xxiii. andava tutto bene . . .

( E S M E )

Il mondo sembrava essersi svegliato.

Ogni più piccolo dettaglio che la circondava, dalle foglie, ai fili d'erba, all'azzurro del cielo, era incredibilmente più acceso, come se un pittore avesse deciso di ripassare il suo più bel dipinto.

Il sorriso che le incorniciava il volto andava da una parte all'altra, luminoso, mentre gli occhi neri, di solito lontani e spenti, brillavano di una scintilla gioiosa. Il motivo?
Beh, forse era il nuovo bracciale che aveva al polso, forse la prospettiva della Giornata della Famiglia alle porte. Ma Esme, quella mattina, era piuttosto sicura fosse per la mano di Carlos stretta nella sua.

"Ma l'hai vista?" sussurravano gli studenti attorno a lei.

"Cosa è successo?"

"Deve averle fatto un incantesimo!"

"Esme con un Cattivo? Strano."

"Ho sempre pensato fosse una sgualdrina." La principessa strinse i denti, trattenendosi dal tornare indietro e dare un sberla in faccia a chiunque avesse detto una cosa del genere. Carlos le accarezzò il dorso della mano col pollice, ma bastò un'occhiata per capire che era irritato quanto lei.

«Cos'hai alla prossima ora?» sussurrò la figlia di Esmeralda, girando a destra. Almeno, ora, il corridoio era vuoto.

Gli occhi del ragazzo si illuminarono: «Matematica!» esclamò, mentre una piccola fossetta si formava nella miriade di lentiggini sul suo volto. «Finalmente iniziamo a studiare le disequazioni!». Come trovasse quella notizia tanto entusiasmante era ancora un mistero per Esme.

Annuì, come se comprendesse la sua euforia: «Certo, le disequazioni sono la cosa migliore di questa terra».

«Vero?!» ululò lui, non capendo il suo sarcasmo.

La Buona scosse la testa, divertita: «Io ho Storia di Auradon» disse, con un piccolo sbuffo. «È la mia materia preferita ma . . .» si morse una guancia, un piccolo sorriso che faceva capolino tra le labbra.

«"Ma" cosa?» la incitò Carlos, fermandosi.

Non ci sei tu — pensò, ma non lo disse. Invece, fece scivolare via la mano dalla presa di lui, e con un movimento veloce, lo afferrò per il colletto della giacca, tirandolo a sé.

Fuochi d'artificio eruppero nel suo stomaco, il fuoco che aveva sentito tante volte che ardeva potente nelle vene. Era inutile . . . per quanto avesse provato a odiare quel ragazzo, alla fine tornava sempre lì, tra le sue braccia, il cuore che faceva le capriole.

Staccò per un secondo le bocca dalla sua: «Ora è chiaro?» mormorò ad un millimetro da lui.

Il figlio di Crudelia deglutì, le guance rosse e le labbra gonfie: «C—Credo di sì».

Con un ghigno, Esme lo spinse delicamente contro il muro. Il corridoio era deserto, la campanella già suonata e con una buona probabilità di essere beccati. Eppure, non poteva importarle di meno.

«Bene». Lo baciò ancora, forte, percependo la sua timidezza, il suo timore di fare qualcosa di sbagliato. Lo tenne stretto a sé, le mani salde sulla sua giacca di pelle. Non riuscì a trattenere una risata quando le posò una mano dietro al collo.

«Facciamo un gioco» esordí, poi, il fiato corto. Carlos la guardò dritto negli occhi, le labbra in fiamme e gli occhi lucidi, talmente drogato di lei da annuire, lento, quasi ipnotizzato.

La principessa sorrise, accarezzando con dolci movimenti le ciocche di capelli all'attaccatura del collo del Cattivo. «Io ti faccio una domanda» disse, inclinando appena la testa. «E tu cerchi di rispondere. Sinceramente. Poi il contrario. Tu chiedi, io rispondo».

Una risatina eruppe dal petto del ragazzo: «Questa si chiama conversazione, lo sai?».

«Oh, ma non ho mai detto che sarebbe stato facile» rivelò lei, una scintilla divertita negli occhi. Iniziò a rigiarsi un ricciolo bianco tra le dita. «Non sarebbe un gioco altrimenti, no?».

Il figlio di Crudelia sembrò pensarci per un attimo, ma poi acconsentì, un'espressione furba e consapevole in volto. Squadrò la ragazza da capo a piedi, scrollando le spalle e rivolgendole la prima domanda: «Cosa hai pensato la prima volta che mi hai visto?».

Il ricordo di quella mattinata riaffiorò nelle pieghe della sua mente, ed Esme accennò un piccolo sbuffo: Jay e Carlos sull'asfalto che lottavano per una sciarpa; Mal e il suo sguardo disperato; Evie e Hunter con i sorrisi entusiasti; la paura e confusione che l'aveva invasa in quel momento, la mano di Audrey stretta nella propria.

Stava per rispondere quando un dettaglio venne a galla, un dettaglio che era stato sommerso dalla miriade di emozioni provate nell'ultimo mese e mezzo. «È divertente» ammise, mentre si riavvicinava a lui, facendo sfiorare per un secondo le loro labbra. Potè percepire il respiro di Carlos diventare più pesante. «La prima volta che ti ho visto è stata prima di quel giorno».

Il corpo del Cattivo si irrrigidì appena, quando le labbra della figlia di Esmeralda scivolarono bollenti sulla sua guancia, e poi più giù, lungo la curva del collo.

«Q—Quando?» trovò la forza di sussurrare lui, stringendo i pugni lungo i fianchi .

Fiato caldo che si infrangeva su pelle fredda, soffici labbra rosse che aleggiavano come l'ombra più dolce di tutte.

«Un paio di mesi prima» disse, ogni parola che risuonava come un'onda infuocata per il corpo del ragazzo. La principessa non riuscì a trattenersi dal ghignare soddisfatta alla reazione. «Ho visto te e quello che fai sull'Isola . . . » la punta delle sue dita percorse delicata la linea di una spalla e di tutto un braccio, ogni minimo contatto che risultava in una carrellata di brividi da parte del figlio di Crudelia. «Anche se attraverso un sogno».

Ricordava come se fosse ieri lo sguardo fiero che incorniciava Carlos in quella visione, mentre saltava da una bancarella all'altra di quel mercato in decadenza: occhi vigili, pieni di vitalità come non li aveva mai visti. O almeno fino ad ora.

Non ci pensava da così tanto tempo che era quasi ridicolo. Sembrava passata un vita invece di solo un mese e qualche giorno.

«S—Sogno?» balbettò il ragazzo che, senza volerlo, afferrò il polso della principessa. Esme alzò le sopracciglia, anche se non seppe se per la domanda o per la scarica elettrica che le aveva percorso la schiena, al gesto.

Lei annuí: «Strano, vero?».

«O—Oh» si bloccò. «Già, molto s-strano . . . Esme—».

Tap, tap, tap.

I due adolescenti saltarono in aria, la pelle di Carlos sotto le sue dita improvvisamente bollente. Esme fece di scatto un passo indietro, le guance appena rosate per l'imbarazzo.

Per fortuna era solo la Fata.

«Si può sapere cosa ci fate voi due qui?» chiese, la voce acuta e le mani sui fianchi. La principessa lanciò un'occhiata al Cattivo, che sembrava star avendo un attacco di panico. «Le lezioni sono iniziate da un quarto d'ora!».

«Nulla, signora preside! Noi—».

«Stavamo giusto per andare via» e il Cattivo le prese la mano e sgusciò alle spalle della donna, corredo via. La Fata Smemorina lì richiamò indignata.

Carlos rise, mentre Esme, sotto shock, non riuscì a fare altro che seguirlo, la mano stretta nella sua e i capelli in faccia. Incontrarono alcuni budelli che lavavano un corridoio e gli fecero prendere un colpo.

La principessa guardò alle sue spalle, ma della Fata non c'era più traccia. «Carlos!» lo chiamò, ma quello rispose ancora con una risata, trascinandola fuori dalla scuola, nel cortile.
L'odore di erba le riempì le narici e dovette tirare il ragazzo con tutte le sue forze per fermarlo.

L'impatto fu così forte che mandò entrambi i ragazzi a gambe all'aria, e con un piccolo squittio Esme cadde di schiena tra due cespugli, Carlos su di lei, subito dopo.

Una parte di lei odiò come la sensazione di dejavu l'assalí, perché si ritrovò con le guance rosse e il naso nei capelli dell'altro, il profumo di cioccolato che le impediva di respirare correttamente.

Il primo pensiero che le passò per la testa fu — esiste uno shampoo al cioccolato?

Poi però digrignò i denti, il viso in fiamme: «Hai due secondi per toglierti di dosso».

Per un attimo fu certa di aver sentito il Cattivo ridacchiare, ma alla fine si scostò comunque, cadendo accanto a lei sull'erba.

Ancora una volta si ritrovarono l'uno di fianco all'altro, gli occhi puntati sul cielo sopra di loro, sta volta di un celeste candido e tranquillo.

«Sai, non avevo mai marinato la scuola» mormorò la principessa. «O scappato dalla preside in persona mentre mi urla nelle orecchie».

Il figlio di Crudelia non rispose, ma con la coda dell'occhio, Esme poteva vederlo sorridere.

«Com'è stato?» le chiese.

Ci pensò. Era vero, non l'aveva mai fatto prima. Non era sicura che qualcuno in tutta l'Auradon Prep l'avesse fatto. Forse Aziz un paio di volte, ma nulla di ingiustificabile.

Lei era la Principessa Esme, non si sarebbe potuta permettere qualcosa di talmente sbagliato. Dopotutto, bastava così poco per distruggere l'immagine di se stessa che si era creata. Era un gioco di luci e ombre, di segreti e di facciate, esattamente com'era l'intero regno.

Esme si girò su un fianco: «Bello» ammise. «Per quanto mi piaccia la scuola . . . sí, è stato bello».

Rimasero lì, fermi sotto le nuvolette bianche e il sole splendente, felici e in pace. Esme non si era mai sentita meglio.

Fu un secchio d'acqua, quello stesso pomeriggio, a rovinare tutto.

Tutta colpa di un dannato secchio d'acqua.

•✵•

Esme era sola, di ritorno al suo dormitorio dopo le prove quotidiane da cheerleader.
La gonna blu e gialla sobbalzzava afd ogni passo, e alcune ciocche di capelli erano sfuggite alla presa del nastro colorato sulla testa.

Era accaldata e sudata: non vedeva l'ora di arrivare in camera e farsi una lunga doccia.

Carlos l'aveva lasciata dopo pranzo, dicendo che doveva sbrigare una faccenda con Evie e Mal. La principessa, ovviamente, non aveva protestato.

Col tempo, i suoi sospetti e le sue paure erano scemate, era convinta ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Carlos era ad Auradon da due mesi, ed era il suo ragazzo. Ormai, il resto era acqua passata.

Prese la chiave della stanza con un sospiro, non vedendo l'ora di togliersi quella divisa scomoda.

«Ehi, Esme». La voce di Ben la chiamò.

«Ehi, B—».
Non ebbe il tempo di finire il suo nome. Una cascata d'acqua fredda le si riversò sulla testa, e la principessa boccheggiò come une pesce, i polmoni privati d'aria per un secondo abbondante.

Ben, il futuro Re degli Stati Uniti di Auradon, si trovava davanti a lei con un secchio verde in una mano e un'espressione indecifrabile in faccia, i soliti perfetti capelli color miele e gli occhi verde sporco.

Dovette ammatterlo: per un attimo le mancarono le parole, e rimase immobile, inzuppata dalla testa ai piedi e con molto probabilmente un brutto raffreddore in arrivo che le fece pizzicare il naso.

Quell'attimo non durò più di cinque secondi.

«QUALE DIAVOLO È IL TUO CAZZO DI PROBLEMA?!» sbottò, vedendoci rosso, i capelli pieni d'acqua e appiccicati sulla testa. Sentiva la rabbia ribollirgli nel petto ed era sicura che non mancasse molto prima che tirasse al principe un bel calcio dove non batte il sole.

«Non senti nulla?» le chiese, gli occhioni da cerbiatto che la fissavano alla ricerca di chissà che cosa. «Una sensazione?».

«Oh, puoi scommetterci che sento qualcosa. Giuro sugli dei che—».

«Sei ancora innamorata di Carlos?».

La domanda la prese alla sprovvista: «Cosa?».

«Quella nel secchio era acqua speciale del Lago Incantato. Dovrebbe lavare via tutti gli incantesimi». Il suo sguardo era triste ma duro: «Mal mi ha fatto un incantesimo. Credo fosse una pozione d'amore: qualche giorno fa abbiamo avuto un appuntamento al lago. Quando mi sono tuffato l'incantesimo è sparito» spiegò.

Esme era paralizzata. Completamente. Sentiva le gambe di piombo, era tutta di piombo. Non riusciva a replicare.

Ben sospirò, gli occhi gentili e compassionevoli come solito: «Pensavo che Carlos avesse fatto qualcosa del genere a te... per questo . . .».

Non voleva rispondere, sul serio. Ma per qualche ragione non riuscì a tenere ferma la lingua. «No. No. Lui . . . Non—» deglutí. «Non credo, no. Io . . . I—Io credo che— sì, ecco, credo che mi piaccia sul serio». Lo stava ammettendo ad alta voce?

«Però, Mal . . .».

Il principe scosse la testa: «Non importa. Non credo avesse cattive intenzioni. Probabilmente le piacevo e quello era l'unico sistema che conosceva per ottenere la mia attenzione». Le rivolse un sorriso luminoso: «Anche se non sarebbe servito».

Le giravano così tante cose nella testa che non commentò.

«Sono contento che non sia accaduta la stessa cosa con te, Esme. E . . .» ridacchiò, lo sguardo appena mortificato. «Scusami per il mio metodo non molto consono».

Esme era sicura che il principe se ne fosse già andato quando, lentamente, aveva annuito. Si riscosse, entrando in camera e chiudendosi la porta alle spalle. Audrey non c'era.

Stava per mettere in ordine i pensieri; stava per darsi un contegno e quasi ridere di gioia; stava per andare da Mal e chiederle spiegazioni, quando una forte fitta alle tempie la fece piegare in due dal dolore.

Le orecchie le fischiarono, la vista le si appannò, e per un secondo credette di star per svenire. Poi, però, si rese conto di un dettaglio: più il dolore aumentava, più la sua mente di rischiarava.
Le parve di risvegliarsi, come qualcuno che era in dormi-veglia da settimane e a cui finalmente vengono fatti aprire gli occhi.

Ed la principessa li spalancò in tutti sensi, mentre la nebbia che per mesi aveva ricoperto il suo subconscio si diradava.

"Il respiro le si fermò in gola.

Sapeva che non c'era da fidarsi! Sapeva che Ben avrebbe dovuto darle ascolto! Sapeva che avrebbero tentato una cosa del genere!

I nuovi arrivati figli dei Cattivi si disposero in cerchio intorno al campo di forza che li separava dalla bacchetta della Fata Smemorina. Tutti e cinque la ammiravano ad occhi e bocca spalancati, adoranti, come se quella fosse la risposta a tutti i loro problemi."

La sua schiena si schiantò sul freddo legno della porta con un colpo secco. THUMP!

No.

"Si girò, pronta per scattare via da quella sala. Ma nel farlo colpì con un piede una delle sue matite, che sicuramente non si era accorta di aver lasciato cadere dalle mani. Il pezzetto di legno e grafite rotolò sul pavimento di marmo e, seppur fosse un rumore da nulla, risuonò come una campana nel silenzio che ricopriva il museo."

Il respiro le si fece irrigolare, il petto che si alzava e si abbassava sempre più veloce.
Gli occhi sbarrati, le mani artigliate alla porta, le unghie che laceravano sempre più in profondità la perfetta pittura trasparente.

No, no.

"«Ehi!» sentì uno dei ragazzi gridare, ma a causa della paura che la impossessava non riuscì a capire chi fosse.

Ma poi, come risvegliata da un lungo sonno, raddrizzò la schiena e si mise a correre a tutta velocità verso l'uscita.

I cinque ragazzi dietro di lei sobbalzarono e, ormai ad almeno dieci metri di distanza, Esme udì la voce di Mal rimbombare sui muri dell'edificio: «Jay, Hunter, prendetela!».

Stringendo i denti, aumentò l'andatura. Corse. Corse così tanto e così veloce che una volta arrivata nel cortile fuori dal museo le facevano già male le gambe. Alcune lacrime le scorrevano dagli occhi, finendole in bocca, facendole così sentire il loro sapore salato."

Anche adesso sembrava di sentirlo: quel tremendo sapore salato che le faceva arricciare le labbra, che la faceva sentire debole, inerme, una preda alla mercè del suo predatore. Ancora una volta.

Ed Esme se ne ricordava sempre di più. Di più. Di più. Di più.

No, no, no.

"Si fermò, e mettendo le mani sulle ginocchia, cercò di stabilizzare il respiro. Ma proprio quando stava per dare un sospiro di sollievo per essersi allontanata abbastanza, vide un ombra rossa materializzarsi in un secondo davanti a lei, e per poco non urlò per lo spavento. Si trovò a guardare negli occhi Jay, le braccia muscolose incrociate al petto, e un ghigno divertito che la fece letteralmente tremare di paura.

Provò a girarsi e scappare nell'altra direzione, ma stavolta si ritrovò davanti il figlio di Hans che la guardava con un sopracciglio alzato e anche lui le braccia al petto.

Prima che potesse tentare un'altra scappatoia, venne completamente circondata anche dal resto dei cinque.

Mal e Evie erano fianco a fianco, e la guardavano sorridenti, compiaciute e appagate dalla paura che in quel momento divorava la principessa. Carlos la guardava con un leggero sorrisetto, e un braccio poggiato sulla spalla di Jay. Nessuna via d'uscita."

Singhiozzò, ogni minimo ricordo più brutto del precedente. Le mani le facevano male per quanto tese erano contro il duro legno alle sue spalle. Non sapeva più dove fosse, non sapeva cosa aveva fatto in quelle settimane. Non poteva saperlo. Perché poteva essere stata tutta una bugia. Una cazzo di bugia!

Esme urlò di frustrazione, crollando sul pavimento come una bambola di pezza, portandosi le mani alla testa.

NO.

"«Bene, bene, bene. Guarda un po' chi abbiamo qui!» esclamò Mal."

Vi prego, basta — implorò.
NO, NO, NO!

Capelli tra le dita, palpebre serrate, lacrime che bagnavano le guance, il cuore che batteva all'impazzata, così forte che sembrava stesse per saltare fuori dal petto.

Non riusciva a respirare.

"Era in trappola, e a niente servivano le urla e i calci che la principessa tirava all'aria, cercando di liberarsi. La stretta dei due ragazzi era troppo forte.

«Mi dispiace che sia dovuta andare così» le disse Mal, con finto tono dolce. «Ma, vedi, non possiamo proprio lasciarti andare sapendo quello che hai visto»."

Quella non era la Mal con cui aveva passato i giorni scorsi a dipingere. No, no, no. Non poteva essere lei. Era impossibile.

La Mal del ricordo era fredda, crudele, felice del suo terrore. Ora ricordava quegli occhi verde smeraldo, quel verde innaturale che la fece rabbrividire di paura anche da sola, sul pavimento, al sicuro nella sua stanza.
No, no, no, no, no.
Basta, basta, basta.

La principessa si richiuse ancora di più su se stessa, la tempie strette tra le gambe, mentre tentava di costringere il suo cervello a smettere. Basta, basta, basta. BASTA!

"«E cosa farete allora?!» urlò Esme, ormai arresa. «Mi volete uccidere?!».

Mal ridacchiò: «Oh no! Sarebbe troppo facile, e darebbe troppo nell'occhio! Sai, mia madre mi ha regalato questo». Tirò fuori dall'interno della sua giacca un piccolo libro.

«E onestamente non vedo l'ora di poter provare qualche incantesimo! Solo che non ho ancora trovato un volontario . . .».

Esme spalancò gli occhi, mentre sentiva il suo cuore fermarsi.

La figlia di Malefica sorrise malvagia: «Oh, ma guarda! Ne abbiamo uno proprio qui! Come posso non approfittarne?».

In un ultimo impeto di adrenalina, la principessa cercò ancora una volta di scappare dalla stretta dei due figli dei Cattivi, invano.

Non appena vide Mal aprire il libro, Esme capì di essere completamente fritta.

«Oh ecco!» ridacchiò, puntando un dito su una delle pagine ingiallite. E improvvisamente, non c'era altro che Mal e la sua voce. La figlia di Esmeralda non potè fare altro che ascoltare, ipnotizzata: «Te l'ho detto, te l'ho ordinato, quello che hai visto non c'è mai stato»."

Adesso, vedeva le lacrime colpire il pavimento.

Plick, plick, plick.

Ogni ticchettio risuonava nelle sue orecchie come un martello, un colpo di pistola, senza pietà com'erano le storie che sua madre le raccontava. Su Frollo, suo padre, le perseguitazioni, Malefica, l'Isola.

Era come essere rinchiusa nel suo incubo personale: quello stesso incubo da cui si era nascosta, che aveva creduto essere nient'altro che uno stupido scherzo della sua mente. Preoccupazioni, paranoie, stupidaggini.

Parole, attimi, tutto ciò che riaffiorava alla sua memoria la colpiva al petto. E con esso, la fiducia che aveva costruito, sempre più in pezzi.

Poteva quasi vederla, schiacciata sotto il peso di decine, centinaia, di bugie che una dopo l'altra si erano accumulate in quelle settimane. Era così insignificante sommersa da quell'ammasso di cattiveria.

"Sentì il suo corpo venire prosciugato da ogni energia, mentre un improvviso dolore alla testa le fece fare una smorfia di dolore."

Trovò la forza di alzarsi e di stendersi sul letto, tremante, senza neanche curarsi di mettere il pigiama o levarsi i gioielli.
Sprofondò nel cuscino, il piumone rosa strano, innaturale, sopra la sua figura. Non poteva dormire, non ci sarebbe mai riuscita.

Era come tre anni prima, quando sua madre le aveva detto di lui e di ciò che le aveva fatto. Era come quel pranzo, quel attacco, quel panico, quell'oscurità che l'aveva scossa nel profondo.

"Le ultime parole che sentì prima di perdere conoscenza furono di Carlos: «Codardi? Per la cronaca, non eravamo noi a scappare dagli altri. Erano gli altri a scappare da noi»."

Girandosi di lato, lo sguardo puntato sulla finestra, gli spasmi finirono così come il ricordo.

Carlos mi ama — si disse.

Strinse la coperta tra le mani, mentre, dopo anni, le sue iridi si accendevano di un freddo e malefico viola.

Era vero, Carlos l'amava.
Ma non sapeva più per quale ragione.

—— angolo autrice!

Well . . . there it goes, i guess . . .

*colpo di tosse* ehm, non uccidetemi. Prima o poi sarebbe dovuto succedere.

Come vi è sembrata la sua reazione? Non vi chiedo altro perché non saprei neanche io cosa.

Altri cinque capitoli e abbiamo finito, gente! Quasi non ci credo lmao.

E nulla, alla prossima!

love, Giada <3

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