ix. tra cioccolato e scintille

*LEGGETE L'ANGOLO AUTRICE A
FINE CAPITOLO! È IMPORTANTE!*

C A R L O S

Non si sarebbe mai più lamentato delle faccende domestiche per sua madre.

Il professor Martin gli aveva fatto pulire tutte le aule del corridoio. E con "pulire", intendeva proprio pulire. Aveva spazzato, lavato e dato la cera al pavimento, buttato litri d'acqua su ogni lavagna presente, e scrostato banchi e cattedre da ogni gomma o altre sostanze non identificate attaccate al di sotto. Aveva addirittura dovuto pulire le finestre.

L'uomo doveva aver preso veramente sul serio la faccenda del "i Cattivi preferiscono la notte al giorno", perché Carlos tornò in camera sua solo alle sei e mezza del mattino.

Jay stava ancora russando, steso sul letto, ma il sole già filtrava dalle grandi finestre della stanza, attraverso le pesanti tende scure.

Il figlio di Crudelia si buttò a peso morto sul materasso, sfinito. Non avrebbe mai immaginato che gli abitanti di Auradon potessero essere così poco attenti all'igene delle classi. Anche se lui non poteva proprio parlare, venendo da un posto come l'Isola degli Sperduti. Lì gli studenti potevano anche fare lezione appoggiati ad un banco diviso a metà.

Non riuscì a capire per quanto i suoi occhi restarono chiusi, nella vana ricerca del sonno, ma sicuramente non molto, in quanto fu lui il primo a sentire la sveglia.

Grugnì, girandosi su un fianco e allungando una mano verso l'oggetto infernale. Era orribile che ogni dormitorio ne avesse già una pronta sul comodino. Gli studenti da quelle parti desideravano così ardentemente alzarsi presto la mattina? Insomma, a lui piaceva la scuola, ma a casa sua poteva arrivare all'orario che preferiva e nessuno gli diceva niente! Anzi, molto spesso erano gli stessi professori ad arrivare in ritardo.

Ma, almeno, quella mattina 101 Rimedi di Bontà non compariva nell'orario del giorno. Forse avrebbe anche potuto divertirsi.

Con un sospiro, iniziò a cambiarsi.

Non sapeva che anche quella giornata sarebbe stata più lunga del previsto.

•✵•

Doveva proprio avere un aspetto orribile.

Nei corridoi, gli studenti lo evitavano come la peste, o almeno più del solito. Era solo il suo terzo giorno ad Auradon e già nessuno si fidava di lui.

Come biasimarli — pensò Carlos — se sull'isola da un giorno all'altro fosse arrivato un gruppo di Buoni, anch'io non li avrei adocchiati in maniera molto simpatica.

Ciò non toglieva che si sentiva leggermente in imbarazzo a dover camminare con i suoi vestiti in pelle, e pieni di borchie, quando tutti intorno a lui erano pieni di seta, cotone, e gioielli luccicanti. Si sentiva come un pesce fuor d'acqua.

Per non parlare dei colori. Tutto lì era caratterizzato da colori accesi e delicati, incredibilmente diversi da quelli spenti e cupi che ricoprivano l'isola. Quando lì gli alberi erano spogli e grigi, qui erano verdi e rigogliosi. Lì tutti si vestivano con palette di tonalità scure, come verde smeraldo, rosso sangue, o blu notte, qui i colori pastello e le sfumature accese come il blu elettrico dominavano la scena. Persino il sole era più giallo che a casa sua.

Sembrava quasi che anche l'ambiente disprezzasse i Cattivi, e preferisse dare il meglio di sé solo con i Buoni.

Carlos alzò gli occhi al cielo, vedendo l'ennesimo cespuglio pieno di fiori colorati dalla finestra. Era seccante e ingiusto.

Pochi minuti dopo arrivò all'aula dove si teneva la prima lezione del giorno: Scienze Forestali Incantate. Sospirò. Almeno avrebbe trovato un modo di tirarsi su il morale, e anche di mettere da parte la stanchezza che si sentiva addosso.

La classe era quasi vuota, e i pochi studenti che erano già arrivati parlottavano tra loro appoggiati al davanzale della finestra. Non appena Carlos passò per la porta, però, le voci si ammutolirono e, contò il ragazzo, cinque teste si spostarono verso di lui. Naturalmente tra queste doveva esserci anche quella di Esme. Naturalmente.

Non fece caso all'occhiata curiosa che la principessa gli lanciò, mentre andava a sistemarsi in uno dei banchi in fondo all'aula, come sempre.

Tra le tante cose che aveva nel suo zaino, tirò fuori anche un foglio con sopra scritto il progetto per una sua nuova invenzione. Solo che per questa specifica, l'ingegneria non c'entrava niente. Più che altro era un invenzione... chimica. Un nuovo composto creato da lui che mai si era visto prima. Almeno sull'isola.

Non appena aveva esposto l'idea a Mal, lei aveva subito accettato, dicendogli che era un genio (il che diceva tanto), e che avrebbero potuto usarla per prendere la bacchetta in un secondo momento.

Carlos era andato fuori di testa all'idea che, per l'ennesima volta, una sua creazione sarebbe riuscita lì dove la magia falliva.

Finalmente la boccetta che Jay aveva rubato sull'isola, e che poi aveva dato a lui, avrebbe fatto il suo lavoro.

«Ehi».

Una voce alle sue spalle lo fece saltare in aria, e nascondere in tutta fretta il foglio nella sua cartella.

«EHI!» rispose, forse troppo forte, quando davanti a lui vide gli occhi neri della figlia di Esmeralda. Lo stava scrutando con un sopracciglio alzato, e l'ombra di un sorriso sul volto.

«Dimmi una cosa: è un'abitundine dell'isola reagire in questo modo ogni volta che qualcuno di approccia?».

Per la prima volta, fu Carlos a lanciarle un'occhiataccia.

Esme alzò le mani in segno di resa, per poi sedersi accanto al figlio di Crudelia, il quale guardò il tutto con la mandibola che toccava terra.

La stessa ragazza che odiava lui e i suoi amici, se non tutti i Cattivi, che era stata continuamente a schifarli, e per cui lui aveva una cotta, si era appena seduta al suo fianco. Nello stesso banco. E la classe era mezza vuota.

Carlos si diede un pizzicotto al polso per assicurarsi di non stare sognando.

«Quindi . . .».

Quando la sentì continuare a parlare, sollevò di scatto la testa per guardala. Non si sorprese nel vedere che invece lei fissava un punto davanti a sé. Era incredibile che non riuscisse neanche a guardarlo negli occhi.

Si chiese perché allora gli stesse parlando. Si trattava di qualche stupido scherzo che voleva fare con i suoi amici? Una qualche sfida idiota?

«Alla fine non mi hai detto com'è . . . sai . . . l'isola».

Carlos innarcò un sopracciglio, sospettoso.

«Pensavo che non lo volessi sapere veramente».

La principessa sembrò rabbrividire al solo suono della sua voce, ma poi, dopo un colpo di tosse, sussurrò: «Sono solo curiosa . . .».

Il ragazzo fece per ribattere, ma il suono della porta d'ingresso che sbatteva, gli fece richiudere la bocca.

«Ognuno ai propri posti, prego».

Il professor Dalay, insegnante di chimica e biologia, entrò trascindando le sue scarpe perfettamente lucidate sul pavimento, gettando poi la sua cartella sulla sedia accanto alla cattedra.

»Oggi inizieremo con lo studio nei minimi dettagli della tavola periodica».

Non appena queste parole uscirono dalla bocca dell'uomo, Carlos saltò sulla sua sedia, iniziando a battere le dita sul banco tutto eccitato. Al contrario, vide Esme al suo fianco emmetere un verso di esasperazione per poi portare la testa all'indietro.

Il figlio di Crudelia ridacchiò sommessamente.

«Non ti piace proprio scienze, vero?».

Lei si alzò leggermente dalla posizione scomoda in cui si trovava, per poi scuotere la testa a mo' di no.

Carlos era il suo completo opposto da questo punto di vista. La tavola periodica degli elementi era tutta la sua vita. Lo rendeva felice e tranquillizzava in un modo incredibile. A volte, quando si trovava sotto stress, incominciava a mormorarla sottovoce, e solo così riusciva a calmarsi.

«Chi sa dirmi il primo elemen—».

«Idrogeno, peso atomico: 1,008 u».

Tutta la classe, compresa Esme, si voltò a guardare il figlio di Crudelia, che invece stava scarabocchiando distrattamente sul suo quaderno. Non aveva neanche lasciato finire il professore.

Proprio quest'ultimo, non essendosi aspettato la risposta (specialmente da un Cattivo), rimase imbambolato per un attimo.

Ma poi raddrizzò la schiena, lisciandosi con le mani la camicia che indossava.

«Visto che sembri sapere così tanto sull'idrogeno, che ne dici di continuare, e dirci anche gli altri elementi, Carlos?».

La classe ridacchiò, mentre Esme adocchiò il professore ad occhi spalancati, alzandosi in piedi: «Cosa? Non è giusto! È impossibile che sappia tutt—».

«Elio, peso atomico: 4,003 u» Carlos iniziò ad elencare tutti gli elementi uno dopo l'altro. Non si era fatto intimorire dall'affermazione del professore, né dalle risatine idiote della classe. «Litio, peso atomico: 6,941 u. Berillio, peso atomico: 9,012 u. Boro, peso atomico: 10,81 u. Carbonio, peso atomico: 12,01 u. Azoto, peso atomico: 14,01 u. Ossigeno, peso atomico: 16 u. Fluoro, peso atomico: 19 u. Neon, peso atomico: 20,18 u. Sodi—».

«PUÒ BASTARE!».

Carlos alzò lo sguardo dai suoi fogli, solo per incontrare quelli di una ventina di studenti che lo osservavano senza parole. Esme era ricaduta sulla sua sedia, e lo guardava a bocca aperta e con un gigantesco sorriso sulle labbra.

Il figlio di Crudelia rivolse uno sguardo al professore, scrollando le spalle: «Mi ha detto lei di dire il resto».

Per tutto il continuo della lezione nessuno si permise più di dire qualcosa a Carlos, che invece se ne stette tutto il tempo con la testa piegata sul suo quaderno, impegnato a scrivere appunti per il suo composto.

Quando la campanella suonò, però, sia lui che Esme vennero fermati dal professore.

Il ragazzo rivolse un'occhiata interrogativa alla principessa, che però gli rispose con la stessa identica espressione.

«Essendo che tutti, prima, abbiamo notato quanto Carlos . . .» e adocchiò il diretto interessato, anche se con uno sguardo freddo e diffidente. «. . . sia bravo in questa materia, e che tu Esme . . .» la principessa sbuffò, incrociando le braccia al petto. «. . . non sei proprio la mia studentessa migliore . . .».

Carlos dovette soffocare un sorriso, sentendo l'ennesimo rumoroso sbuffo uscire dalle labbra della ragazza.

«. . . ho deciso che d'ora in poi voi due lavorerete insieme».

«Cosa?!».

Il figlio di Crudelia si portò due dita alle orecchie, nel vano tentativo di alleviare la potenza del grido che la principessa aveva appena rilasciato.

Capiva di essere un Cattivo, e che lei era una Buona, ma erano veramente necessarie tutte queste scenate?!

«Io . . . noi . . . lui . . .». Continuava a ripetere queste tre parole come se non ne conoscesse altre. I suoi occhi nero pece erano fissi in un punto imprecisato davanti a sé, mentre le sue sopracciglia erano sparate verso l'alto.

Carlos dovette ammettere di essersi sentito un po' offeso. Questa ragazza, da quando era arrivato, lo stava trattando come se le avesse ucciso l'animale domestico. Se non peggio- pensò.

Ma alla fine, non volendo ascoltare la risposta della principessa, sicuramente negativa, disse semplicemente: «Per me va bene».

Poco prima di uscire dalla stanza, rivolse un'occhiata ad Esme. In qualche modo voleva cercare di comunicarle tutto quello che non poteva, o non voleva, esprimere a parole. Tutta la tristezza, la rabbia, il disgusto, l'ira, e anche qualcos'altro che neanche lui riusciva bene a capire. Voleva farle capire che anche lui la odiava, solo in maniera diversa. La odiava per averlo trattarlo così, per aver trattato i suoi amici come se fossero una malattia, per rispecchiare gli esatti stereotipi di Auradon che lui aveva imparato a disgustare. Che l'ambiente dov'era cresciuto gli aveva insegnato a disgustare. La odiava perché con lei tutto sembrava diverso, perché con lei non riusciva a rimanere lucido, perché lo faceva comportare in modi che non voleva. Perché gli faceva provare cose che non voleva.

E soprattutto perché gli aveva fatto piacere tutto questo. Perché non poteva più farne a meno, e lo sapeva bene. Qualcosa dentro di lui gli diceva che sarebbe stata tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. E lui odiava questi pensieri. Odiava lei. Solo che non era vero.

La figlia di Esmeralda ricambiò l'occhiata, solo per sobbalzare e poi abbassare gli occhi dopo un paio di secondi. Persino il professore non rivolgeva a nessuno dei due uno sguardo. L'aula era calata nel più assoluto silenzio, gli unici suoni che si udiavano erano i pochi chiacchiericci di alcuni studenti ritardatari.

Vedendo la reazione della ragazza, una risatina amara uscì dalla bocca di Carlos, che senza rivolgere una parola a nessuna delle due persone accanto a lui, uscì fuori dalla classe sbattendo la porta dietro di sé.

•✵•

Un'altra giornata di scuola era passata, e Carlos non vedeva Esme dal loro incontro di quella mattina a lezione di chimica.

E odiava una parte di sé per aver sperato che si reincontrassero. O che perlomeno la figlia di Esmeralda si facesse viva in qualche modo.

Ma ovviamente non era successo.

Niente. Non uno sguardo, un incontro fortuito, un messaggio sotto la porta del dormitorio. Niente. Assolutamente niente.

A quanto pareva era un illuso. Come aveva potuto anche solo pensare che un Auradoniano volesse passare del tempo con lui. Un Cattivo.

Per sollevarsi il morale aveva deciso di fare una scappatina nelle cucine. Niente come una tavoletta di cioccolato riusciva a farlo sentire meglio. Nessuno si sarebbe accorto di nulla, esattamente come il giorno prima. Un'azione pulita e veloce. Dentro e fuori. Facile, no?

Una volta arrivato davanti alla porta della stanza, non fece molto caso al fatto che fosse già aperta. Scivolò dentro e se la richiuse alle spalle.

Decine di odori diversi gli arrivarono alle narici, facendolo inspirare profondamente. Era incredibile come lì il cibo profumasse davvero di buono. Niente muffa, sporcizia, o altre schifezze all'interno. Ora Carlos sapeva cosa voleva dire "avere l'acquolina in bocca". Ma per quanto volesse svaligiare metà della dispensa, sapeva bene di non poter dare troppo nell'occhio. Quindi, decise, si sarebbe accontentato di un paio di barrette e qualche muffin al cioccolato.

Andò verso le porte scorrevoli che conducevano alla dispensa.

Come aveva detto: pulito e veloc-

«AHHH!».

Il suo urlo, insieme ad uno decisamente femminile, fece tremare le porte della stanza.

Accovacciata accanto alle casse degli snack, si trovava la principessa figlia di Esmeralda, una busta gigante di patatine in una mano e un succo di frutta nell'altra.

Aveva i capelli aggrovigliati in una specie di bozzolo sopra la testa, uno chignon lo avrebbe chiamato Evie. Era vestita con dei leggins color porpora e una t-shirt gialla e bianca, su cui era scritto a caratteri dolci: "Dio fa qualcosa, che mi manca il Wi-Fi". Carlos quasi rise nel leggerla.

Ma la cosa più surreale era costituita dal volto della ragazza. Per tutto il tempo in cui l'aveva vista, era sempre stata in ordine e con chili e chili di trucco applicati. Certo, non la conosceva da molto, ma le aveva dato subito l'impressione di qualcuno che, esattamente come Evie, non usciva mai di casa senza almeno un po' di fondotinta.

Vederla in questo modo, struccata, vestita in abiti semplici e con i capelli che somigliavano al corvo di Malefica, era strano. Carlos era sicuro fosse una cosa rara da vedere.

Infatti, a giudicare dallo sguardo che la ragazza gli stava rivolgendo, non era neanche una cosa buona. Almeno per lui che l'aveva beccata così. I suoi occhi sembravano essersi scuriti ancora di più.

«Cosa diamine ci fai tu, qui?» sibilò. Lo sguardo era così affilato che Carlos poteva quasi sentirne la pressione sul collo.

Si ritrovò a deglutire: «E—ehm . . . po—potrei farti la stessa domanda!». Incrociò le braccia al petto, in un disperato tentativo di sembrare deciso.

La principessa sembrò venire presa in contropiede: «I—io stavo . . . ecco stavo . . .».

Il figlio di Crudelia cercò di reprimere un sorriso alla sua risposta inesistente, senza riuscirci. Esme gli lanciò un'occhiataccia, ma era arrossita di colpo.

Carlos fece per avvicinarsi, per prendere una barretta di cioccolato più che altro, ma la ragazza non dovette capirlo, perché sobbalzzò e si allontanò da lui impercettibilmente.

La sua reazione sorprese il ragazzo dai capelli bianchi. Era appagante e seccante allo stesso tempo. Per anni aveva cercato di intimorire gli altri, di spaventarli, di farsi rispettare, esattamente come gli era stato insegnato a scuola. Come ci si sarebbe aspettato da un Cattivo come lui. Ma non aveva mai raggiunto dei risultati concreti.

E ora che qualcuno si dimostrava effettivamente terrorizzato da lui, percepiva questa sensazione dentro di sé che lo faceva sentire in colpa. Non voleva far paura. Non a questa ragazza almeno.

Sospirò, ritornando sui suoi passi e fermandosi vicino alle porte della dispensa.

A questa sua azione la principessa parve rilassarsi un minimo, ma i suoi occhi rimasero incatenati a quelli del ragazzo.

Rimasero ad osservarsi in silenzio per chissà quanto tempo, il che era strano, in quanto si trovavano in una stanza piena di chili e chili di cibo. Non esattamente il posto più romantico che esista — pensò Carlos — anche se non sono proprio un esperto di quella roba, quindi . . .

Però presto quel silenzio venne caricato da un incredibile imbarazzo.

«Allora . . .» iniziò Carlos.

Esme socchiuse gli occhi. Improvvisamente sembrava di nuovo sulla difensiva.

«Come mai anche tu qui?».

«Non sono affari tuoi» replicò lapidaria, scoccandogli l'ennesima occhiataccia.

Il ragazzo alzò le mani in segno di resa, per poi adocchiare una barretta di cioccolato alle spalle della principessa.

Sospirò. Vediamo di fare in fretta — si disse.

Lentamente, molto lentamente, iniziò ad avvicinarsi alla ragazza, quasi fosse un piccolo gattino spaventato che non voleva far scappare.

Ma Esme non mostrò alcun segno di volersi muovere. I suoi grandi occhi neri rimasero per tutto il tempo fissi in quelli color caffè di Carlos, come ipnotizzati. Stavolta fu lui ad arrossire. Si sentiva attratto dalle sue iridi: da quanto fossero scure, e da come non lasciassero a nessuna emozione di risalire. Sembravano due fosse senza fondo. Due pozze di oscurità che aspettavano fameliche la prossima vittima da ingiottire.

Quel profondo buio lo metteva a disagio, ma allo stesso tempo lo attirava come una calamita. Ne percepiva l'intensità. Dopotutto, lui, nell'oscurità, ci era cresciuto. Aveva capito che sul fondo di quelle pozze c'erano delle vere sensazioni ed emozioni che lottavano per tornare su. Era come se la principessa fosse letteralmente in lotta con sé stessa. Una parte di sé vogliosa di mostrare i suoi veri sentimenti, mentre l'altra trattenuta dal farlo.

Carlos era sempre stato bravo a capire le persone. Era come il suo "superpotere", il tratto principale del suo carattere. Tutti i suoi amici avevano un qualcosa di loro stessi che li distingueva da chiunque altro, e con questo non intendeva una qualche abilità magica: Mal aveva la sua ambizione e il suo immenso orgoglio, Evie la sua bellezza e la sua intelligenza, Jay la sua abilità fisica e la sua spericolatezza, e lui, Carlos, aveva la sua empatia e la sua furbizia. Non era sicuro se anche Hunter potesse venir incluso, a meno che stupidità e sorrisini idioti valessero come "tratti della personalità".

Ma adesso, per quanto si sforzasse di leggere il perché di quelle iridi fredde e caute, non ci riusciva. Questa principessa era un completo mistero per il figlio di Crudelia, e si scoprì determinato nel risolverlo.

Si avvicinò ancora di più alla ragazza, sfiorandole per sbaglio con una mano i capelli e la guancia sinistra, nel tentativo di afferrare la busta del cioccolato alle sue spalle. Entrambi rabbrividirono al contatto improvviso.

Quando Carlos riuscì ad afferrare la barretta, si ritirò subito indietro, lasciandosi cadere per terra accanto ad Esme. Stavolta fece attenzione a non toccarla nemmeno con un dito.

Ben presto il silenzio tornò a riempire l'aria della stanza, interrotto solo da Carlos, che ingoiava un pezzo di cioccolato dopo l'altro, come se quella barretta fosse la risposta a tutti i suoi problemi.

Esme, accanto a lui, non fiatava. Aveva anche smesso di mangiare le patatine che aveva in mano. Fissava un punto davanti a sé, e le sue guance si erano colorate di una leggera sfumatura di rosa.

Carlos quasi sobbalzò, sentendola pronunciare delle parole.

«Sei stato bravo in classe, prima».

La sua voce era poco più di un sussurro.

«Non . . . non è da tutti sapere a memoria la tavola degli elementi».

Lui la guardava interrogativo, ma un lato della sua bocca si era inclinato all'insù.

«È stato . . .». Si fermò, come se stesse pensando alla parola giusta. Poi annuì. «Sì, è stato incredibile», concluse.

Carlos, ormai, non tentava neanche di nascondere il sorriso che gli si era formato sulle labbra.

«Ti ringrazio» le rispose sinceramente.

Lei gli rivolse uno sguardo con la coda dell'occhio, per poi annuire nuovamente.

«Non c'è di ché» mormorò.

Il figlio di Crudelia ridacchiò sommessamente, ritornando a concentrarsi sulla sua barretta di cioccolato.

«Ehi!».

La sua esclamazione attirò l'attenzione della figlia di Esmeralda, che si girò di scatto verso di lui.

«Ne vuoi un po'?».

Le porse la busta dorata della barretta, invitandola a prendere un pezzetto del dolce che vi era all'interno.

Carlos giurò di aver visto i lati della sua bocca sottile piegarsi all'insù.

E finalmente alzò i suoi occhi neri verso di lui, facendo sì che una scarica elettrica si propagasse nei loro corpi. Ognuno ad insaputa dell'altro.

Un vero sorriso illuminò il volto della principessa, scoprendo i suoi perfetti denti bianchi, mentre con una mano staccava un pezzo di cioccolato dal resto della barretta.

«Ne sarei onorata» rispose con una piccola risatina.

La vista della ragazza sorridente provocò una strana reazione allo stomaco di Carlos. Sembrava si fosse messo a fare le capriole nella sua pancia. Era una sensazione strana quanto piacevole.

E mentre continuavano a mangiare in silenzio, scambiandosi ogni tanto un'occhiata fugace, una parte di lui si promise che avrebbe fatto tutto il possibile per vedere la principessa sorridere ancora.

—— angolo autrice!

Non sapete quanto sono mortificata. Sul serio, mi dispiace tantissimo per non aver aggiornato secondo calendario, ma ho avuto diecimila problemi tecnici.

Mi si è rotto il tablet, e quindi non ho potuto finire il capitolo in tempo, né tantomeno pubblicarlo. Come se non bastasse, quando sono riuscita a fare l'accesso a wattpad dal mio telefono, mi era stato cancellato metà di quello che avevo scritto.

Quindi mi dispiace per avervi fatto aspettare alcuni giorni in più.

Ma ho comunque una annuncio importante da farvi.

Non pubblicherò più secondo un calendario preciso.

Vi spiego perché.

Con l'inizio imminente della scuola non avrò più molto tempo per scrivere, e di conseguenza, non posso mettere un giorno fisso per la pubblicazione dei capitoli, in quanto non sarei in grado di rispettarlo. Quindi, mi dispiace, ma da ora in poi aggiornerò ogni volta che avrò un capitolo pronto, e non ogni mercoledì.

Spero capiate.

Comunque, passiamo alla domanda del giorno: facciamo qualcosa di più specifico... Isola degli Sperduti o Auradon? Dove vorreste vivere? Io sono molto indecisa, ma credo Auradon. Sono troppo pigra per fare tutte le cose che fanno sull'isola. E per quanto siano fighi i Cattivi, io non lo sono proprio di carattere.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sempre sapere cosa ne pensate!

Al prossimo aggiornamento!

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