Persuasione e Verità 🔞
Originariamente pubblicata in data 29/06/2012.
> Personaggi: Klaus, Katerina
> Note: missing moments
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Katerina stava versando il caffè quando sentì la porta aprirsi. Non era necessario farsi trovare all'ingresso né domandarsi chi fosse: i suoi sensi da vampiro l'avevano avvertita già da qualche minuto.
– Klaus – disse, senza voltarsi – bentornato. –
– Ho bisogno di bere. –
– Anch'io sto bene, grazie. – Si voltò verso di lui, visibilmente scuro in volto, e gli porse la tazza. – Caffè? –
Klaus la fissò per qualche istante, poi le si avvicinò lentamente, afferrò la tazza e la posò sul bancone.
– Cos'hai fatto? –
– Il caffè. Che altro avrei dovuto fare? – rispose lei con tono ovvio.
Si chiese se avesse già scoperto che Damon le aveva dato la verbena. Non poteva essere più soggiogata, anche se non era libera dagli ordini ricevuti prima di berla, ma Klaus passava quasi tutto il suo tempo fuori casa per organizzare il rito, incontrare i suoi fedeli o minacciare gli amici di Elena, quindi Katerina non si era preoccupata molto di dover fingere con lui.
Anche se continuava a terrorizzarla con la sua sola presenza.
– Il caffè non basta – disse lui un paio di minuti dopo.
Le labbra di Katerina si tesero in un piccolo sogghigno, che era diverso dai sorrisi sinceri e ingenui che aveva rivolto al vampiro quando era ancora umana.
– Allora so cosa ci vuole – si mosse a suo agio nella cucina dell'appartamento di Alaric e aprì lo sportello di un pensile alto. – Ho trovato la scorta del nostro hunter. –
Si voltò verso Klaus, mostrandogli orgogliosa due bottiglie non ancora aperte di tequila. Klaus, in silenzio, le si avvicinò e ne afferrò una.
– Vieni, Katerina – annunciò dandole le spalle – bevi insieme a me. –
Lei si chiese se fosse sicuro, ma non poteva sottrarsi ai suoi ordini, espliciti o impliciti che fossero, così si sedette accanto a lui sul divano e aprì la propria bottiglia.
– Beh – fu la prima a parlare – cos'è successo oggi di tanto catastrofico? –
Nonostante i loro trascorsi, Katerina, eccetto i membri della sua famiglia, era la persona che meglio lo conosceva. Tra loro c'era una certa confidenza che nessuno poteva vantare di avere.
– Nulla di cui valga la pena parlare – tagliò corto lui.
Doveva essere qualcosa di davvero brutto o deludente, dedusse, per farlo reagire in quel modo. Bere insieme a lui poteva essere pericoloso: in preda all'alcool, Klaus avrebbe potuto restituirle la libertà. O ucciderla.
Valeva la pena tentare, ribadì la vampira mentalmente, osservandolo bere un altro sorso. Decise quindi di provocarlo.
– Facciamo un gioco. –
Lo sguardo che lui le rivolse non prometteva niente di buono.
– Andiamo, Klaus... ti aiuterà a sfogarti e lasciarti alle spalle qualunque cosa ti abbia messo di cattivo umore. – Mentre lo diceva inclinò il capo quel tanto che bastava per farsi scivolare davanti una ciocca di capelli.
Osservò Klaus seguire quel movimento con gli occhi e ne gioì: quel trucco funzionava sempre.
– E sia. – Lo vide alzare la bottiglia come per brindare a qualcosa. – Che gioco vuoi fare? –
– "Io non ho mai". Sicuramente lo conosci. – sorrise lei, alzando il braccio per brindare.
Il vampiro accennò una risata e alzò gli occhi al cielo. – È un gioco ridicolo. Serve solo per ubriacarsi senza motivo. –
– E cosa c'è meglio di una bella sbornia per dimenticare i problemi? – si accostò di nuovo a lui, questa volta piegandosi appena in avanti, senza mai spostare gli occhi dai suoi.
– Non saremo mai del tutto ubriachi, lo sai. – Klaus sembrava divertito; si adagiò comodamente sul divano, allungando le gambe e scivolando in avanti di qualche centimetro, la testa poggiata sullo schienale.
Lei alzò le spalle. – È sempre meglio di niente. –
Si voltò verso di lui, una gamba piegata sotto di sé e l'altra lunga vicino alle sue.
– Io non ho mai... tinto i miei capelli –ridacchiò.
Klaus inarcò le sopracciglia – Neanche io. –
– Ma hai usato i corpi di altre persone. Equivale a una tinta – precisò la vampira. – Quindi... ti tocca bere. –
Scuotendo il capo e sentendosi fin troppo ridicolo, Klaus si portò la bottiglia alle labbra e bevve, poi tornò a fissare la sua ospite.
– Io non ho mai giocato con il cuore di due sorelle. – Era un chiaro insulto al comportamento che Katerina aveva avuto con Damon e Stefan. – Sentimentalmente, intendo. –
– Questa è buona – ammise lei. – Un punto per te e un sorso per me. –
Distolse per pochi attimi lo sguardo dal vampiro, ma sentiva comunque di essere osservata da lui. Di sicuro non si fidava di lei e contava sulla sicurezza di non poter raggiungere uno stato di ebbrezza tale da non capire più nulla, ma era ovvio che stesse comunque molto attento a ciò che diceva.
– Io non ho mai strappato cuori dal petto della gente – propose Katerina.
Lo sguardo incredulo di Klaus quasi la offese. – Quella è la tua specialità, non la mia. Preferisco ancora i paletti. –
– Concesso – lui alzò le mani e, continuando a fissarla, bevve ancora.
Dopo circa mezz'ora di "Io non ho mai" fin troppo allusivi, entrambi i vampiri si sentivano piuttosto allegri. Klaus si era rilassato e aveva riso di gusto per un paio di proposte ridicole di Katerina, mentre lei era perfettamente a suo agio, libera dal terrore, dalla paura e senza più pensare alla situazione in cui si trovava: sequestrata da Klaus e parzialmente sotto il suo controllo.
– Allora... – disse lei, ridendo, in piedi sul divano e senza essersi curata di scendere dai suoi amati tacchi a spillo – ...io non ho mai... visto Disneyland Paris! – esclamò, piuttosto su di giri.
Klaus, divertito, la squadrò dal basso. – A Parigi ci sei stata, però. –
– Sì, ed è beeellissima... l'adoro. È romantica, sai? –
Non si sentiva perfettamente in equilibrio, così si inginocchiò accanto al suo sequestratore e si avvicinò pericolosamente al suo viso. – E io so che tu ci sei stato, a Disneyland Paris. –
Probabilmente Klaus provava molta vergogna per ciò, ma lo ammise: ebbene sì, era andato in un posto del genere.
– Rebekah insistette così tanto che ce la portai per non dover più sentire le sue lamentele sulla mia crudeltà di fratello maggiore. –
La sua bottiglia era quasi finita, così come quella di Katerina. La vampira continuava a stargli vicina.
Molto vicina.
Forse troppo.
– Io non ho mai rivelato di essere un abile giocatore di Poker. –
Lei lo fissò con espressione corrucciata. – Ma non ha senso. Io non ci so giocare a Poker. –
– Allora beviamo al nonsense di tutto ciò. –
Le sembrava così familiare vederlo rilassato, come se fossero tornati indietro di cinquecento anni, quando lei era ancora umana e non sapeva nulla del rituale e quando lui la intratteneva con balli sontuosi ogni giorno. Alle feste che organizzava era sempre presente, ma non onorava quasi mai le promesse di passare delle giornate insieme a lei.
Katerina adorava le sere in cui la tenuta di Lord Niklaus si riempiva di persone, perché sapeva che lui avrebbe presenziato senza deludere i suoi ospiti.
Un velo di tristezza le adombrò il viso.
– Io non ho mai rivelato i sentimenti che provavo per una persona. –
Sgranò gli occhi subito dopo aver detto quelle parole e provò un imbarazzo indescrivibile per l'espressione che vide sul volto di Klaus.
Nessuno dei due parlò né si mosse. Il silenzio era ancora più molesto di quella confessione, perché sapeva che lui avrebbe colto il riferimento al loro passato.
"Klaus vive solo secondo le sue regole, Katerina."
"Non capisco perché mi corteggi. Sembra che non abbia davvero interesse per me."
"Tante unioni sono state costruite su molto meno."
"È sbagliato volere di più?"
Scosse la testa e spostò lo sguardo altrove, tenendo Klaus al di fuori del suo raggio visivo.
Non poteva né voleva guardarlo in quel momento, non con la voce di Elijah che, in qualche modo, la metteva in guardia da suo fratello; non con il ricordo della sua stessa voce che diceva di desiderare di più da lui, da quell'uomo misterioso e affascinante che le aveva rubato il cuore.
Non disse altro e si portò la bottiglia alle labbra, ma la mano di Klaus sul suo polso la bloccò. Un brivido la scosse.
– Mi hai incuriosito. –
Riconobbe la serietà del suo tono.
– Ah sì? –
Ancora, non voleva guardarlo.
– Hai professato il tuo amore per i fratelli Salvatore. Mi domando... – senza lasciare la presa sul suo polso, Klaus si portò avanti col busto fino ad affiancare il viso di Katerina col suo – ...chi sia la persona a cui non hai mai rivelato i tuoi sentimenti. –
Era difficile non voltarsi verso di lui, ma non voleva leggere lo scherno nei suoi occhi. Essere presa in giro era l'ultimo dei suoi desideri.
– È una storia vecchia. –
– Quanto vecchia? –
Il bastardo si divertiva a infierire. Beh, la cosa di certo non poteva sorprenderla.
– Così vecchia che ormai non ha più importanza. –
Tentò nuovamente di bere, ma la presa del vampiro si fece ferrea.
– Guardami. –
Non si mosse.
– Ho detto: guardami. È un ordine. –
Katerina si chiese se si fosse già accorto che aveva in corpo abbastanza verbena da non subire più nuove manipolazioni mentali. Decise che non voleva scoprirlo, né in quel momento né mai. Aveva solo bisogno di un suo momento di distrazione, da ubriaco possibilmente, per approfittarne e riconquistare la propria libertà.
Una voce dentro di sé, però, la voce della consapevolezza, le diceva che un momento simile non sarebbe mai arrivato se non fosse stato lui a volerlo.
Lenta, si voltò e trovò il viso del vampiro a poca, pochissima distanza dal suo.
– Come mai non ti sei mai dichiarata? –
Si chiese quanto a lungo intendesse torturarla.
– Non ne ho mai avuto l'occasione. Era una persona piuttosto sfuggente. –
– Tanto da non poterci parlare con calma? –
Anche da brillo, Klaus doveva dimostrare di essere superiore, che fosse necessario o no.
– Per certe cose serve la giusta atmosfera, e noi... io non l'ho avuta. –
I secondi di silenzio che seguirono furono, di nuovo, piuttosto imbarazzanti per lei. Cosa doveva dire? Confessargli i suoi sentimenti lì, nell'appartamento di Alaric Saltzman, con due litri di tequila in corpo?
– Forse non era necessario cercarla. –
– È una storia vecchia e non ho mai avuto l'occasione giusta, te l'ho detto – rispose in tono piccato: voleva fargli capire di smetterla senza doverglielo dire apertamente, o si sarebbe di sicuro infuriato.
– Avresti voluto farlo? –
– Perché insisti tanto? – chiese invece. – Sono passati troppi anni, sono una persona diversa da allora e ho spento la mia umanità. Non ha senso parlare di certe cose. Non le capiresti comunque. –
Sentì la mano di Klaus allentare la presa sul suo polso e questo le permise di alzare la bottiglia e finire quel poco di tequila che era rimasta; poi la posò accanto ai suoi piedi.
– Ho finito la tequila. Non posso più giocare. –
Stava facendo marcia indietro.
– La mia non è finita. –
Una lieve risata nervosa le mosse le piccole spalle. – Non bevo dalla tua bottiglia. –
– Ti sei pentita? –
– Di cosa? – non capì la domanda. – Di aver finito la tequila? –
– Di non aver mai parlato. –
Era chiaro ciò che Klaus voleva da lei: una confessione, l'ammissione di una debolezza umana, della sua debolezza che l'aveva resa cieca ai numerosi indizi sulla vera natura dell'uomo che amava.
– Un po' – decise di essere sincera, rassegnata, ormai, alla sconfitta morale. – Ma la cosa più difficile è stata combattere con quei sentimenti. Amare qualcuno che non ti ama è frustrante. –
Non comprese lo sguardo che ricevette in risposta da Klaus. Sembrava pensieroso, brillo ma abbastanza in sé da riflettere su quelle parole.
Klaus sapeva benissimo di essere l'oggetto dei sentimenti di Katerina, l'aveva sempre saputo, ma aveva deliberatamente deciso di ignorare la cosa e questo pensiero, nel corso degli anni, era diventato fastidioso per lei: si sentiva stupida.
Dapprima Klaus era stato concentrato sul rituale, poi sulla vendetta per la sua fuga prima che si sapesse dell'esistenza di Elena... ora che era di nuovo nelle sue mani, si disse Katerina, cosa gli impediva di ucciderla?
Dubitava che lui avesse preso in considerazione l'idea di lasciarla libera.
Non era stata torturata e non era lei il vampiro destinato a morire: perché Klaus la teneva con sé, senza farle realmente il male che le aveva promesso?
– Forse quel momento è arrivato. –
– Cosa... –
Ma Katerina non finì la frase. Veloce come solo un vampiro poteva essere, Klaus l'aveva spinta sul divano e si era steso su di lei, intrappolandola sotto il suo corpo e impedendole di parlare con un bacio.
Capire quello che stava accadendo fu difficile per lei, travolta dai sentimenti che volevano uscire dalla gabbia in cui li aveva rinchiusi e colta alla sprovvista dalle domande e dai gesti di Klaus.
Labbra.
Bacio.
Klaus.
Forse era troppo ubriaca, o forse era lui a esserlo, ma quando ebbe di nuovo la bocca libera per parlare, sentì di non avere più parole di senso compiuto da dire. Non una domanda, neanche un insulto o un'offesa, un attacco, qualsiasi cosa.
Zittire con un bacio: lui l'aveva fatto decisamente bene.
– Lascia andare i tuoi sentimenti, Katerina. – Le disse con lo sguardo carico di un desiderio che mai le aveva mostrato prima d'ora. – Io farò lo stesso. –
Non attese risposta da parte della vampira e scese nuovamente su di lei, stavolta senza coglierla impreparata. A Katerina sembrò che Klaus non fosse del tutto sicuro di quel gesto, come se non sapesse che reazione aspettarsi da lei.
Se quel primo bacio consapevole poteva essere definito vagamente dolce, ciò che ne seguì non poteva in alcun modo godere della stessa definizione.
Era puro fuoco.
Katerina non oppose resistenza quando Klaus si fece esigente, anzi: lo assecondò volentieri. Cinquecento anni di attesa, forse, erano troppi, così gli lasciò approfondire quel contatto, mentre portava le mani sulla sua schiena.
Non erano mai stati così vicini, neanche quando passeggiavano o parlavano nei giardini dell'immensa reggia che Klaus possedeva nel lontano 1492.
La tequila fece la sua parte, infiammando l'animo della vampira, che spostò le mani dalle spalle di Klaus ai suoi fianchi, sotto la maglietta grigia che indossava.
La pelle di Klaus.
Si lasciò sfuggire più di un gemito quando lui lasciò le sue labbra per spostarsi sul suo collo, mentre con la mano percorreva il suo fianco, fermandosi al bordo dei pantaloni.
Si tirò su con la schiena, tirando lei su con sé e senza aspettare oltre le sfilò la maglia, lasciandole fare lo stesso con la sua. Riprese a baciarla con passione, ma quando la sentì spingersi in avanti interruppe il bacio e la guardò con estrema malizia.
– Non ti lascio stare sopra, Katerina. Sei pericolosa. –
– Allora non farmi pentire di lasciare che tu stia sopra. –
Klaus non ebbe il tempo di ghignare compiaciuto per quel piccante scambio di battute perché la vampira si buttò di schiena sul divano e gli allacciò le braccia al collo, riprendendo il bacio dove era stato interrotto.
Nonostante i mille anni di vita che si portava sulle spalle, Klaus si stupì di come il corpo di Katerina reagisse al suo tocco e ai suoi baci, e di come lui stesso rispondesse a lei. Probabilmente cinquecento anni di attesa erano troppi anche per lui.
Era come se entrambi fossero mossi da un fuoco che ardeva da così tanto tempo che, ormai, tentare di spegnerlo era diventato inutile.
Il desiderio era troppo forte e troppo intenso per permettere che i due vampiri si prendessero il loro tempo e scoprirsi delicatamente, senza fretta.
Klaus non voleva aspettare. Katerina era stanca di farlo.
Con un gesto quasi stizzito lei si slacciò i pantaloni e li abbassò da un lato in modo fin troppo esplicito. Lui aveva seguito il movimento della sua mano e aveva dovuto ammettere almeno a se stesso che fosse piuttosto eccitante.
Si tirò nuovamente su con la schiena e portò le mani ai propri pantaloni. Vide Katerina sussultare quando li sbottonò.
Si sentì di nuovo in potere, nonostante fosse ben cosciente che, in quel momento, anche lei stava esercitando il proprio su di lui. Era un aspetto a cui, cinquecento anni prima, non aveva affatto pensato: da lei voleva solo il sangue della stirpe Petrova, senza accorgersi che la ragazza era ben disposta a dargli di più.
Molto di più.
Il bacio che seguì quegli istanti fu particolarmente intenso, ma non eccessivamente passionale. Liberò del tutto Katerina degli indumenti che ancora indossava – un completo intimo piuttosto sexy, aveva notato mentre glielo toglieva – e le sfiorò le gambe con una calma e un controllo che fino a quel momento sembrava aver perso.
Lei rabbrividì a quel tocco tanto delicato quanto sensuale e non spostò mai lo sguardo dal suo mentre lo osservava posizionarsi tra le sue cosce.
– Nessun ripensamento. –
Chiuse gli occhi, li riaprì e sorrise. Gli sorrise come aveva fatto secoli prima, quando era ancora umana e lui era solo un uomo affascinante.
– Non ne ho mai avuti. –
Trattenne il respiro e quel momento, per lei, divenne eterno.
A diciassette anni aveva desiderato fare l'amore con l'uomo che amava, sognando un'unione dolce e sentimentale.
A più di cinquecento anni passati aveva conosciuto abbastanza uomini da sapere che quasi nessuno di loro era dolce e sentimentale.
Ma Klaus... lui era tutto. Era tutti gli uomini e nessuno di essi allo stesso tempo. Era crudele, ma il suo tocco era gentile. Le sue mani sapevano torturare a morte una persona o far rabbrividire di piacere una donna fino all'alba.
Katerina aveva conosciuto il dolore e la tortura. Ora Klaus le stava mostrando che tipo di uomo poteva essere. Ed era tutto ciò che lei, in cuor suo, aveva sempre desiderato.
Niente violenza né inganno o tortura, niente meschinità o trappole: lei era del tutto sincera con lui e lui lo era con lei.
Il ritmo che Klaus impartì fece ben presto girare la testa alla vampira, che non perse tempo e lo assecondò andando incontro alle sue spinte con i fianchi. Lui riprese a baciarla e divorò ogni gemito che le sue labbra si lasciavano sfuggire.
Lei gli graffiò la schiena con le unghie e si inarcò per avere un maggior contatto con il suo corpo, scoprendolo una nuova droga, qualcosa di cui, ne era sicura, non avrebbe più potuto fare a meno.
Con una mano gli accarezzò il viso, delicatamente, poi scese sul suo petto e lo graffiò, in preda al piacere. Interruppe il bacio per gettare la testa indietro e lui ne approfittò per portare nuovi brividi alla sua amante, baciando e leccando la sua pelle.
Quando Klaus cercò maggior profondità, lei gliela concesse senza esitazione e gli allacciò le gambe ai fianchi. Scoprì che quel gesto gli piaceva e strinse di più. Poi sentì una sua mano sfiorarle la schiena e fermarsi sulla gamba, che strinse con forza, senza tuttavia farle male, e lei pensò che non avrebbe più resistito a tutto quello.
Sentì che si sarebbe totalmente arresa a lui, a tutto ciò che le faceva provare, ai suoi baci, al suo tocco, alle sue mani e ai suoi fianchi, che spingevano imperiosi contro di lei, con un ritmo lievemente diverso ma che la fece del tutto impazzire.
– Klaus... –
Non si accorse nemmeno di aver pronunciato il suo nome. Allungò una mano verso il suo viso, gli graffiò il petto con l'altra e lasciò che lui prendesse ciò che ancora non aveva preteso da lei, ma che gli apparteneva da troppo tempo.
La sua anima.
Non le importava di mostrarsi debole, indifesa o impreparata: era umana. In quel momento sentiva di avere diciassette anni e tutti i sentimenti che aveva forzatamente represso tornarono prepotentemente in superficie, investendo lei e l'uomo a cui erano destinati.
Quanto tempo fosse passato, nessuno dei due lo sapeva né se ne curavano. Il viso di Klaus sembrava del tutto sereno, posato sul petto di Katerina, che aveva un'espressione da tempo dimenticata, una luce antica nello sguardo.
Aveva premuto il bottone dei suoi sentimenti e questi l'avevano soffocata. Aveva permesso a essi di sopraffarla e di mostrarsi anche al suo carnefice, perché Klaus era questo: un carnefice che giocava con le sue vittime e si divertiva a vederle in preda alla disperazione.
Ma quella sera era tutto diverso, il tempo si era fermato ed era impazzito insieme a loro; gli elementi si erano mischiati, creando una nuova essenza che da tempo aveva bisogno di vedere la luce.
Katerina non pensò mai che Klaus provasse davvero qualcosa per lei. Era presuntuosa ed egocentrica, ma non così tanto, non con lui, che era la sua sfida eterna e preferita, il burattinaio da cui scappava, ma da cui non poteva fare a meno di tornare.
– Continuerò a darti la caccia. –
Il respiro di Klaus si infranse sulla sua pelle.
– E io continuerò a osservarti e scappare. Fra altri cinquecento anni, forse, mi prenderai di nuovo. –
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