Pornographic dance fight

Il sussurro era caldo, umido, diretto all'orecchio e Izuku rabbrividì.

Tutto il suo corpo rispose, in un lampo: si irrigidì e poi si sciolse in un fremito sottile, come se una corrente elettrica lo avesse attraversato da dentro.

Era lui... Doveva essere lui!

Si voltò di scatto, il respiro trattenuto, lo stomaco avvitato in una morsa.

Ma non era lui.

Era solo un altro ragazzo, forse un amico di un amico, uno che non aveva mai visto nei corridoi della UA. Forse uno del corso per amministrativi... occhi scuri, barba corta e curata, uno sguardo che sapeva troppo, un sorriso ambiguo sulle labbra.

Aveva ancora dita ancora appoggiate alla sua spalla, i polpastrelli che premevano sulla carne accaldata, lasciando scomparire le lentiggini sotto quella pressione.

Izuku impiegò un secondo a riprendersi, poi si tirò indietro di mezzo passo, senza scuse, senza parole: il corpo gli si era svuotato, come se l'avesse tradito per un attimo, e ora stesse cercando disperatamente il contatto giusto.

Quello vero.

Katsuki invece era sceso dalla pedana come un proiettile e non guardava nessuno, non dava peso alle persone che scostava a suon di spallate e spintoni poco gentili.

Aveva solo un bersaglio fisso in testa: Izuku.

Lo vedeva, lo vedeva benissimo, là in mezzo alla pista, circondato.

Uno dei due lo stava toccando con più insistenza, l'altro rideva all'orecchio di Izuku, come se gli appartenesse.

E lui...stava fermo. Li lasciava fare.

Un nodo di veleno e rabbia gli esplose nello stomaco appena fu loro vicino, dopo aver sgomitato tra tutti i loro compagni, più o meno sconosciuti, che gremivano la pista da ballo. «Toglietevi dal cazzo.» La voce di Katsuki fu un'esplosione secca, dentro la musica.

Non gli servì alzare il tono, perchè c'era qualcosa nel modo in cui lo disse che parve tagliare l'aria.

I due ragazzi si voltarono, infastiditi: uno sollevò le mani in segno di resa, l'altro fece un passo indietro con aria di sfida. «Oh, rilassati. Lo stavamo solo facendo divertire...»

Katsuki fece un mezzo sorriso, sporco e pericolosissimo. «E adesso gli fai un favore ancora più grande e vedi di sparire, prima che ti faccia divertire io, stronzo.»

Il tono non lasciava spazio a replica: il modo in cui li guardava, come se fosse avvolto da un'aura che ancora sapeva di battaglie vinte e pugni spaccati, bastò come deterrente. Anche perchè tutti, a scuola, sapevano chi fosse Bakugo Katsuki e sapevano altrettanto bene che era meglio girarci alla larga.

Il primo, quello più spavaldo dei due, che s'era preso l'onore e il disonore di provare a tener testa al biondo, se ne andò subito, una faccia infastidita ma con la coda tra le gambe. Il secondo lo seguì poco dopo, con una mezza scrollata di spalle, lanciando a Izuku un'occhiata interrogativa, come a chiedere: "Questo sarebbe tuo?"

Izuku non rispose. Più che altro non ne ebbe il tempo e neppure la voglia.

Perché Kacchan era già davanti a lui.

Troppo vicino, troppo reale.

Sempre così bello e selvaggio e furente da far male e i cuore gli saltò in gola.

La pelle reclamò quella distanza di un soffio, mentre tutto dentro di lui gridava "Sì, questo è mio. Lo è sempre stato."

Da sopra, appoggiato alla balaustra di vetro, Kirishima li guardava.

La pista sembrava un altro mondo, un ventre pulsante di luci e corpi che si sfioravano senza più regole.

Ma loro due... oh, beh... loro due erano tutta un'altra cosa...

Emanavano una tensione diversa, più carica, più vera.

E sembrava che tutti gli altri stessero loro distante solo perchè quell'energia sembrava insostenibile, insopportabile, tanto da dover lasciare il giusto spazio...

Aveva visto Izuku lasciarsi toccare, ballare con altri, ridere appena, ma senza vera luce negli occhi e, in questi anni, aveva imparato abbastanza a capirlo, forse addirittura meglio di quanto avrebbe voluto.

Poi aveva visto Katsuki arrivare da lui e aveva capito subito, dal modo in cui camminava, dal modo in cui lo fissava, dal modo in cui non si fermava, come un istinto in fiamme...

Quando i due ragazzi si spostarono da Izuku, Eijiro si passò una mano tra i capelli e sospirò piano, quasi con sollievo.

Sorrise, ma non era un sorriso felice: era il sorriso di chi vede finalmente una porta aprirsi... e sa che non ci potrà entrare. «Questa volta o si bruciano... o si prendono per davvero...» mormorò tra sé, finendo il drink in un sorso lungo.

Poi si staccò dal parapetto e si voltò, perchè non era più affar suo.

Sotto, sulla pista, Izuku e Katsuki stavano fermi, l'uno davanti all'altro.

Katsuki, con le sue espadrillas di tela affondate nella sabbia, non disse nulla subito, limitandosi a guardarlo, con gli occhi rossi che parevano accesi, come se stesse combattendo il suo stesso desiderio a pugni serrati.

Poi... poi parlò. La voce rauca, colma di fastidio, rotta: «Che cazzo credi di fare, ah?»

La voce di Katsuki non era altro che un graffio sordo, impastato di frustrazione, sorpresa e furia trattenuta.

Di gelosia sporca di desiderio che gli si stava incastrando tra le scapole.

Izuku, dal canto suo, non rispose, non lo guardò nemmeno.

Fece solo un passo avanti. Uno, sufficiente a togliergli l'aria, il petto quasi addosso, il fiato caldo.

E tutto cambiò: non c'era più spazio tra di loro, la distanza era finita.

I fianchi cominciarono a muoversi a tempo di basso, lenti, elastici, come se volessero abbracciarlo senza mani.

Il suo corpo parlava al posto suo e diceva "guardami", "tienimi."

Ballava per lui. Solo per lui.

Katsuki restò fermo, pugni chiusi, mascella contratta, non arretrò, ma nemmeno si mosse: rimase lì, immobile, le labbra dischiuse e gli occhi roventi. «Hai bevuto?», glielo chiese a denti stretti, come se servisse una scusa per non lasciarsi andare.

Izuku lo guardò solo allora, con uno sguardo basso, da sotto in su, liquido delle luci colorate che li circondavano e torbido di alcol. Un filo di voce: «Sì.». Poi gli sussurrò pieno con un accenno di sorriso sulle labbra: «Abbastanza da capire che sei troppo... rigido

Katsuki sentì il sangue ruggirgli nelle vene, mentre Deku continuava a muoversi. Lento, misurato, pericoloso .

«E tu?». Una pausa, la bocca a un soffio dal suo orecchio. «Quanto hai bevuto, Kacchan, per fare una scenata del genere?»

Katsuki non rispose.

Non poteva: il cervello era disconnesso.

Poi Deku si girò, gli diede la schiena con un gesto sfacciatamente naturale e cominciò a strusciarsi contro di lui, mentre tutto il mondo andava in dissolvenza.

Un ritmo morbido, teso e sfrontato: la canotta nera, bagnata. I pantaloni bassi sui fianchi. I muscoli che si muovevano sotto la pelle. La sabbia si sollevava piano intorno ai loro piedi.

Katsuki non ce la fece più.

Le mani si mossero, gli partirono da sole e afferrarono i fianchi stretti del nerd.

Lo bloccarono.

Lo guidarono.

Izuku premette il bacino contro di lui e Katsuki lo seguì, il corpo in fiamme, gli occhi fissi su quella curva che si muoveva contro la sua.

Le dita gli affondarono nei fianchi e il respiro gli scivolò tra i capelli ricci come un fumo caldo.

E si mossero così, in sincronia.

Il basso si fece più cupo, più lento, il battito della grancassa si fuse con i loro.

Katsuki chiuse gli occhi, e quando li riaprì, il mondo era Izuku.

Solo Izuku.

Gli affondò il naso nel collo, senza toccarlo con le labbra, ne inspirò il profumo fresco e salato, il residuo di colonia che aveva messo prima di uscire, misto al doposole, al sudore per il ballo sfrenato che aveva fatto poco prima.

Ti voglio così tanto che mi fa male.

Lui lo lasciò fare, si lasciò toccare, sistemare l'apertura della camicia. Lo lasciò giocare con un bottone in madreperla e aggrapparsi poi al petto, le mani nel tessuto fresco, le dita scivolose, come se volesse strapparglielo via.

Lo guardava con quegli occhi rossi in fiamme, e si piegò verso il suo orecchio, con la bocca quasi a sfiorargli la pelle accaldata. «Sul serio... cosa credevi di fare prima, Izuku

Quello si fermò un istante, le dita ancora appoggiate al bottone in madreperla. Poi scrollò piano le spalle: «Divertirmi.»

Katsuki inclinò la testa, si spostò quel tanto che bastava da sfiorargli il mento con la punta del naso, inspirare piano il suo odore. «Con quelli?»

La voce gli graffiò l'orecchio, troppo bassa per essere un'accusa e Izuku sollevò lo sguardo, si umettò appena le labbra prima che un sorriso teso gli apparisse sul viso. Avvicinò le labbra all'orecchio di lui, le parole in un soffio: «Qualcuno non riesce a divertirsi mai... mi devo arrangiare, no?»

Katsuki si immobilizzò un istante, poi rise, un suono basso, incredulo e lo fissò, passandogli un pollice lento sul fianco, come se volesse lasciargli addosso un'impronta. «Ah, qualcuno, eh?»

Izuku annuì, silenzioso.

Un nuovo brivido lo attraversò quando Kacchan gli soffiò piano sull'orecchio: «Sei un idiota...», mormorò appena. Ma la voce era morbida, stanca di combattere e abbassò la testa fino a far combaciare le loro fronti.

Poi la mano sulla schiena scese, scivolò lenta fino ai lombi. Izuku sussultò: il respiro gli sfuggì dalle labbra come un sì.

Il biondo strinse la mascella quando gli mise la mano sulla parte bassa della schiena e lo tirò più vicino.

E fu allora che Katsuki cominciò a ballare; voleva stringerlo e perdercisi dentro. E così fece: una gamba tra le sue. E gli si mosse contro, con una lentezza precisa, il bacino che cercava il suo, lo trovava, lo spingeva, lo seguiva.

Le mani salde, le dita aperte a controllare, a guidare.

Il respiro di Izuku gli finì sulla clavicola e il bacino si mosse più deciso.

Izuku lasciò cadere la testa all'indietro, la fronte lucida per il calore che non capiva più da dove venisse, il collo offerto e Kacchan lo seguì anche lì, sfiorando quella gola tesa con la punta del naso.

Ballavano come se non ci fosse un dopo, si inseguivano in ogni movimento, in ogni spinta, in ogni dannata nota di quel pezzo.

Come se il mondo potesse finire lì.

Erano luce e ombra, sabbia e sudore, peccato e miracolo.

E nessuno li toccava, nessuno li fermava.

Perché in quel momento, su quella pista, avevano la stessa elettricità di un fulmine.

E chi è sano di mente non si mette in mezzo a un fulmine.

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