Skin confessions

Il respiro di Izuku era ancora un po' corto mentre restava a cavalcioni su Kacchan. Il petto nudo, illuminato da quel taglio freddo di luce che emanava la luna, era appena arrossato dai baci e dai teneri morsi e si sollevava con una cadenza disordinata. Aveva le guance infiammate, le labbra arrossate e il cuore che batteva troppo forte per permettergli di parlare subito.

Katsuki lo guardava da sotto, le dita ancora premute sui suoi fianchi, come se bastasse stringere un po' di più per tenere tutto insieme, per non farlo scappare, per non far crollare quella cosa nuova che li stava investendo.

Poi Izuku abbassò lo sguardo: aveva le ciglia un po' umide d'emozione, i capelli verdi scompigliati dalle dita di Kacchan e dal vento e le mani che un po' tremavano mentre scivolavano sul petto del biondo.

«È solo che...», la voce gli uscì piano, strozzata da qualcosa che sembrava più grande di lui. «Io non... non avevo mai fatto niente. Di tutto questo... Prima d'ora...»

Un istante di silenzio, in cui persino la risacca del mare sembrò dissolversi sullo sfondo. Katsuki smise di accarezzargli i fianchi e alzò un sopracciglio.

Izuku si morse l'interno della guancia. «Nemmeno... prima. È stata... la mia prima volta a... toccare qualcuno così. E a...», ma si fermò e il rossore gli esplose fino alle orecchie, e abbassò lo sguardo come se volesse scappare, lasciarsi inghiottire dalla propria ombra.

Katsuki lo guardava, col cuore che batteva forte contro il petto. «Izuku...» e c'era un'ondata di qualcosa dentro di lui che non riusciva a descrivere. Desiderio, certo. Ma anche un bisogno feroce di proteggerlo, di onorarlo. Soprattutto, di non rovinare niente.

Così fece appena un sospiro e si sollevò un po', le mani che gli salivano piano sulla schiena, avvolgendolo in un abbraccio che aveva un che di goffo e tenero e stonava un po' col modo in cui l'aveva toccato fino a poco prima. «Stronzo.» sussurrò, senza cattiveria. «Me lo potevi dire...»

Izuku si fece più piccolo. «Pensavo si notasse...»

«Pensavi male.» fece Katsuki, e poi aggiunse, con una nota più morbida: «Anche se a un certo punto mi è venuto il dubbio... Ma non era il momento di fermarti... sembravi così convinto

Izuku si mise a ridere piano, una risata nervosa. «Convinto lo ero... Lo sono.»

Il biondo scosse la testa e lo fissò ancora per un momento, poi disse, con un tono quasi brusco, ma che lasciava intuire altro sotto: «Io non sono messo meglio.»

Izuku lo guardò confuso. «Cosa vuol dire?», e c'era qualcosa nei suoi occhi che era insieme sollievo e spavento, una ferita silenziosa che si apriva dentro, nell'anima.

«Vuol dire che...», sbuffò, come se le parole gli si impigliassero in gola. «Ho fatto qualcosa. Un po' di roba, in realtà.», e si schiarì la gola, fece una smorfia, come se l'ammissione gli desse un fastidio fisico. «C'è stata una volta. Qualcuno... durante il tirocinio. Roba di una sera sola e...  mi sono bloccato all'ultimo. Non ce l'ho fatta.»

«Perché non sei... arrivato in fondo?»

«Mai voluto davvero, credo. Mai avuto voglia di qualcuno come... come adesso.». Lo disse con un tono che sembrava duro, ma aveva dentro una crepa, come sé quella fosse una verità trattenuta troppo a lungo, una cosa cucita sotto la pelle con aghi spessi come cannucce.

Izuku lo fissò, occhi negli occhi, senza riuscire a rispondere: aveva la testa piena, lo stomaco che sembrava vuoto e il cuore troppo gonfio per parlare.
E poi un sorriso minuscolo gli si formò agli angoli della bocca.

Katsuki un po' si sentì mancare. «Smettila di guardarmi così, idiota.»

L'altro abbassò lo sguardo e gli rispose, arrossendo fino alla punta delle orecchie: «Non riesco.».

Le dita di Katsuki si aprirono sui suoi fianchi, si mossero lentamente lungo la schiena, salendo.
Non avevano più bisogno di correre. Solo di capirsi. Di sentirsi.

Izuku restò lì, ancora a cavalcioni, ma si piegò leggermente in avanti, con la fronte che sfiorava quella di Kacchan. I loro respiri si mischiavano, sempre più lenti, ancora densi del desiderio che li aveva travolti quella sera, ma ora addolciti da un'intimità più pesante, di quelle che stringono il petto.

Le dita del biondo gli accarezzavano il fianco, disegnando traiettorie distratte sulla pelle resa più fresca dalla brezza del mare, come se stesse ancora imparando a memoria ogni curva, ogni tremito che gli percorreva le carni.

«Stai tremando.», mormorò.

Izuku fece un mezzo sorriso dei suoi. «Lo so.»

«Hai freddo?»

Un attimo di silenzio. «No. Sto... realizzando.»

Katsuki alzò lo sguardo, e lo trovò così, lì sopra di lui, con le guance ancora accese, le spalle tese, ma con gli occhi più chiari, limpidi, come se tutta la sua vita gli stesse passando davanti agli occhi. «Realizzando cosa?» chiese, piano, quasi temendo la risposta.

Izuku gli passò una mano tra i capelli biondi, piano, affondando le dita con una delicatezza che fece vibrare qualcosa di profondo. «Non so... forse che dovevo trovare prima un modo diverso di volerti bene.»

Katsuki lo guardò, lo guardò davvero, come se gli stesse aprendo in due il petto con le parole.

Deglutì. «Tu... sei un fottuto problema, lo sai?»

Izuku annuì. «Anche tu.»

E sorrise.

Si guardarono così, con addosso il sapore del mare e delle confessioni, con la mano del biondo che si fermava alla nuca di Izuku per tenerlo vicino, di nuovo, ma senza urgenza.

«Izuku... non ti dà fastidio che tu... non sia il primo?»

Per un attimo Izuku sembrò confuso. Poi solo... ferito. «Beh, un po'...» ammise. «Ma non è colpa tua. È solo... strano. Pensarti con qualcun altro.», deglutì. «Ma poi penso che... sei qui, ora. Con me. E allora sparisce.» e abbassò lo sguardo, ma solo per un secondo. Poi prese il viso di Kacchan tra le mani, e lo baciò di nuovo.

Si strinsero ancora, il cuore pieno, il corpo ancora febbrile, ma stranamente in equilibrio, fino a quando fu Izuku a staccarsi, il fiato corto che gli sollevava a scatti il petto. «Non so se sarò bravo, Kacchan...» sussurrò contro la sua guancia.

Katsuki rise piano, senza ironia, e gli pizzicò appena la pelle sulla schiena. «Non me ne frega un cazzo se sei bravo. Mi basta che sia tu.»

Izuku chiuse gli occhi e ridacchiò, sottovoce, col viso incastrato nell'incavo del collo dell'altro. «Sei diventato tenero.»

«Taci.»

«Hai detto "mi basta che sia tu"... L'hai detto sul serio?»

«Deku.»

«Sì?»

«O mi baci... o ti sbatto io a terra e risolviamo a modo mio.»

Izuku non lo fece ripetere e il bacio che ne seguì fu lento, morbido. Lungo.

C'era attaccamento, appartenenza. E pure un briciolo di paura.

«Io ti voglio...» mormorò Katsuki tra un bacio e l'altro, con la voce che s'increspava di qualcosa che sapeva poco di lui, qualcosa che assomigliava alla fragilità.

Non era una frase detta alla leggera, perché per lui non ignificava solo il sesso. Perché non aveva mai desiderato niente così tanto, in un modo così totalizzante da togliergli il fiato. «Ma non voglio forzarti...», e quando lo disse, passò le mani sulle braccia di Izuku, poi lungo i fianchi, come se volesse rimettere insieme ogni parte di sé e di lui allo stesso tempo. Poi spostò i palmi, gli prese le guance bollenti. «E... non è che non voglio. Perché, credimi che sto scoppiando... Ma—». Lo costrinse a guardarlo negli occhi. «Non... non vorrei farlo qui. Non adesso.»

«Perché?», parve piagnucolare l'altro.

«Perché non ho niente! Niente che... serva.». Si passò le mani sul viso, esasperato. «Niente preservativi. Niente lubrificante. Nemmeno una dannata coperta o un cazzo di asciugamano. E se ti faccio male? Se rovino tutto?»

Izuku lo guardò, spiazzato da quella sincerità.
Per un attimo rimase in silenzio, per poi chinarsi su di lui, appoggiandogli la fronte alla tempia, il petto ancora scoperto che gli sfiorava la spalla.
«Kacchan... io ti conosco. Tu non mi faresti mai del male.» Un battito nel petto come un tamburo che risuona. E poi un altro. «E se va storto... lo sistemiamo, come sempre... Ma se non ci proviamo, allora sì che sarà stato un errore.»

Katsuki trattenne il respiro, le mani sulle sue anche, ferme. «Cazzo...» sussurrò. «Non so se ho più paura di scoparti o di...»

Izuku sorrise piano e lo baciò di nuovo, con dolcezza. «Di...?».

Il biondo sentì le guance andare in fiamme, strinse le mani contro la carne tenera e calda di Izuku e distolse lo sguardo da quei suoi occhi verdi e furbi, che probabilmente avevano già capito tutto e stavano solo attendendo la sua resa.

L'altro si mordicchiò l'interno della guancia e poi, con una voce più bassa, quasi un sussurro: «Io non voglio aspettare, Kacchan...»

Katsuki lo fissò, come se non avesse capito. «Ah?»

«Se aspettiamo, finisce come le altre volte. Quelle in cui magari potevamo baciarci e non l'abbiamo fatto... O quando volevo tenerti la mano ma avevo paura che tu mi giudicassi...». Una pausa. «Per cui non mi importa... Non voglio più avere paura.».

La sua voce era calma, sicura stavolta. «Voglio tutto di te, Kacchan. Ma voglio viverlo bene... non... non saltare niente...», chiuse gli occhi. «E voglio davvero che tu sia ogni mia prima volta...»

Katsuki era lusingato, da quelle parole, certo. Ma si sentiva improvvisamente responsabile, come se ogni gesto, ogni parola che avrebbe detto da lì in poi... dovesse essere quella giusta.

Così lo fissò, e le sue mani scesero con cura lungo la schiena nuda di Izuku, le dita calde che accarezzavano ogni curva, ogni piccola imperfezione, come se volesse imprimersi nella memoria ciascun dettaglio. «Allora ce le prendiamo, 'ste prime volte... Che dici?», poi gli baciò la spalla. Una, due, tre volte e Izuku si rilassò contro di lui, spostando piano la testa, regalandogli in risposta un bacio dolcissimo e caldo.

Un "grazie" che non aveva bisogno di parole.

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