capitolo¹



Un'anziana signora con un mattarello in mano mi insegue.

Sì lo so, non il modo migliore per iniziare una storia, ma che volete farci? È lei che non comprende il significato dell'arte! Era solo un innocuo murale, niente di serio! Ma a quanto pare non sembra averlo capito.

È almeno mezz'ora che corro a perdifiato cercando di seminare questa pazza in camicia da notte e pantofole, armata di utensili da cucina.

Mi insegue urlandomi i peggiori insulti, mentre alcuni dei suoi capelli bianchi, sistemati in una crocchia scomposta, sfuggono all'elastico districandosi in tutte le direzioni.

Persino loro sembrano avercela con me.

E io che oggi volevo passare un tranquillo pomeriggio tra Netflix e la creazione di nuovi graffiti! Ma si sa, non sempre le cose vanno come si vuole, e io lo so molto bene.

Il mio nome è Noemi Nightstar, e credo di essere una ragazza come le altre. Certo, se non si contano i capelli viola perennemente legati in una coda di cavallo, gli occhi smeraldo e la incessante voglia di ingannare le persone per poi indurle a fare cose imbarazzanti.

Sì, sono abbastanza sicura di essere normale.

Almeno per chi non mi conosce a fondo.

Curiosi? Non vi biasimo, anch'io lo ero all'inizio di questa storia, ma vi prego di aspettare e di essere pazienti, e con calma scoprirete tutto.

Cosa stavo dicendo? Ah sì. La pazza.

Corro come se non ci fosse un domani dritta verso casa, mentre cerco di guardarmi indietro il meno possibile. Non ci tengo a fermarmi per dare il tempo alla vecchia di lanciarmi qualcosa in testa. Le sue urla isteriche sono già un buon motivo per non farlo.

E dopo un altro quarto d'ora, finalmente le grida scompaiono e le mie orecchie smettono di sanguinare.

Ormai certa di essere al sicuro da mattarelli volanti, mi incammino a passo deciso verso casa mia.

•☽︎✫☾︎•

Abito in un grande condominio, più precisamente in un piccolo appartamento malmesso con molti problemi di ordine.

Appena entrata infatti quasi cado su un ombrello abbandonato al suo destino.

L'appartamento non è molto grande. Dalla porta d'ingresso si nota subito il lungo corridoio sul quale si affacciano le varie camere da letto. Il salotto non è altro che un miscuglio di mobili malridotti: un divano più o meno logoro, con al suo fianco una poltrona rosa cipria leggermente strappata sui bordi dei braccioli. Poi al centro un piccolo tavolino di vetro, sul quale fanno bella figura vari pacchi di patatine (sicuramente vuoti) ed alcune bollette da pagare.

Ogni tanto per terra si scorge una testa di bambola, lasciata lì, a morire in solitudine, dalle mie sorellastre più piccole.
Ammetto anche di essermi spaventata non poche volte a causa di quelle bambole che sembrano sempre osservarmi. Ma, ehi! Nemmeno io sono una persona così ordinata, quindi non mi lamento! Non sono certo l'unica a non rifare il letto la mattina, ma, dannazione, i miei genitori adottivi se la prendono solo con me!

Già, avete capito bene. Adottivi.

Ormai sono tre anni che vivo con loro e le mie due sorellastre, Gaia e Lucia.

Sono per metà italiana. Sono nata a Firenze il 3 settembre di 16 anni fa, da madre italo-giapponese e padre americano. Mi sono trasferita in America pochi mesi dopo la nascita perché mamma è morta. Non mi ricordo molto di lei, solo una luce bianca e qualche flash sfocato, ma non mi manca. Non l'ho mai vista. Come si fa a stare male per qualcuno che non si è mai incontrato? Io me lo sono sempre chiesto.

L'America è diventata una seconda casa per me.

Amo tanto quelle case enormi che qui posso solo sognare. Ma amo soprattutto le persone che ho incontrato.

Fin da subito ho conosciuto degli amici che hanno cambiato la mia vita. Con loro ho vissuto praticamente tutta la mia infanzia, dall'asilo fino al primo anno delle medie, e credetemi se vi dico che ne esistono pochi come loro.

Il 5 settembre di tre anni fa sono dovuta tornare in Italia a causa dell'improvvisa morte di mio padre. Comico, vero? Mio padre se ne è andato due giorni dopo il mio compleanno, della serie: "dai l'ultimo bacio a tua figlia e levati dalle scatole".

Non so come sia morto.

La polizia è sempre rimasta muta con me, come se provasse pena e non volesse darmi il peso di sapere la ragione della morte di un altro mio genitore. Io ho sempre insistito per questo, ma non c'è stato verso.

Quel giorno ho fatto una promessa a me stessa.

Ma non ve la dico. Vi ho già annoiato abbastanza.

Come continuare? Beh, dopo quella orribile tragedia sono state chiamate delle "bellissime" persone (notate il sarcasmo), gli assistenti sociali, le quali mi hanno rifilato a questa famiglia del cavolo che mi ha riportato nella mia terra natia.

Adesso vivo a Roma, e credetemi: non ho mai odiato l'Italia come in questi tre anni.

L'unico che in qualche modo mi supporta sempre è Matteo, mio padre adottivo.

Con la sua piccola pancia rotonda, i capelli grigi quasi rasati a zero e gli occhialetti alla Harry Potter, lui ha sempre cercato di farmi sentire a casa, e devo dire che ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per gli altri membri della famiglia che rendono la mia vita un inferno.

Penso sia stato lui a convincere la moglie a farmi entrare in questa famiglia di disadattati, e devo ancora decidere se si tratta di una cosa buona o meno. Però, a causa del suo lavoro in un'importante azienda, è sempre fuori casa e torna molto tardi.

Ergo, io devo subirmi per tutta la mattina le urla di rimprovero di Marina, mia madre adottiva, per quelle che lei chiama "bravate".

I suoi piccoli occhietti mi controllano sempre, anche quando sembra che non sia con me. È così irritante!

I suoi occhi sono blu. Ma non di un blu puro come quello del cielo, bensì di un blu spento come quello dell'acqua stagnante. I suoi modi di fare sono rigidi e severi come quelli di un comandante dell'esercito. Sinceramente non ricordo l'ultima volta che sono andata ad una festa o che ho conversato con un esemplare di sesso maschile. Continuo a dirmi che avrei rimediato in futuro.

E vogliamo parlare delle due gemelline, Lucia e Gaia?

In italiano, questi due nomi rimandano alla purezza e alla gentilezza. Bene: toglietevi questa definizione dalla testa.

Quelle due sono dei diavoli scesi in terra. Non si fanno scrupoli nel distruggere tutti i piani per i miei pomeriggi. State certi che in un modo o nell'altro riescono sempre a rovinarmi la serata. Ho sempre pensato che, per via dei loro codini castani, assomiglino un po' alle sorelline di Shining. Non mi sorprenderebbe se avessero come hobby pomeridiano quello di squartare le persone.

Comunque, tornando a noi, sto cercando di arrivare in camera mia in punta di piedi, provando a non fare rumore. Se qualcuno mi avesse vista sarei rimasta in punizione come minimo per una settimana.

Ok Noemi, fai con calma... piano... pianino... un passo alla volta... ci sei quasi...

<<Mamma! Noemi è tornata!>>

Cazzo.

Ma perché quelle due non si fanno mai i cavoli loro? Ce l'avevo quasi fatta!

Due secondi dopo vedo Marina che mi fissa a braccia conserte, appoggiata alla porta della cucina, con un cipiglio non proprio amichevole che le incornicia il viso.

<<Ti sembra questo l'orario di tornare a casa, signorinella?>>

Non era una novità. Per lei le 19 e 30 del pomeriggio significavano ormai notte fonda. Almeno per quanto riguarda me. Gaia e Lucia possono tornare quando vogliono ed è come se fa finta di non vederle.

<<Come se non bastasse, la signora Ferrari mi ha chiamato dicendomi che hai imbrattato per l'ennesima volta il retro della sua rimessa. Sarà la terza volta in un mese! Mi spieghi cosa devo fare con te?>> chiede con tono esasperato, mentre poggia le mani sui fianchi.

Oh no, quando fa così non è mai un buon segno.

<<Ma non ho fatto niente di male, ho semplicemente dato un tocco di colore a quell'edificio grigio e deprimente! E poi la signora Ferrari non lo usa mai, pensavo non fosse un problema per lei>> controbatto come mio solito, scrollando le spalle. Non esiste che vengo messa in punizione per una cosa del genere.

Ma a quanto pare Marina non la pensa come me. La vena sulla fronte le si ingrossa così tanto, che sembra quasi stia per esplodere.

<<Se fosse per me ti avrei già bruciato quelle bombolette di colore, e saresti in punizione per una settimana, ma a quanto pare oggi è il tuo giorno fortunato>> continua mia madre adottiva.

Alzo le sopracciglia, stupita. Non sono in punizione? E da quando la cara, vecchia Marina rinuncia alla possibilità di rinchiudermi in camera senza Spotify? Deve essere successo qualcosa di grave. Oppure dovrò incominciare a credere che qualcuno lassù esista e che mi voglia bene.

<<Matteo ha chiamato qualche minuto fa. Ha detto che il suo capo gli ha dato una promozione. Dovrà andare in America, non si sa per quanto, per lavorare lì>>.

E io dovrei sopportare per un tempo indefinito queste tre cretine, consapevole di non poter contare su Matteo? Credo sia arrivato il momento di mettere in atto quel piano di fuga a cui sto lavorando da cinque mesi.

<<Prepara le valigie. L'aereo per Los Angeles parte domani mattina alle 8.30. Una volta arrivati prenderemo una macchina a noleggio per raggiungere la cittadina di Beacon Hills dove ci stabiliremo>> conclude con un piccolo sbuffo.

Sentendo queste parole strabuzzo gli occhi e spalanco la bocca.

Dopo tre anni di merda qui in Italia, finalmente torno a Beacon Hills. Molto probabilmente il posto che amo di più al mondo dopo il negozio di caramelle dietro casa mia. Lo zucchero filato che vendono lì... solo a pensarci mi viene l'acquolina in bocca.

Ma non è questo il punto.

Potrei avere la possibilità di ricominciare da capo, facendomi nuovi amici e, chissà, magari anche un ragazzo. Forse...

<<Noemi, che hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Sappi che se fosse stato per me, tu, in questa famiglia, non avresti neanche messo piede. Mi aspetto almeno che ti comporterai in modo consono durante il volo, sempre se non vuoi che appena arrivati ti confischi telefono e cuffie...>> termina, con un piccolo ghigno stampato sulla sua faccia rugosa.

Mi affretto a rispondere: <<No, no, Marina, quello che fai è anche troppo per me, non ti disturbare>> dico, senza cercare di nascondere il sarcasmo nella mia voce. <<Adesso, se non ti dispiace, vado in camera mia a preparare la valigia, non ci tengo proprio ad arrivare in ritardo all'aeroporto domani>> E stranamente, lo penso davvero.

Corro in camera, evitando abilmente lo sgambetto che mi fa Gaia in corridoio, e come animata da una nuova scarica di vitalità, incomincio a mettere in fretta e furia i miei vestiti nella valigia color viola chiaro.

Non riesco ancora a crederci. Sarei tornata a Beacon Hills! E forse con un po' di fortuna avrei anche rincontrato i miei vecchi amici.

Stiles, Scott, Lydia, se siete ancora lì, aspettatemi, sto arrivando!

Angolo autrice

Ehy, ciao comunità di wattpad! Questo è il primo capitolo della mia prima fanfiction in assoluto. Ho avuto questa storia in testa per tanto tempo, e dopo molto, mi sono convinta a pubblicarla. Spero che vi piacerà!

Se avete trovato bello il capitolo, potreste per favore mettere una stellina e lasciare un commento? Mi farebbe infinitamente felice!❤

Quindi dopo un angolo autrice grande quanto tutto l'armadio delle sciarpe di Isaac, vi lascio.

~Giada

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