fu allora che li vide: le venature pallide del muco, la scia lattiginosa dello sperma che saliva in superficie e si disperdeva assieme a un'ombra più scura, un filo di sangue, sottile, tremante, che si disgregava piano nell'acqua. Katsuki lo fissò un istante con quella forma silenziosa di rispetto che si riserva a qualcosa di sacro. Mosse vicino una mano e lo spinse distante, in un gesto quasi catartico.

Perché sì, c'era stato dolore, per entrambi e da tutta la vita, non solo in quel momento.

Ma anche appartenenza, totalizzante.

Il mare si prese tutto, lo portò via piano, come un custode.

E loro rimasero lì, immobili, i corpi esausti, le braccia intrecciate, il cuore che batteva ancora troppo forte.

Izuku si strinse a lui, le labbra sulla clavicola, e sussurrò solo: «Grazie.»

Katsuki non rispose: si limitò ad accarezzargli piano la schiena, tra le scapole, lasciando che fosse la notte a rispondere per lui.

Il cielo sopra era trapunto di stelle.

Il mare sotto e intorno, tiepido custode del loro amore.

E loro, al centro.

Nudi, bagnati e tremendamente vivi.

Katsuki lasciò andare piano la gamba di Izuku, la sua mano scivolò via dalla coscia con delicatezza, come se avesse paura di svegliarlo da un sogno.

Per un istante, rimasero così, immobili nel buio, l'acqua che lambiva appena le ascelle, le onde che si infrangevano a pochi metri da loro, sulla riva, come un respiro antico.

L'unica luce era quella della falce di luna riflessa sulla superficie del mare, che bastava appena a disegnare le spalle, la curva della mascella, lo scintillio bagnato delle ciglia scure di Izuku.

Katsuki lo strinse tra le braccia, stavolta di fronte, sorreggendolo con forza e dolcezza.

Il corpo dell'altro era ancora scosso da piccoli tremiti, stanco, svuotato.

Si baciarono piano, senza fretta, le bocche umide, il gusto del sale che pizzicava appena le labbra.

«Kacchan...» sussurrò Izuku, la voce un soffio caldo sul collo. «Farà sempre così male?»

Non c'era paura nella sua domanda, solo una stanchezza arresa e sincera, la fragilità che si concede solo dopo aver dato tutto.

Katsuki lo guardò in silenzio.

Non sapeva rispondere. Non davvero.

Non aveva mai fatto niente del genere prima, con nessuno.

Non con quella cura, non con quel tipo di amore.

Fece scorrere una mano sulla schiena di Izuku, tra le scapole, su e giù. Poi si chinò a sfiorargli la tempia con le labbra. «Non lo so.»

Katsuki gli accarezzò la schiena con entrambe le mani, scivolando piano verso il basso, seguendo la curva naturale dei muscoli, poi i glutei sodi, già noti sotto il tessuto e adesso nudi e levigati, immersi nell'acqua salata.

Rimasero in silenzio per un po'.

Poi il biondo sorrise, con quel sorriso piccolo e sghembo, raro, che si vede solo da vicino.

Solitamente lo usava per insultare con affetto o per nascondere qualcosa di troppo tenero da dire. Ma stavolta... lo lasciò uscire.

Gli prese il mento tra due dita e lo costrinse a guardarlo, anche se era buio e vedevano appena le sagome l'uno dell'altro. «A me ha fatto bene.»

Izuku deglutì, colpito da quanto quella frase fosse bastata.

Si baciarono ancora, più lentamente, come se non volessero mai separarsi. Si accarezzarono le spalle, il collo, si sorressero l'un l'altro.

Poi, piano, iniziarono a rabbrividire: l'acqua sembrava più fredda adesso che il calore del corpo si andava dissipando, e un brivido corse lungo la schiena di entrambi.

«Usciamo...» sussurrò Izuku, anche se non aveva alcuna voglia di allontanarsi da lui.

Fecero qualche passo verso riva, ma dopo pochi metri Izuku si piegò su se stesso, le gambe molli, le ginocchia che tremavano. «...non riesco a camminare.». Lo disse quasi ridendo, col fiato corto, più stupito che imbarazzato.

Katsuki si voltò e, senza dire una parola, lo sollevò da davanti, stringendolo come un koala, le braccia dietro la schiena e sotto le cosce.

Izuku lo circondò con le braccia, il petto premuto contro il suo, le gambe attorno ai fianchi.

Fu allora che sentì di nuovo quella pressione familiare, proprio lì sotto.

«...ma non è umanamente possibile che tu sia di nuovo in tiro!» e la sua voce esplose in una risatina incredula, soffocata contro il collo di lui, strofinando il naso contro il profilo duro della sua mascella.

Katsuki, col respiro ancora pesante e le guance arrossate, scosse la testa ma non poté negare. «Colpa tua...», mormorò, la bocca contro l'orecchio, col tono basso, rauco, ancora ruvido di desiderio. E se lo strinse contro come se non volesse lasciarlo andare mai più.

Camminarono così, due ombre nude nel buio. L'acqua carezzava i loro fianchi, le onde si scioglievano sulle cosce, passo dopo passo, fino a quando si ritrovarono con il mare alle spalle e la sabbia fresca sotto i piedi, le loro labbra che si cercavano ancora, anche stanchi, con i passi incerti.

Izuku venne depositato sulla sdraio, accasciandosi quasi fosse senza ossa, completamente nudo ed esausto. Katsuki, altrettanto nudo e umido di mare, strisciò lungo il corpo prono di Izuku per catturarne le labbra gonfie in un bacio morbido e tenero.

«È stato incredibile...», mormorò il biondo contro la sua bocca, strofinandogli il naso affettuosamente sulla guancia, mentre Izuku gli passava la mano sul volto fino a sfiorargli la nuca e attirarlo in un nuovo bacio, più profondo.

«Mi sa che dobbiamo assolutamente farlo di nuovo...».

La frase rimase sospesa tra le loro bocche, con il sale sulla pelle e il respiro che ancora faticava a tornare normale. Katsuki sorrise appena, gli occhi socchiusi, il viso arrossato nascosto per un momento tra i capelli umidi di Izuku. Non disse nulla, ma il modo in cui lo baciò di nuovo, lento e pieno, fu più eloquente di qualunque risposta.

Si accostarono l'uno all'altro così, nudi e stanchi, le gambe intrecciate, la pelle che si cercava ancora, nonostante tutto. Ogni tanto un brivido li attraversava, ma non si mossero. Il vento fresco della notte soffiava tra le fronde degli oleandri, mescolando profumi di fiori e di mare. Le stelle sopra di loro sembravano più vicine, più vive.

Katsuki gli passò una mano tra i capelli, poi lungo la schiena, piano, conducendolo su di sé come per cullarlo. Izuku gli si accoccolò contro, il mento sul suo petto, le dita che tracciavano cerchi pigri sulla pelle bagnata dei pettorali, i polpastrelli che ogni tanto indugiavano sulle cicatrici sullo sterno e sulle braccia.

Non c'erano più parole.
Non servivano.

E nel silenzio, si udiva solo il suono della risacca delle onde.

E i battiti all'unisono dei loro cuori.

Bạn đang đọc truyện trên: TruyenTop.Vip