You were my compass star, you were my measure

Forse non l'ho fatto per mio padre. Forse quello che volevo dimostrare era che riuscivo a cavarmela e guardandomi allo specchio, avrei visto qualcuno che valeva...
~ Fa Mulan ~





Sherrard Hill Creek,
confine Wyoming/South Dakota
Ottobre 1865





Ezra McCloud stava imprecando con un piccone in mano.

Un metro e ottanta di muscoli e birra, faccia bruciata dal sole, barba incolta e capelli disordinati. Il tutto chiaramente sconfitto da un misero buco nella roccia.

Accanto a lui, gli ultimi candelotti di dinamite riposavano sotto il suo cappello.
La terra, resa umida dall'acquazzone del giorno precedente, rendeva difficoltoso lo scavare una buca su quella montagna.

Si era sistemato a sud-est, appena al di sopra dello Sherrard Hill Creek, uno canyon stretto ed aspro, unico passaggio sicuro e veloce per tornare a Gillette, in Wyoming, provenendo dal South Dakota, evitando le Black Hills.

Il suo era un piano ben architettato: le cariche esplosive avrebbero dovuto far crollare parte della parete di sud-est ed impedire così alle truppe del Maggiore Sullivan e ai ribelli di Giacca Gialla di aggirare da nord i territori ed aprire la via ai coloni.
Era la loro ultima buona occasione, prima che le nevicate invernali chiudessero i passi e le vie di accesso.

Le Black Hills erano montagne sacre agli indiani e a lui particolarmente care: persi i genitori a causa del vaiolo, venne adottato ed allevato in una tribù di indiani Cheyenne, da cui aveva imparato tutto quello che sapeva sui pellerossa. E ne aveva, una volta adulto, difeso la causa contro il Governo americano.

I bianchi lo consideravano alla stregua di un cane, ma cercavano il suo aiuto quando c'era da portare avanti una qualsiasi trattativa con una delle tribù.

Le notizie di quanto accaduto l'anno prima a Sand Creek l'avevano scosso profondamente ed aveva giurato a se stesso che mai avrebbe permesso il ripetersi di simili atrocità, né da parte degli americani, né da parte dei pellerossa.

Finora i tentativi di ragionare col Maggiore Sullivan si erano rivelati un buco nell'acqua e l'ufficiale cercava in tutti i modi di colpire le popolazioni Sioux che vivevano in Wyoming e che ostacolavano la colonizzazione e lo sfruttamento delle vene aurifere delle Black Hills e dei monti circostanti.

Aveva evitato fino alla fine gli spargimenti di sangue e quello sarebbe stato l'ultimo tentativo: intrappolare i ribelli, i soldati di Sullivan ed un pugno di cercatori d'oro in un canyon sulle Montagne, sbarrando loro la strada con dei massi per farli tornare nel loro avamposto di Belle Fourche, ad un giorno di cammino, per l'inverno.

Ezra McCloud aveva la stoffa dello stratega militare, nei panni di un contadinotto a cavallo.

E mentre arrotolava tra loro i fili per l'innesco delle cariche il suo cervello continuava a lavorare. Lui era la mente della combriccola.

Dal lato opposto del canyon stavano facendo la stessa cosa Derek "Gravedigger" Fuller, un armadio biondo di due metri col vocione ed il passo pesante, e Tom Proctor, il belloccio del gruppo, intelligente quanto un coyote morto.

Ad un tratto qualcosa si mosse in mezzo ai cespugli e agli arbusti bassi del sottobosco.
Ezra lasciò andare la dinamite ed agguantò la pistola dal cinturone.

«Chi è là?», urlò, puntando verso la boscaglia l'arma.

«Hau Natagugu! (Ciao testa riccia)», lo canzonò Black, con quella sua vocetta fastidiosa.

Black era l'indiano della compagnia: un ragazzino di, sì e no, quindici anni, silenzioso come un puma, ma più fastidioso di una pulce!
Ovviamente Black non era il suo vero nome: lo chiamavano così perché nessuno riusciva a pronunciare correttamente Enapay, che in lingua lakota significava "Senza Paura". Ed effettivamente quel nome gli calzava a pennello!

Lo scricciolo indiano, pelle, ossa e voce snervante, era l'ultimo figlio rimasto al capo tribù Takoda. Ed unico suo tormento, a vedere il soggetto.

«Diavolo Black! Vuoi farmi prendere un colpo? – ricacciò la pistola nella fondina – Prima o poi ti attaccherò un sonaglio al collo!».

«Quanto la fai lunga niciye ki!», fece il ragazzino, alzando le braccia al cielo per poi togliersi la tracolla con la borraccia, porgendola all'uomo, prima di accomodarsi a poca distanza.
Il capo banda bevve una lunga sorsata, lanciando poi a terra la borraccia e riprendendo a sistemare le ultime cariche nei buchi scavati.


Black lo osservava, con le gambe incrociate e in silenzio: adorava stare con il suo niciye ki, il suo "fratello maggiore".

I suoi grandi occhi scuri non perdevano un frammento di ciò che stava facendo, sempre vigili e attenti, così come i suoi orecchi.

In un certo senso li aveva giocati tutti, dal primo all'ultimo, compreso il vecchio Owen Newman che li stava attendendo all'accampamento, a due ore di cammino da lì.

Li aveva giocati perché lei si era finta un bloka, un maschio.

Quando Ezra McCloud e i suoi avevano deciso di abbracciare la causa contro le espropriazioni di terre ai Sioux, si erano recati da suo padre Takoda, che, ormai vecchio e privo dell'antica voglia di combattere, aveva concesso loro di portarsi via l'erede, solo per quella spedizione.

Ezra e Takoda non erano vincolati da alcun legame di sangue, ma solo dall'amicizia, dall'onore e dalla giustizia. Ed Ezra era un uomo che non distingueva certo la gente dal colore della pelle, come facevano gli altri visi pallidi.

Li aveva fregati tutti, assieme al vecchio padre: si era unita alla squadra al posto del capo indiano, nel disperato sforzo di evitare una nuova sanguinosa guerra e li aveva ingannati fingendosi l'ultimogenito della famiglia.

Come tutti gli indiani aveva cambiato vari nomi nel corso della sua vita: il primo gliel'aveva dato sua madre, ma suo padre l'aveva nominata Wachiwi, "colei che balla", perché da quando aveva messo i piedi a terra non era mai stata ferma, facendo penare un po' tutti con la sua irrequietezza e la sua testardaggine.

Anpaytoo voleva dire "raggiante", lo stesso nome della madre, morta sei lune addietro. E lo stesso sorriso, a sentire suo padre.

Il vecchio Owen Newman e Gravedigger, appena avevano visto quello scricciolo pellerossa che seguiva McCloud come un cagnolino, le avevano affibbiato il nome di Black, un po' perché quel suo nome Sioux non lo riuscivano proprio a dire e un po' perché era "un nome degno di un cane". Indelicati fin dal principio.

Gravedigger era un omaccione dalle spalle larghe e, contrariamente al suo soprannome, era la persona più buona della compagnia, se lo si sapeva prendere!

Newman era il peso, nel vero senso della parola: così grasso che il suo cavallo faceva fatica a trottare, soprattutto sotto al sole cocente della prateria.


Non erano passati che una decina di minuti dall'arrivo del piccolo Black che, d'un tratto, il rumore di rami spezzati fece indirizzare lo sguardo di entrambi alla boscaglia.

Correndo, li raggiunsero quattro indiani Crow: i ribelli che seguivano gli eserciti americani e di cui erano considerati i mercenari.

Gli occhi dipinti col carbone e le piume scure in testa li rendevano spaventosi alla maggior parte dei cowboys che li incrociavano. Ma ad Ezra McCloud facevano solo schifo.

Uno di loro urlò il tipico grido di guerra, avvicinandosi: Ezra e Black avrebbero riconosciuto anche ad un miglio di distanza la giubba di camoscio, logora, ingiallita dal sole.

Giacca Gialla si fermò e si mise a sparare nella loro direzione, insultandoli in lingua lakota.

«Scappa Black!», ordinò McCloud iniziando a sparare alla cieca contro gli avversari.

Black, indifesa, si lanciò a terra, riparandosi dietro alcuni sassi, ancora però troppo esposta agli spari.

Ezra riuscì a colpire al petto uno dei quattro e a ferirne alla gamba un altro, mentre Giacca Gialla, chinandosi per sfuggire i proiettili e sfidando la sorte, si avvicinava pericolosamente a loro.

Black teneva le mani sulle orecchie, la faccia pigiata a terra: non aveva ancora imparato a sparare bene e Crawford si era sempre rifiutato di insegnarle a tenere in mano un ferro, come lo definiva lui. Adesso, uno di quegli arnesi sarebbe stato certo d'aiuto al suo fratello maggiore.

Nella confusione e con il cuore che batteva forsennato nel petto, Black si fece forza e strisciò accanto ad Ezra, per raggiungere il pesante piccone ed usarlo come arma.

Cacciò un grido roco e si lanciò contro l'altro compagno di Giacca Gialla, evitando miracolosamente il fuoco incrociato.

Con uno sforzo, per lei quasi disumano, riuscì a sollevare l'attrezzo e a colpire al braccio il Crow, disarmandolo e facendolo cadere a terra, mettendosi poi a cavalcioni sopra di lui, tempestandogli la faccia di pugni: pareva una piccola furia che menava a casaccio, più in preda alla propria paura che detentrice di una reale forza che fosse in grado di mandare a terra un uomo.

Dall'altro lato del campo di battaglia, McCloud e il capo Crow si erano trovati senza proiettili ed avevano iniziato a lanciarsi la terra come diversivo e ad usare le mani come armi.

Pericolosamente vicini al canyon.

Un rumore di zoccoli e uno sparo fecero trasalire Black: Crawford, in sella al proprio cavallo, aveva colpito e ucciso l'indiano ferito poco prima da Ezra, che stava strisciando alla schiena di Black per colpirla.

Jared Crawford era il pistolero più veloce del Wyoming. O almeno così amava definirsi lui. E, talvolta, l'appellativo era più che meritato.

Quando Giacca Gialla si accorse del rinforzo e della fine misera che stava per fare, con un ultimo sforzo, si lanciò di peso contro l'avversario bianco, ancorandosi alla sua vita e trascinando con sé nel vuoto, oltre il precipizio.

«McCloud!», urlò Crawford, scendendo al volo di sella ed affacciandosi al dirupo: dei due combattenti non vi era traccia né sulle rocce né nel fiume sottostante.

Anche Black si precipitò, urlando in lakota: fu trattenuto a stento dal pistolero, che imprecava, implorandole di stare calmo.

«Cristo santo Black! Smettila! È finita! Vieni via!».

Ma Black si dimenava troppo, anche per uno come Jared Crawford, tanto che il piccolo indiano riuscì a sfuggirgli dalla presa e a lanciarsi anch'egli dritto oltre il bordo del canyon.

Il pistolero si affacciò, urlandone il nome più volte, vedendo scomparire lo scricciolo indiano inghiottito dalle acque del fiume. Rimase attonito, la bocca a formare un cerchio quasi perfetto.

Si tolse il cappello, arruffandosi i capelli biondo cenere e grattandosi i baffi con una nocca.

«Bel casino McCloud...bel casino...».





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A.A.A. ANGOLO AUTRICE

ma ciao Topolini! ❤️

ok-ok!
non è una fan fiction e non c'è Dabi (ahimè!)
ma è un piccolo esperimento pre-vacanziero

perchè in realtà sto "preparando il terreno" per ben altro (stay tuned)!

...come avrete avuto modo di vedere nelle altre mie storie io adoro inserire piccoli elementi di lingua e fare piccole ricerche mirate.
Spero che questa cosa piaccia (la ritengo un po' mia, come se fosse distintiva di ogni storia) e che spinga la curiosità di chi legge - e a sua volta scrive - verso nuovi orizzonti, nuove culture, nuove cose da scoprire...nuove sfide!

Quindi fatemi sapere che ne pensate (stelline e commenti ben accetti sempre eh!).

Vi lascio così...con taaaanta suspense!

alla prossima 😘

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