Summer boy
Il mondo, a un certo punto, si sciolse e Izuku non seppe bene quando aveva iniziato a lasciarsi andare, a smettere di trattenersi e il corpo cominciare a rispondere per conto suo.
Forse dopo il secondo drink. O dopo il terzo. O quando la musica aveva cominciato a battergli sotto la pelle, nel petto, nelle gambe, ovunque.
Non sapeva ballare davvero, ma non importava perché tanto nessuno sembrava preoccuparsi davvero del ritmo.
E il suo corpo... stava rispondendo, per la prima volta, senza alcuna paura.
Si muoveva tra la folla come se il suo stesso sudore lo lubrificasse, una linea fluida di braccia sollevate, torace esposto, anche che cedevano e risalivano al tempo della cassa.
Aveva la canotta bagnata, appiccicata al petto, le cicatrici in bella vista lungo le braccia nude.
Alcune sottili, alcune più spesse, tutte lì, a raccontare una storia che nessuno aveva mai saputo davvero toccare.
E ora... le mostrava tutte, con una specie di orgoglio disilluso.
I suoi fianchi si muovevano con lentezza crescente e lasciava che il basso gli attraversasse la pancia.
Le ginocchia leggermente piegate, i piedi nudi che affondavano nella sabbia morbida, gli occhi chiusi.
Le labbra aperte, appena, e il respiro sempre più caldo.
Non pensava. Non del tutto, almeno.
Sudava.
E stava bene.
Aveva voglia.
Non era mai stato con nessuno. Mai, davvero.
Si era toccato come fanno tutti alla sua età. Si era scoperto da solo... ma con gli altri? A parte un paio di baci imbarazzati con Ochaco, una sera, durante un gioco da ubriachi? Nulla.
Baci poi... che non avevano lasciato niente, solo la sensazione di un'occasione sbagliata. Di una persona sbagliata.
O che fosse sbagliato lui.
Lo aveva pensato molto spesso, di essere sbagliato. Poi non ci aveva più dato troppo peso.
Ma quello che sentiva adesso, alcol in corpo o meno... era fame.
Era proprio pelle che voleva altra pelle.
Era Kacchan che lo guardava.
Perché lo sapeva, lo sentiva, quel peso addosso, come avere un campo elettrico ad avvolgerti, una pressione calda e sottile che si stringe attorno al collo ogni volta che si muove un po' di più.
E lui si muoveva, eccome se lo faceva!
E ogni volta che apriva gli occhi, li girava verso di lui.
Kacchan.
Sempre fermo su quel maledetto divanetto, stavolta con Kirishima al suo fianco che cercava di parlargli. La camicia aperta sul petto e lo sguardo che bruciava più del sole di quel pomeriggio passato in spiaggia.
Un brivido gli era salito sulle scapole, poi in giù lungo la schiena e gli aveva fatto stringere le cosce mentre ballava.
E Izuku gli sorrise, non perché si sentisse sicuro, ma perché era troppo tardi per fingere.
E proprio allora, lo sentì.
Un altro corpo che si avvicinava.
Un'ombra nella musica.
Calore.
Una mano che gli sfiorava il fianco, un respiro sul collo e Izuku non si voltò subito.
Lasciò che il ragazzo si avvicinasse, il busto quasi aderente, il respiro sul collo. Le mani non toccavano ancora, ma danzavano a pochi centimetri dai fianchi.
Gli parlò all'orecchio e lui, senza capire realmente ciò che aveva biascicato, gli regalò solo un sorriso vuoto, di circostanza, mentre il ragazzo gli prendeva i fianchi e cominciava a muoversi contro di lui.
Un ballo più lento, lascivo... invadente.
Era magro, ma muscoloso, più alto di lui, coi capelli lunghi legati dietro, uno di quelli della classe di Supporto. Forse, o forse no. Non ricordava.
Lo teneva per i fianchi con dita leggere, ma non abbastanza. Si muoveva bene, certo, sapeva il fatto suo ed emanava sicurezza.
Aveva il respiro caldo e il corpo a ridosso del suo, ma per Izuku era come essere accanto a qualcuno che imitava un linguaggio che lui capiva solo a metà.
Non c'era tensione.
Non c'era scintilla.
C'era solo un gesto che avrebbe potuto accadere con chiunque. E questo, paradossalmente, gli fece venire un nodo in gola.
Ma non lo fermò, non perché lo volesse davvero, ma perché voleva sapere cosa si provava a lasciarsi andare, almeno una volta. A lasciare che qualcun altro lo toccasse.
Seguì il ritmo, ruotò il bacino. Un'onda, fluida. Un rollìo lento, profondo.
Le sue dita si appoggiarono leggere alla camicia aperta dell'altro.
Gli occhi, però, erano altrove.
Lo cercava con lo sguardo mentre si muoveva tra la calca di ragazzi e si rese conto che
Kacchan lo stava ancora guardando.
Fisso.
Fuoco puro.
Come essere afferrato per la gola da dieci metri di distanza.
Non sapeva se fosse arrabbiato per ciò che stava vedendo...
Non sapeva se avesse esagerato. O se magari a Kaccchan non gli importava un cazzo di quello che stavafacendo. Ma una parte di lui... godeva del potere.
Una parte che non sapeva di avere.
E un pensiero si insinuò, pericoloso e crudele.
Elettrizzante, quasi.
Se mi vuoi, muoviti. Se no, resto qui. E lascio che qualcun altro mi tocchi dove tu non hai avuto il coraggio di arrivare.
Non si voltava, non si ritraeva: ballava con quel dolce sconosciuto che cercava le sue attenzioni, ma lui invece pensava a un altro corpo.
Un altro peso, un calore diverso.
Kacchan.
E si accorse di un'altra cosa: mentre la mano dell'altro gli sfiorava la base della schiena: ogni movimento del giovane sconosciuto era come uno sfregare inutile su una pelle che aspettava un fuoco specifico, come se stesse cercando di accendere un incendio con la sabbia.
Allora chiuse gli occhi e provò ad ascoltare il suo stesso battito. Lo sentiva nel petto, nel basso ventre, nelle gambe. Sentiva il sudore che gli colava lungo la schiena. Sentiva i suoi muscoli tesi.
Non per il ballo.
Per l'assenza.
Poi, d'improvviso, una voce diversa.
Un altro tocco, più deciso stavolta. Più... reale.
Una mano gli scivolò sulla spalla nuda, con dita più forti, che si fermarono un secondo prima di scendere verso la clavicola.
Un sussurro, basso, diretto all'orecchio, le parole non sembravano davvero importanti.
Era il tono. Quel tono.
Quello che gli fece accapponare la pelle del collo e rabbrividire, ma non per disagio.
Perché quel tono lo sentì davvero.
Finalmente!
Aprì appena gli occhi, il respiro gli cambiò.
Per un istante, gli sembrò che tutto il resto svanisse. La musica, le voci, il ragazzo di prima.
Tutto.
Come se il suo corpo avesse riconosciuto qualcosa.
Però... non si voltò subito, restò fermo, teso, pronto.
Quasi... sperando che fosse lui.
Che fosse Kacchan.
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