On the beach

La porta del bagno si richiuse alle loro spalle con un tonfo, lasciando che subito un'ondata di suoni, luci e odori li inghiottisse.

L'atmosfera là fuori sembrava un altro mondo, troppo vivo, troppo chiassoso.

La musica, ancora pulsante e graffiante, sembrava un'eco distante rispetto alla tensione silenziosa che si erano appena lasciati alle spalle.

Eppure era ovunque: nelle vibrazioni sotto i piedi, nel basso che rimbalzava nelle costole, nei cori scomposti di chi cantava le strofe a memoria.

Izuku abbassò un po' la testa, gli occhi ancora un po' lucidi se ripensava a ciò che aveva detto Kacchan.

Le sue guance erano rosse e calde, ma non più solo per l'eccitazione. Ora c'era anche l'imbarazzo e la voce di Monoma che gli rimbombava ancora nelle orecchie.

Avrebbe voluto scomparire.

Ma sentì le dita di Katsuki cercare le sue. Non stringerle: cercarle.
Con la stessa delicatezza silenziosa che solo chi ha imparato a lottare accanto a te può permettersi. E solo allora sentì che poteva tornare a respirare di nuovo.

La calca davanti al bar era diventata un'onda umana: pelle lucida di sudore, magliette appiccicate alle schiene, braccia alzate che agitavano drink mezzi sciolti.
Qualcuno rideva troppo forte, qualcuno gridava per farsi sentire sopra la musica, mentre i bicchieri tintinnavano in equilibrio precario tra dita ubriache. Il pavimento di cemento era bagnato in alcuni punti, appiccicoso in altri. Drink colorati erano finiti rovesciati e si spandevano a terra, nessuno che se ne curasse davvero.

Ma loro - loro - sembravano attraversare tutto quel caos completamente intatti, mano nella mano.

Izuku non guardava nessuno, e Katsuki nemmeno. Uno seguiva l'altro e basta, le dita intrecciate, le nocche bianche per lo sforzo, il passo appena troppo veloce per sembrare disinvolto.

Le spalle nude di uno sconosciuto sfiorarono Izuku, il gomito di qualcuno colpì per sbaglio il fianco di Katsuki. Un profumo troppo dolce, un respiro troppo vicino, ma nessuno di loro due si voltò, né si fermò.

Bicchieri di carta accartocciati, cannucce a terra, cubetti di ghiaccio in lenta agonia... Izuku quasi ci scivolò sopra con un piede, ma Katsuki lo trattenne senza dire niente.

Un gesto istintivo, silenzioso, uno dei tanti, come quelli che faceva in battaglia.

Come quelli che aveva cominciato a fare da quel giorno, dopo le sue scuse pubbliche, quando aveva smesso di vederlo solo come un rivale, e aveva iniziato a proteggerlo.

Non perché Izuku fosse debole, ma perché lo amava, anche se non lo diceva ancora. Anche se, forse, non se lo era nemmeno ancora detto da solo.

Superarono il bancone, proseguirono oltre il bar, poi giù per le scalette, sulla sabbia che ricominciava a cedere sotto i piedi, morbida, calda del calpestio e della giornata: la pista da ballo era gremita, delimitata da corde basse e da lanterne tremolanti a intermittenza, che illuminavano tutto, assieme a luci colorate appese a fili che si perdevano nel buio, come piccoli cuori incandescenti e variopinti.
Il DJ aveva cambiato brano mentre loro svicolavano tra i corpi in movimento, qualcosa di lento, elettrico.

Izuku lasciò andare la mano di Kacchan solo per un secondo, il tempo di scavalcare la corda tesa a mezza gamba con agilità, e poi tornò a cercarla. Il biondo gliela lasciò riprendere senza dire nulla, il cuore ancora troppo pieno per parlare.

I piedi affondarono nella sabbia calda e smossa e le luci dietro di loro svanivano piano.

La musica diventava di nuovo ovattata, come se il mondo intero si stesse immergendo in una vasca d'acqua tiepida.

E Izuku, stavolta, riprese la mano di Katsuki e la tenne più stretta, guidandolo senza sapere esattamente dove stava andando.

Forse verso il mare, forse solo simbolicamente lontano dallo sguardo di Monoma, da quella voce che aveva detto ciò che lui non era ancora pronto a sentire... Che tutti li avevano visti, che tutti sapevano. Che avevano dato spettacolo.

Izuku rabbrividì al pensiero.

Non tanto per vergogna, ma per un senso di estrema vulnerabilità, perché per un attimo aveva abbassato tutte le difese e ora... non sapeva cosa aspettarsi.
Però... Nessuno lì aveva più fatto caso a loro.

E, in quel momento, l'unica cosa che gli importava era il rumore del mare, la risacca in lontananza.

Il cielo sopra di loro era nero e terso, la luna sottile e bianca come una cicatrice nel buio. Le stelle sembravano più vicine del solito, immobili su un mare nero che respirava piano, a ondate leggere.

Izuku si voltò un attimo indietro, verso la pista, poi di nuovo avanti. Non sapeva dove stava andando, davvero. Non aveva un piano, non aveva neanche pensato al "dopo". Solo una cosa sapeva: non voleva smettere di camminare con lui.

Katsuki lo seguiva senza dire niente, ma, ogni tanto, il pollice si muoveva appena contro il dorso della sua mano. Un gesto piccolo. E tutto, per una volta, sembrava andare bene così.

I passi lasciavano tracce leggere, le luci alle loro spalle si facevano più flebili, e il rumore della festa diventava solo un'eco lontana.

Camminarono ancora, tra le file di sdraio piegate e gli ombrelloni chiusi come fiori addormentati, e la sabbia diventava più compatta sotto i loro piedi nudi, più fredda, più scura, dove l'acqua arrivava a lambire la riva con carezze intermittenti.

La battigia era umida, increspata da quelle lingue d'acqua che si ritiravano appena dopo aver toccato la pelle.

Lì, l'aria era diversa: più fresca, più limpida. Il vento portava l'odore buono del mare, salmastro, vivo, familiare. Katsuki si fermò un istante e inspirò lentamente, lasciando che gli si infilasse nei polmoni come un ricordo dimenticato. Senza dire niente, si chinò a togliersi le espadrillas basse, infilandoci appena due dita per sfilarle via dai talloni. Le sollevò, in una mano, stringendole pigramente dal bordo come se non avesse intenzione di indossarle mai più.

Il vento era leggero, ma abbastanza da sollevare piccoli granelli che si attaccavano alle caviglie, pizzicando la pelle.

Camminò accanto a Izuku con passo lento, lasciando che la sabbia umida e fresca gli si infilasse tra le dita, seguendolo senza dire nulla, le sue espadrillas strette in una mano, mentre l'altra restava lì, in attesa. Le dita aperte, le nocche che cercavano il coraggio sfiorando ogni tanto la mano dell'altro, con la stessa esitazione con cui si sfiora qualcosa di troppo importante per afferrarlo davvero.

Fu Izuku a muoversi per primo.

Le sue dita andarono a cercarlo, con un gesto piccolo ma pieno di significato. I polpastrelli si sfiorarono ma non si strinsero. Fu Katsuki a chiudere la mano sulla sua lentamente, come se volesse imprimere in quel contatto tutto quello che non gli aveva ancora detto. Ogni dito che si chiudeva, un pensiero.

Si fermarono, fianco a fianco, a osservare quella vastità scura che era l'oceano calmo e buio, mentre l'acqua bagnava loro le caviglie.

Il silenzio tra loro non era imbarazzato, stavolta.
Era pieno, denso e, in un certo senso, sacro.

Izuku, piano piano si sporse, appoggiò la testa sulla spalla di Katsuki e non disse nulla, in un gesto semplice, quasi infantile, ma il suo peso, quel piccolo abbandono nella tranquillità della loro solitudine, arrivò dritto al petto del biondo come una scossa dolce e imprevista. Katsuki abbassò appena gli occhi, guardandogli il profilo: le ciglia lunghe, la curva stanca delle labbra, il respiro regolare.

Le dita si aprirono, lasciando scivolare a terra le espadrillas e, senza pensarci troppo, eppure con un'enorme cura, si voltò un po' e gli prese il volto con le mani, le dita lo sfiorarono con quel suo modo ruvido e gentile, come se temesse che Izuku potesse svanire al minimo movimento, e gli sollevò il viso solo quanto bastava per guardarlo dritto negli occhi. E poi lo baciò.

Fu un bacio lento, pieno. Prima morbido, esplorativo, con le labbra si muovevano piano, come se si stessero studiando ancora una volta. Ma poi, senza preavviso, la dolcezza cedette a qualcosa di più urgente, a una fame antica, rimasta sepolta troppo a lungo. Così il biondo lo baciò con forza, con trasporto, stringendolo più forte per un momento, quasi a volerlo assorbire e Izuku ricambiò senza pensarci, con una risposta altrettanto affamata, le dita che gli si aggrappavano alla nuca, come se anche lui avesse bisogno di quella certezza. Si baciarono così, con l'acqua che continuava a toccare i piedi, e le stelle sopra di loro che sembravano trattenere il fiato.

Poi Katsuki si mosse, piano, senza staccarsi dalle sue labbra e fece un passo indietro. E un altro.

Izuku lo seguì d'istinto, come se vi fosse un filo teso tra loro che li teneva uniti. Si muovevano a tentoni sulla sabbia irregolare, ancora presi dal bacio, come se fossero una cosa sola che non voleva rompersi: Katsuki arretrava con lentezza, guidando entrambi tra le sdraio e gli ombrelloni chiusi, mentre la luna, sottile e lucente, li seguiva dall'alto come un occhio silenzioso.

Ogni passo era luce e ombra, come i loro cuori. Ogni bacio, ogni carezza, una risposta al dubbio che li aveva accompagnati per troppo tempo.

La sdraio cedette con uno scricchiolio sotto il peso combinato dei loro corpi.

Katsuki ci si era lasciato cadere per primo, senza dire una parola, e Izuku gli era andato dietro, quasi in punta di piedi,  incerto all'inizio mentre gli saliva addosso, a cavalcioni sulle cosce forti che premevano contro le sue, e tutto sembrò improvvisamente più reale, più vicino: lo spazio era stretto, i loro corpi caldi e il mare, poco distante, sembrava muoversi in sincronia con il battito nei loro petti.

Poi Katsuki si sporse appena, gli mise una mano dietro la nuca e lo attirò a sé.

Le labbra si incontrarono come la prima volta, ma non c'era più esitazione, nessuna. Solo fame. Fame dolce, lenta, consapevole.

Erano inumidite da tutte le parole mai dette, dai sospiri che avevano imparato a inghiottire in silenzio, da quei desideri che si erano insinuati sotto la pelle con il tempo, come schegge calde, impossibili da ignorare, ferite mai del tutto guarite, sguardi che avevano detto troppo e troppo in fretta, mani che si erano sfiorate sempre per sbaglio...

Katsuki baciava come se volesse scolpire nella memoria il suo sapore, con rabbia repressa, con affetto masticato e mai sputato via. Gli baciò l'angolo della bocca, poi il mento, poi risalì lungo la guancia. Le sue labbra erano roventi e attente, come se cercassero un modo per curare ogni tremore nascosto sotto la pelle di Izuku.

Gli passò il pollice sotto la mascella, tracciando quella linea morbida e forte che aveva visto crescere insieme a lui. Poi lo fece scivolare sulle guance, accarezzando l'arco delle sue labbra, come per ricordarsi com'erano fatte. E anche un po' per essere sicuro che fosse tutto vero.

«Cazzo, quanto ti volevo...», sussurrò, con un tono che vibrava come una corda tesa da anni e non c'era traccia di arroganza nella sua voce, solo un tremendo stupore, come se ancora non credesse di poterlo toccare così.

Izuku si lasciava andare. Gli occhi socchiusi, le labbra dischiuse, il respiro leggermente spezzato e dentro tremava davvero di quella sensazione travolgente di essere visto, completamente, e desiderato per ciò che era.

E Katsuki lo capì subito.

Appoggiò la fronte alla sua, gli accarezzò la schiena con una mano larga, rassicurante, e gli sfiorò la tempia con le labbra. «Va tutto bene...» mormorò, appena un respiro.

E poi riprese: gli baciò la gola, dove il battito era più evidente sotto il pomo d'Adamo, lo sentiva vibrare sotto la pelle calda. Lo baciò sul collo, sulle clavicole sporgenti.

Le mani si erano fatte più decise, gli correvano sui fianchi, si insinuavano sotto l'orlo della canottiera con una fame gentile, per scoprirlo un centimetro alla volta, con quella stessa ostinazione con cui affrontava una nuova tecnica: meticolosa e concentrata.

Quando gliela sollevò, fu lento. Lo guardava negli occhi mentre lo faceva, cercando una risposta, un sì muto tra le ciglia di Izuku.

Quello non si tirò indietro: alzò appena le braccia, lasciandogliela sfilare via, facendola scivolare sopra la testa con delicatezza, come se stesse maneggiando un oggetto fragile, lasciando poi cadere la stoffa scura sulla sabbia.

La sua pelle nuda era punteggiata da lentiggini e brividi e un po' rifletteva la luce fredda della luna.

Katsuki si morse appena il labbro quando lo guardò: «Dio...» sussurrò, con una tenerezza piena di stupore, mentre gli passava le dita sul petto, sulle costole, sullo sterno. «Sei bello da morire, Izuku.»

L'altro abbassò lo sguardo, rosso fino alle orecchie, e sorrise appena. Un sorriso incrinato, incerto, che sembrava uscito direttamente dal centro del petto.

Anche così, con le guance in fiamme e il respiro irregolare, era bellissimo. Katsuki non resistette: lo afferrò per la vita con dita ferme, e lo tirò a sé con decisione, incollandogli il petto nudo contro il proprio. Il calore dell'altro lo colpì come un'onda, avvolgente e viscerale.

Izuku si sistemò meglio a cavalcioni su di lui quasi senza senza pensarci. Era un gesto istintivo, fluido, come se il suo corpo sapesse esattamente dove voleva stare: addosso a lui. Le mani gli scivolarono sulle spalle, poi sul collo, in una carezza incerta che tremava quanto il suo respiro.

Il bacio arrivò subito dopo un mezzo gemito di Kacchan e, all'inizio, fu delicato, lento, come se si stessero ascoltando con le labbra. Ma bastarono pochi secondi - un angolo della bocca che si apriva, un respiro condiviso, un altro gemito appena accennato - perché la dolcezza lasciasse spazio a tutt'altro. Le labbra di Katsuki si mossero con più forza, la lingua che cercava la sua con una necessità che sapeva di anni tenuti dentro, di emozioni compresse che ora esplodevano come fiammate sotto pelle.

Si mosse con una lentezza crudele, quasi a volerlo torturare di dolcezza, come se quel bacio dovesse bastare a cancellare ogni altra bocca dal mondo, ogni passato, ogni possibilità che non fosse quella che stavano vivendo.

Izuku gemeva appena, e ogni piccolo suono che gli scappava sembrava andare a incendiare ancora di più il biondo. Si muovevano all'unisono, baciandosi come se fosse l'unica cosa che sapessero fare, e intanto i fianchi si cercavano, si sfioravano, con la stoffa dei pantaloni che era l'unica barriera tra il calore pulsante delle loro erezioni. E sentivano tutto.

Ogni fremito, ogni contrazione involontaria, ogni sospiro che spezzava l'aria intorno.

Le mani di Katsuki non stavano ferme: gli scorrevano lungo la schiena, risalivano fino alle scapole come a volerlo contenere tutto, poi giù di nuovo, forti, sicure e affamate. Gli passò il pollice lungo la linea dei fianchi, poi sulle costole, dove la pelle era più sottile e Izuku si arcuò leggermente sotto quelle carezze, stringendogli le spalle con dita incerte, quasi come se avesse paura di lasciarlo andare.

Poi l'altro si chinò in avanti, baciandogli il collo con lentezza, affondando il volto contro la curva tra la clavicola e la spalla. Inspirò piano e il profumo della sua pelle, misto al sale, alla sabbia, al desiderio... gli entrò nei polmoni come qualcosa di divino.
«Cristo, Izuku...» sussurrò, la voce più ruvida.

E l'altro si aggrappò a quella voce come a un'ancora. «Kacchan...», esalò, con la gola che gli tremava di qualcosa che stava fiorendo dentro e che faceva quasi male da quanto era grande.

Katsuki allora lo guardò e gli prese il viso tra le mani, una carezza piena, con i pollici che gli scorrevano sugli zigomi roventi, poi sulle labbra, morbide e gonfie di baci. Lo guardava come se stesse cercando di impararselo tutto in una sera, come se volesse ricordare la forma esatta della sua bocca, il calore del suo respiro, il modo in cui si muoveva sopra di lui.

Poi tornò a baciarlo. Più piano, una carezza prima, poi un morso sulle labbra. Un piccolo suono, e subito la lingua che riprendeva il contatto, come se volesse chiedere scusa e insieme possederlo di nuovo.

I baci si fecero più lenti, più mirati. Ogni centimetro di pelle esposta venne reclamato: con le labbra, con la lingua, con i denti.

Scese con la bocca sul petto, baciandolo ovunque: sui bordi delle clavicole, sulle pieghe tra i muscoli, su quel punto appena sotto il capezzolo che lo faceva sussultare.

Gli passò la lingua su entrambi, uno alla volta, poi li prese tra i denti. Non forte, giusto quel tanto da sentirlo fremere, da sentirlo premere più forte contro di lui, e gemere piano.

Poi scese lungo i bordi delle costole, la lingua calda che tracciava una linea salata e leggera, assaporando il sudore mescolato alla sabbia profumato di mare. Era qualcosa di unico, e Katsuki pareva berlo a labbra strette, imprimendosi nella memoria il gusto di lui così salmastro e vivo.

Izuku si lasciò andare, completamente. Aveva le dita intrecciate nei capelli di Katsuki, la testa riversa all'indietro, il corpo che tremava per l'eccitazione, per l'intimità, per la bellezza spaventosa di essere visto così...

La brezza marina gli pizzicava la pelle esposta, ma era la bocca di Katsuki sul suo petto a dominare ogni altra sensazione.

Quel calore, quel movimento lento, la lingua che passava di nuovo sul capezzolo appena morso. Soffiava piano, tra un bacio e l'altro, come se volesse farlo impazzire. Come se stesse assaggiando la sua reazione più ancora del suo corpo: il modo in cui si apriva a lui, tremando, stringendosi ai suoi capelli, aggrappandosi alla sua schiena come se avesse paura di cadere, ma volesse farlo comunque.

Quando la lingua di Katsuki tornò a sfiorare i capezzoli, uno alla volta, con baci caldi e morsi appena accennati, Izuku ansimò e affondò il viso contro la sua chioma color del grano, gemendo il suo nome tra un respiro e l'altro.

«Kacchan... io-», provò a ricominciare, con un filo di voce, ma si interruppe, il respiro gli si spezzò in gola appena percepì chiaramente un palmo ruvido, largo, che gli accarezzava la pelle nuda dei lombi, spingendosi lentamente sotto l'elastico dei pantaloni.

Katsuki gemeva appena contro il suo petto, col fiato caldo e affamato e le sue dita si muovevano lente, esplorando la curva tesa del suo fondoschiena, stringendo piano la carne soda con i polpastrelli.

Izuku si irrigidì per un istante e poi posò le mani sul petto di lui e si staccò appena, respirando più forte e i loro occhi si incontrarono. «A-aspetta...», fece con voce incerta.

Katsuki si fermò subito, con la mano che si ritirava di qualche centimetro, ma non lo lasciò andare. Lo teneva ancora saldamente sulla schiena, con forza e tenerezza.

«Scusa. Mi sono fatto prendere...», mormorò piano il biondo, la voce roca, la bocca ancora arrossata.

Izuku scosse la testa, un sorriso appena accennato sulle labbra vermiglie. «Non... non devi scusarti... È solo che...», aggiunse, tracciando inconsciamente dei piccoli cerchi con le dita sulla clavicola di Kacchan mentre provava a trovare le parole giuste.

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