1.15 maestro miyagi cercasi


CHAPTER FIFTEEN
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BLOCCATO IN una situazione di stallo davanti alla porta di casa Swift, mentre il cielo diventa progressivamente più scuro e le finestre iniziano a brillare, Bobby Shearer continua a ripetersi che entrerà.

Da un momento all'altro.

Accanto a lui, Mark si sta già agitando. Un bambino che non riesce a tenere fermi i piedi.

«Andiamo?» chiede - la terza volta in un minuto - mentre Silvia guarda Bobby con lo sguardo leggermente pietoso che riserveresti a un malato, o ad uno sfigato, cosa che in qualche modo lo fa sentire ancora più ridicolmente a disagio.

Non è che sappia esattamente di cosa ha paura.

Vorrebbe farlo, perché se potesse dargli un nome potrebbe solo...aggiustarlo.

Chiude gli occhi, espirando.

Andrà tutto bene.

Sa che andrà bene.

Non è che pensi che i suoi amici lo attaccheranno, o cose del genere.

Andrà tutto bene.

Probabilmente.

«Mark io penso che dovrei andare,» lui dice alla fine, sputando fuori le sue parole così in fretta che quasi ci inciampa. «Insomma...so che tu mi hai perdonato per la storia di Wintersea ma-ho fatto la spia per il capo per mesi, okay? E capirei se...gli altri volessero che io stessi lontano per un po'»

Mark sbatte le palpebre, accigliandosi leggermente. «Non la penso così», e poi, facendo un passo verso di lui, «Insomma, se non avessi scritto quella lettera a Nelly, chissà cosa sarebbe successo, no? E' vero, forse hai sbagliato, ma alla fine hai fatto la scelta giusta»

Cerca di sorridere in modo rassicurante. E' una cosa che gli riesce bene. I sorrisi di Mark hanno un peso fisico, li senti come un'abbraccio o una mano sulla spalla. «Sono sicuro che i ragazzi la pensano come me»

Bobby sospira, strofinandosi il viso, cedendo con un incerto: «Va bene» mentre Mark apre la porta, impaziente e felice come sembra sempre per tutto.

Dentro, pare che a casa Swift sia scoppiata una bomba H.

Entrando bisogna scavalcare cuscini sparsi ovunque, scarpe e borse da calcio, e sebbene Nicky sembri assolutamente convinta che il suo soggiorno e il suo unico divano possano contenere tutti i suoi amici senza alcun problema, il tutto è risulta terribilmente sovraffollato.

Immediatamente, Bobby si sente a disagio, in piedi dentro la porta, incerto esattamente dove andare o come comportarsi.
Questa era un'idea stupida. Non sarebbe dovuto venire. Dovrebbe tornare indietro. Lui dovrebbe-

«Ragazzi!» dai fornelli, vedendoli, Nicky alza le braccia per l'eccitazione, schizzando qualunque cosa stia mescolato sui mobili dietro di lei.

«E con questo sei ufficialmente fuori dal lavoro di pasticceria,» dichiara Nathan, prendendole la spatola, lanciando ai nuovi arrivati uno sguardo di scuse.

Bobby fa appena in tempo a coglierlo che Nicky fa il giro del bancone e lo avvolge tra le braccia.

«Kevin mi ha raccontato!» dice, allontanandosi, e Bobby sente il suo cuore vacillare, sopraffatto dal suo calore. «Pazzo che non sei altro, sono così felice che sei venuto!» e poi, voltandosi «Signori e signori: colui che ci ha salvato dà una fine orribile! Un bell'applauso, prego!»

«A Bobby!» urla Steve, dal suo posto sul pavimento, alzando il bicchiere.

«A Bobby!» i ragazzi gridano d'accordo, alzando anche loro i bicchieri, e in attimo tutti gli amici di Bobby sorridono e ridono di lui, e lui si sente come qualcuno che sta per sprofondare nel pavimento e sciogliersi lì.

«Che ti avevo detto?» dice Mark, ancora con quell'ampio sorriso dipinto in faccia, dandogli una pacca sulla spalla prima di raggiungere Nathan e arrampicarsi sul bancone, allunando un braccio per rubare un po' d'impasto.

«Tieni giù le mani!» lui lo rimprovera, i capelli raccolti in una crocchia disordinata dietro la testa, e Mark si china a scostargli una ciocca di capelli dagli occhi, ridacchiando. Una macchia di impasto è sul suo naso ma Nathan sembra decidere che non glielo dirà.

Bobby li osserva per un momento sbattendo le palpebre, finché Nicky non lo chiama dal pavimento, dov'è seduta con le spalle contro le gambe di Axel.

Non capisci mai la differenza che c'è fra essere guardato e non solo visto finché non incontri Nicole Swift.

«Booooobby, vieni qui!» lei trilla, gli occhi che scintillano, «Abbiamo bisogno che tu risolva questo dibattito!»

Bobby non risolve il dibattito.

In effetti, non è nemmeno del tutto sicuro su cosa sia esattamente il dibattito.

Tutto quello che sa è che è seduto sul divano, mentre Nicky gli sta presentando un ragazzo dai capelli biondi corti con una camicia dai motivi orribili, sorridendo in quel modo per cui non riesci a capire se si stia semplicemente comportando da bambina, o stia solo cercando di essere fastidiosa.

«Questo è Liam,» lei dice, gli occhi di Bobby passano da lei e all'amico di Paul Walcott avanti e indietro, come se non ricollegasse.

Sconcertato, aggrotta le sopracciglia «Lui è...»

«Il suo nuovo caso di beneficienza, sì» borbotta seccamente Kevin, dall'altra parte di Axel, che gli affonda il gomito nelle costole «Ahio

«Oh, adoro quando succede questo,» sussurra Nicky, felicemente, e Liam tossisce una risata un po' strozzata mentre i suoi occhi si incontrano con quelli di Bobby.

«Ehm...sì. Ciao.» lui dice, mentre tende una mano molto grande e abbronzata a Bobby. «Sono Liam. Callaghan. Sono ehm...ci siamo conosciuti alla festa»

La sua voce è un po' strana, un po' impastata, un po' incerta, diversa da quello che ci si aspetterebbe da lui vista la sua stazza, e Bobby si meraviglia per un secondo che nella realtà Liam Callaghan - lo scagnozzo stupido e forzuto di Paul - sembri per lo più un pasticcio balbuziente. Un bel pasticcio balbuziente, ma ancora.

«Beh, non devi essermi rimasto molto impresso» risponde, l'innocenza dipinta sul suo viso come se non avesse mai fatto niente di sbagliato o cattivo in vita sua, quindi si allunga per prendergli la mano, stringendogliela ma lasciando che il contatto indugi «Bobby Shearer»

La faccia di Liam diventa rossa e Bobby scuote la testa, non potendo fare a meno di sorridere vendendolo barcollare un po' all'indietro, mentre Willy ordina a tutti di fare silenzio per l'inizio del film e i biscotti bruciano e tutti cominciano a ridere.

E questo.

Questo si sente come il sole.


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Circa tre ore dopo, è quasi mezzanotte il film è finito e nessuno di loro sembra aver intenzione di andarsene.

Un qualche modo, Bobby e Liam sono in un angolo, ancora parlando, e Bobby sta facendo quella cosa dove si appoggia al muro e cerca di sembrare figo, ma si sta anche sbilanciando così tanto che si sta aggrappando al muro per stare in piedi. Sembra che Liam stia per svenire, e Nicky non sa se compatirlo o ridere.

Loro parlano di calcio. A proposito della vacanze. Dei prof. Jack e Toad accendono la PlayStation e Celia e Silvia iniziano a cantare insieme alla radio, dondolando insieme.

Nicky abbassa lo sguardo sulle carte di UNO, alzando distrattamente un elastico ad Axel, sul divano.

«Sto solo dicendo,» insiste Steve, seduto fra Jim e Max, picchiettando le dita sul tappeto. «Era ovvio che Wintersea fosse un poco di buono. Lavora alle medie da trent'anni, la moglie lo ha mollato, insegna storia ed è sottopagato. Ha praticamente la backstory di un cattivo di Batman!»

«Era un insegnante» Axel ribatte, cercando di ricordare il verso della treccia. «Non c'è niente di ovvio nel fatto che abbia provato a sabotarci, prendi quattro carte.»

«Si è mai riferito direttamente ad uno studente per nome?» chiede Max, con uno sbuffo.

«Certo che non lo sai, perché hai dormito durante tutte le sue lezioni. Prendi le carte

«Chi non l'ha fatto?» borbotta Max, senza vergogna, e Kevin alza il bicchiere in un piccolo brindisi. «La cosa migliore di questa faccenda è che ce lo siamo levati di torno prima dei test»

«Sono proprio contento che se ne sia andato» mormora Jack, le gambe incrociate sul tappeto mentre agita il joystick su e giù.

«E pensare che per tutto questo tempo ha fatto il doppio gioco-AH-AH!» Toad esulta, - noo, non è giusto! - balzando in piedi mentre il suo avatar viene sommerso di coriandoli.

«Ma avete visto che faccia ha fatto quando è stato scoperto?» chiede Nathan, appollaiato sul bracciolo del divano, la spalla premuta contro quella di Mark a causa del poco spazio.

«E' davvero un bene che uno come lui abbia lasciato la nostra scuola, ed è tutto per merito tuo!» esclama Timmy, gettando compiaciuto il suo +4 mentre sorride a Nelly, seduta sulla poltrona con le gambe accavallate.

Silvia fa un piccolo suono di accordo, sorridendo «Timmy ha ragione, Nelly»

«Sottoscrivo, sei una manager fantastica» dichiara Celia, ridacchiando divertita «E grazie a te ho la prima pagina del giornalino assicurata!»

«Ora nessuno potrà impedirci di vincere il campionato regionale!» esclama Kevin, allungandosi per dare un colpetto ad Axel sul lato del ginocchio.

«Solo che abbiamo un problema,» li informa Willy, fissando accigliato le sue carte, una dozzina di testa che si voltano contemporaneamente verso di lui per sapere di che si tratta «Il regolamento del Football Frontier dice che una squadra non è autorizzata a disputare il torneo senza un'allenatore regolarmente tesserato»

Mark quasi inciampa in avanti, sembrando così devastato da questo sviluppo che è davvero un po' straziante. «Che cosa»

«Ci risiamo» canta Steve, sprofondando un po' di più nel divano.

«Nelly tu conoscevi questa regola?» Mark soffoca, girandosi di scatto per fissarla con gli occhi spalancati.

«Ah-ehm...» Nelly si ferma, schiarendosi la gola, la faccia in fiamme «Certo che la conoscevo, anzi da questo momento fareste meglio a cercarvi subito un nuovo allenatore,» e poi, raddrizzandosi «Fate conto che stia parlando a nome del consiglio d'amministrazione»

Mark geme e butta indietro la testa per appoggiarla sulla coscia di Nathan, mentre Willy strilla, assolutamente trionfante «UNO!»




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«ZONA MICIDIALE»

La hubris, è il difetto che nell'antica Grecia accomuna i grandi eroi.

Achille. Ulisse. Alessandro Magno.

Arroganza, eccessivo orgoglio, pericolosa sicurezza.

«Provate ancora»

Volevano la gloria. I loro nomi incisi nella pietra. Le loro storie tramandate nei secoli come miti.

Mai completamente soddisfatti, mai appagati.

L'universo gli stava stretto.

«ZONA MICIDIALE»

Certe volte, Jude crede che la preparazione al Football Frontier non sia molto diverso da quello per la conquista di una città. O una battaglia.

Una monotona litania di elenchi. Del raschiamento delle penne e dei litigi. Allenarsi finché le ossa non scricchiolano.

«Mi sembra che sta volta sia venuta meglio del solito, vero?»

Chi farà cosa.

Chi deve migliorare cosa.

Chi ha bisogno di cosa.

Attaccheremo gli avversari da subito, no aspetteranno e risparmieranno energie, no, non attaccheremo affatto, ma li sfiancheranno finché non si presenterà l'occasione. E bla, bla, bla.

«Jude?»

«Uh? Sì.»

Joe King lo sta fissando, occhi intensi.

È molto affascinante. Quel tipo di persona che conquista il pubblico, per cui faresti il tifo, scriveresti cartelloni.

Almeno questo è quello che la gente dice sempre di lui.

Jude non ha alcun interesse per il fascino.

«Che c'è?» Joe spinge, mentre i ragazzi corrono davanti a loro. Per quanto Jude possa dire, sono solo loro due, così vicini, così distanti, nessuno dei due guarda l'altro.

Non volevano diventare amici. Nessuno dei due voleva, ma era quasi inevitabile.

Vedendosi l'un l'altro durante le feste, e gli incontri informali e le riunioni di cui solo i loro padri prendevano parte mentre loro sedevano fuori.

La loro amicizia si formò più nella comprensione silenziosa che nelle parole.

In quel modo in cui entrambi sapevano esattamente cosa stava succedendo a casa, a porte chiuse. Sapendo come ci si sentisse a essere figlio di un uomo con tanto potere sulle spalle.

Quando altri bambini sognavano di diventare veterinari, astronauti o costruttori, e l'apice della libertà di decisione per quelli come loro era quello di scegliere tra diventare medici o avvocati.

Una gabbia.

Solo una graziosa gabbia.

Solo una grande, fredda e vuota casa a schiera piena di cose che erano "da guardare, mai da toccare", e genitori a cui non importava dei loro figli al di là di loro che apparivano presentabili alle cene.

«Niente, ero solo distratto.»

Avvolte, Jude pensa che potrà addarsi.

Prega di cambiare, ma c'è qualcosa in lui. Grande e mostruoso come un'onda oscura. Una tempesta. Gli riempie le orecchie di ronzio e gli preme contro le costole. Minaccia di prenderlo con sé.

Il pallone gli arriva fra i piedi e Jude lo odia, ma soltanto un po'.

Forse meno di quanto dovrebbe.

Probabilmente resterà lo stesso.

«Provate ancora»

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«Sentite io vorrei trovare un'allenatore che vada bene a tutti.» dice Mark, rimbalzando un po' sulle punte dei piedi, troppa energia che scorre nei suoi muscoli, «Anche se ora siamo senza non vuol dire che perderemo le finale! Perciò basta deprimersi e iniziamo a cercare!»

Nicky sospira, stesa sul pavimento della sede. Ha brutalmente sonno, troppo sonno per muoversi o pensare. I suoi piedi dondolano pigramente contro il muro e nessuno dei ragazzi accenna a muoversi, praticamente addormentati.

Alzarsi così presto nei festivi dovrebbe essere ormai una routine, specialmente nei pochi giorni che precedono una partita. Ma oggi sarebbero tutti rimasti volentieri a dormire senza Nathan e Mark a bersagliarli di cuscini.

«Dobbiamo proprio?» Sam biascica debolmente, e Mark sembra inorridito all'istante: «State scherzando? Dobbiamo muoverci

«Ancora cinque minuti, mamma» farfuglia Toad, sistemando di nuovo la testa sulla spalla di Jack e Mark sembra pericolosamente vicino a una crisi di nervi.

Steve alza la testa, «Potremmo chiedere alla federazione se ce ne procura uno»

«Bravo Steve, hai avuto un'ottima idea» concorda Jack in tono di supporto, gli occhi appannati dal sonno e una mano sotto alla guancia.

Sbadiglia e Nicky sbadiglia di riflesso, «Mh, non so.» dice, le parole un po' impastate «Insomma, se Lord Palpatine si è portato al lato oscuro uno dei nostri insegnanti, chi gli vieta di fare lo stesso con un tizio a caso della federazione?»

Mark sbatte le palpebre «Dici il signor Dark?»

«Sì, quello» lei annuisce, agitando casualmente una mano, cosa che le fa guadagnare una decina di gemiti con varie forme di frustrazione. Si solleva appena, guardandoli «Ehi, che ho detto?»

«Probabilmente la cosa più intelligente che ti abbia mai sentito uscire di bocca» commenta Nathan, strofinandosi stancamente gli occhi.

«Aw, grazie!»

«Dalle sciocchezze che dite non mi pare che abbiate le idee molto chiare» interviene Willy, sistemandosi gli occhiali «Se volete il mio parere la cosa più logica da fare sarebbe stata trovarci un nuovo allenatore prima di licenziare quello vecchio!»

«Cosa dovrebbe significare?» chiede Nelly, ovviamente offesa e Kevin le scocca un'occhiata.

«Sapete che c'è?» chiede, le mani dietro la testa, «Io credo che dovrebbe essere la signorina Nelly a procurarci un nuovo allenatore. Se ci troviamo in questa situazione è colpa sua, visto che ha cacciato Wintersea: dovrebbe assumersi le sue responsabilità»

I ragazzi scoppiano immediatamente in un applauso e Nelly li livella tutti con lo sguardo, rivolgendo loro sorriso di zucchero, «Se avessi lasciato che continuasse a farvi da coach a quest'ora sareste tutti all'ospedale, quindi immagino che quello che state cercando di dire sia grazie»

Kevin boccheggia, «Io non

«Tutte queste chiacchiere sono una perdita di tempo!» sbotta Mark, facendoli sobbalzare, un piede già fuori dalla porta «Invece di stare qui andiamo a trovarci un nuovo allenatore, forza!»

«Sì ma non possiamo sceglierne uno qualunque» dice Nathan, poi alza le sopracciglia verso di lui, «Dev'essere almeno in grado di aiutarci a vincere contro la Royal»

Mark geme come se stesse morendo, ma torna diligentemente al suo posto, imbronciandosi.

Bobby fa un sospiro, «Ha ragione, ci serve uno affidabile.»

«E che non se ne intenda di motori» aggiunge Nicky, saggiamente.

«Grazie mille, questo lo so benissimo anch'io!»

Jim mormora, «Che peccato. Wintersea non aveva un grande carisma, però anche solo la sua presenza durante le partite bastava a infonderci un po' di sicurezza, forse non tutti vi siete accorti di questo fatto.»

I ragazzi scoppiano in un lamento collettivo che per qualche ragione sembra risvegliare Axel, «Mark scusa»

«Sì?» il capitano praticamente salta, il viso improvvisamente rianimato.

«Seymour, il signore che gestisce il ristorante se non sbaglio conosceva tuo nonno, giusto? Rivolgiamoci a lui»

«Finalmente un'idea sensata!» sospira Nicky, stiracchiandosi come una specie di grosso gatto «Sto morendo di fame!»

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Ritrovatosi accerchiato da un branco di adolescenti, il signor Hillman alza a mala pena lo sguardo dalla padella.

«Non disturbatemi, sto lavorando»

«Sì, è vero scusaci» mormora Mark, le parole del vecchio apparentemente abbastanza dure da farlo tacere e fissarlo.

Per circa tre secondi.

«Però tu conoscevi mio nonno e il quaderno degli appunti segreti!» sì sta sporgendo in avanti, ora, così tanto che finirà sdraiato sul bancone «Avrai una grandissima esperienza, e un'allenatore esperto e proprio ciò di cui abbiamo bisogno!»

"Okay." il signor Hillman fa una pausa, poi canticchia. "La risposta è ancora no."

La bocca di Mark si spalanca. "Ma-"

«Scusa Seymour,» si intromette Bobby, zittendolo prima che Mark si guadagni un mestolo in testa «Potresti togliermi una curiosità, per caso hai giocato col nonno di Mark?»

Il viso di Mark si illumina come se fosse Natale e l'occhio di Hillman si contrae in un tic nervoso.

«Credi che abbiano giocato insieme?!»

Bobby si stringe nelle spalle, sorridendo impotente «Be' potrebbe darsi, insomma se il signor Seymour conosceva tuo nonno potrebbe aver fatto parte anche lui della leggendaria Inazuma Eleven»

«Forse vi siete dimenticati quello che ho detto l'altra volta.» il signor Hillman si ferma bruscamente e alza la testa, gli occhi lampeggianti «E' come se l'Inazuma Eleven avesse una maledizione, ha sempre portato sfortuna e guai, se fossi in voi eviterei anche solo di parlarne.»

I ragazzi aprono chiudono la bocca, colti alla sprovvista e un po' agitati, e Jack si stringe a Kevin così forte che per poco non lo soffoca.

«Ma siamo già arrivati fin qui, vero?» lo sfida Mark, voltandosi di nuovo verso di lui, accendendosi. «Vogliamo arrivare in Nazionale e abbiamo bisogno del tuo aiuto!»

Il signor Hillman lo fissa per un lungo momento prima di sorridergli.

«Sai che ti dico?»

«Sì?!»

Il vecchio gli sbatte un foglio di carta davanti alla faccia «Questo è il menù, o ordinate qualcosa o vene andate»

«E va bene!» Mark sbotta velocemente, imbronciandosi mentre si lamenta interiormente del fatto che Hillman l'abbia presa così male. «Prendo gli involtini primavera!»

«Involtini primavera in arrivo» Hillman grugnisce, riprendendo il suo lavoro finché Mark non sussulta, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans prima di ricordarsi che non ha tasche e non indossa jeans.

Si prende un secondo per capire cosa presumibilmente sia appena successo, poi soffoca; «Ho lasciato il portafoglio nello spogliatoio.»

Lancia un'occhiata ai suoi amici per chiedere aiuto, ma Nicky lo guarda sbalordita e Bobby si porta la mano alla fronte mentre Axel e Nathan scuotono stancamente testa, il più vicino possibile alla porta.

Lentamente, Mark guarda di nuovo Silvia, che gli sorride: «Non preoccuparti l'ho chiuso a chiave io prima di uscire, l'avevi lasciato aperto»

Mark ridacchia come se stesse per strozzarsi, «Grazie ma non è questo il problema» e poi, portandosi una mano alla nuca, «Scusami tanto non ho i soldi per pagare»

Il tic nervoso ritorna, «FUORI!»

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L'acqua bollente della doccia gli procura un brivido doloroso e, allo stesso tempo, piacevole.

Jude chiude gli occhi.

Respira lentamente, aspirando il profumo troppo intenso del sapone.

Cerca di concentrarsi sulle sensazioni. Di non pensare.

Non pensare. Non pensare. Non pensare.

Quando esce, oltre a lui non c'è nessun'altro negli spogliatoi. Perché dovrebbero? Hanno avuto la pratica questa mattina. Ma Jude si sente irrequieto, fili troppo tesi, un tamburo che non la smette di suonare.

Non può semplicemente fermarsi. Ancora pieno di questi sentimenti che non hanno dove andare, graffiandogli l'interno della pelle.

Quindi si spinge fino a quando non riesce a respirare. Fino a quando non si sente come se stesse per ammalarsi, fino a quando le sue gambe tremano, pregando sé stesso di non pensare, non pensare, non pensare.

Alla fine, lui torna nella sua stanza.

Cammina. Guarda il suo telefono. Fa i suoi compiti. Lui cammina.

Cerca di dormire. Si sveglia. C'è un giornalino nel secondo cassetto della sua scrivania, pagine ingiallite dal tempo

Non pensare non pensare non pensare.

Sarebbe semplice dare la colpa a Shearer, o a Dark o alla morte dei suoi genitori, ma la verità è che pensa che fosse lì prima.

Una creature che vive nel suo petto, nera e confusa e vertiginosa.

È quasi sicuro che sia la ragione per cui è così bravo a calcio.

Un momento non sentirà nulla e quello dopo lei prenderà il sopravvento e lo brucerà, pronta a fare a pezzi qualcosa.

Non ci vuole molto. A volte non ci vuole nulla. Pensa che se fosse una persona migliore lo spaventerebbe. Ma non è così. Probabilmente dovrebbe spaventare Dark.

Fissa il telefono, con il pollice sospeso sul contatto di Celia.

Nonpensarenonpensarenonpensare...

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«E tu cosa ci fai qui?»

«Non lo so, il vento soffiava dalla parte giusta, il sole splendeva, ero annoiata.» sorride Nicky, praticamente saltando sullo sgabello al suo solito posto per ordinare la solita cosa.
E poi, quando gli occhi del signor Hillman si chiudono per il sospetto, si porta una mano sul petto e aggiunge: «Ho i soldi, parola di scout!»

Il signor Hillman inarca un sopracciglio. «I tuoi amici hanno eletto te come loro rappresentante?»

«Meeh, si può dire così» lei fa le spallucce, il naso che si arriccia mentre osserva le verdure bollire nella casseruola, «Lo sa, non è stato molto carino buttarci fuori così. Sono atterrata addosso a Sam e le assicuro che le sue urla nelle orecchie non sono affatto divertenti»

«Oh, signore» borbotta Hillman, un misto di esasperato e rassegnato, accendendo il fuoco.

«Lo sa signor Hillman,» lei continua, con aria riflessiva, «Lei non è molto carino con i suoi clienti. Non volevo dirglielo, ma glielo dico. Qualcuno doveva. Meglio una verità nuda e cruda, dico io»

«Non hai qualcun altro da importunare?» borbotta Hillman, stancamente «Amici? Parenti? Serpenti velenosi?»

«No, solo lei» ammette Nicky, calorosamente, e poi: «Sa, se non minacciasse la gente col mestolo raccontando storie inquietanti, forse non spaventerebbe così le persone»

Il signor Hillman si fa beffe, «Se mi trovi così terrificante, perché continui a venire qui?»

«Sono o non sono la sua cliente preferita?» lei chiede, il viso che si illumina mentre il vecchio uomo scuote la testa, voltandosi dall'altra parte, il lampo di un sorriso sotto la barba bianca.

«Oh sì, le tue chiacchiere ininterrotte danno un senso alle mie grigie giornate»

Lei è raggiante, «Allora ci farà da allenatore?»

«Assolutamente no» Hillman fa un piccolo movimento come se cercasse di scacciare via i dei moscherini.

«Andiamooo, perché no? Se Mark la annoia troppo può sempre disattivare l'apparecchio per le orecchie e non starlo a sentire più, sa, i ragazzi non se ne accorgerebbero nemmeno, davvero»

«Credimi, ragazzina, se avessi un'apparecchio per le orecchie lo avrei già disattivato» borbotta Hillman, nell'esasperazione.

«Allora non-»

«Facciamo un gioco, ti va?» Hillman la interrompe, suonando ironicamente molto vecchio tutto d'un colpo «Vince chi riesce a tenere più a lungo la bocca chiusa»

«Forte, a mia madre piace questo gioco! Magari dopo, però, ora sono in missione»

«In missione?» ripete Hillman, visibilmente sospettoso.

«Ci faccia da allenatore, la prego, la prego, la preeego»

Il signor Hillman ha di nuovo quell'espressione esasperata sul volto e Nicky si chiede distrattamente se gli verrà un crampo muscolare entro la fine della giornata, «Oh, per l'amor del cielo»

«Ma pensi alle possibilità!» Nicky insiste, elencando sulla punta delle dita «Potrebbe essere super cattivo e terrificante tutto il tempo e verrebbe anche pagato! Praticamente un sogno!»

«Quello vecchio che fine ha fatto, l'avete fatto esaurire?»

«Ma no, era una spia sotto copertura che voleva ucciderci tutti sabotando i freni del nostro autobus!»

Hillman la fissa per un momento. «Prendi i tuoi noodles»

«Sto dicendo la verità!» lei esclama, quasi rovesciando il piatto che il signor Hillman le ha appena messo davanti. Quindi tira fuori indignata le sue bacchette e inizia a mangiare, mentre Hillman la guarda con uno sguardo un po' perplesso, come se non avesse mai incontrato una persona che capisse di meno.

Di colpo, lei alza lo sguardo, gli occhi spalancati «Non è malato, vero?›

Il signor Hillman si acciglia, «Chi dice che io sia malato?»

«Oddio, lo è?!»

«No» lui sbuffa, e lei sembra così sinceramente sollevata che è commovente.

«Oh, menomale, mi ha fatto prendere un colpo! Dico davvero, sa, il fatto che lei stia per morire metterebbe davvero un freno a tutta questa faccenda del ritorno all'antica gloria».

«Posso cambiare la mia risposta?» è la risposta secca di Hillman, le labbra che si contraggono appena.

«Allora cos'è, non le piace più il calcio?» Nicky lo guarda, comprensiva «Non è un problema, sa? Credo che sia normale che dopo un po' non ti piacciano più le cose. Io lo so, ho fatto danza, karate, calcio e snowboard, e ho anche avuto il periodo in cui volevo fare equitazione, ma poi Fulmine il pony mi ha dato un morso e ho-»

«Aspetta, frena un momento» il signor Hillman apre e chiude la bocca, appena confuso «Vuoi dirmi che tu non giochi con loro?» chiede sorpreso. Ma lei si limita a scrollare le spalle.

«Be' no? Sono capo tifoseria.»

«Capo tifoseria» ripete Hillman, lentamente. «Come...cheerleader?»

«Be', sì.»

«E allora si può sapere perché passi tutto il tuo tempo con quei ragazzi?» chiede, con gli occhi che lo scrutano, la fronte aggrottata «Non hai altri amici?»

Questo per qualche ragione sembra agitarla, la gamba che prende a fare su e giù sotto la tavolo. «Ecco, non proprio. In generale, credo che il resto delle persone pensi che io sia un po' strana»

Hillman inarca un sopracciglio. «Ed è un problema?»

«Ehm,» dice Nicky, poi si guarda le dita e non elabora. «Posso dirle un segreto?»

«No,»

«D'accordo, glielo dico» lei sospira, «La verità è che quando mi guardano perché parlo troppo, o perché dovrei far crescere i capelli, in realtà forse fa un po' male. Ma poi penso che non può fare più male di passare ogni giorno della mia vita a essere qualcosa che non sono, e allora mi passa» alza lo sguardo, speranzosa «No?»

Hillman arriccia le labbra, «No, infatti»

«Ascolti, potrei...» i suoi occhi strisciano verso la porta, incerti «Non è che potrei restare qui con lei? Per un po'? Aiutarla a pulire o cose simili?»

Hillman tossisce una risata secca, voltandosi per dirigersi verso il ripostiglio, «Non se ne parla»

«Oh. Certo, okay.»

C'è un battito di silenzio, poi: «Pulisci pavimenti»

Lei guarda, gli occhi grandi «Che cosa?»

«Pulisci i pavimenti» ripete il signor Hillman, più lentamente, ricomparendo con uno scopettone in mano e un secchio nell'altra «E limita le tue smancerie da mocciosa a zero, chiaro ragazzina? Niente musica pop e chiacchiere»

«Come, dice sul serio?» Nicky espira, praticamente saltando su da sul posto e lui alza così forte gli occhi al cielo da gettare all'indietro la testa.

«Non farmi pentire» borbotta, quindi sparisce di nuovo e Nicky dura tutti e cinque i secondi prima di saltare in piedi e prendere a pugni l'aria, sorridendo e festeggiando da sola come una sciocca.

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Mark Evans è un idiota.

Ma in modo affascinante.

Come un bambino che continua a ridere dei propri piedi, o un cane che si morde la coda.

Lì fermo in mezzo al campo occupa troppo spazio, come sembra fare ovunque vada, circondato da persone.

Un vero enigma filosofico.

«AH! Fermo! Lasciamo stare Jack mollami dai non farmi sprecare energie inutilmente!» lui strilla, così forte che i suoi amici scoppiano a ridere, cercando invano di scollarsi di dosso Jack Wallside che piagnucola mentre si trascina attaccato alla sua maglietta.

«Dimmi che ne troveremo uno!»

«Ma certo ci sarà sicuramente qualcuno disposto ad allenarci!»

«E chi è questo qualcuno?!»

«E io come faccio a saperlo?!»

«Quindi non c'è nessuno?!»

«Ma no! Non è detto-»

I ragazzi stanno ancora ridendo quando Shearer si accorge di lui, la macchina troppo costosa parcheggiata sul ponte.

C'è più rumore dopo, mentre si avvicina. Congetture, crede. Perché è qui? Cosa vuole? Dovremmo fermarlo?

Celia lo guarda, e il corpo di Jude sfrigola. Sangue e carne e famiglia e famiglia famiglia, ma alla fine è Mark Evans che gli va incontro, a suo agio e sorridente e incauto e completamente solo.

Come già detto. Un idiota.

«Vorrei scusarmi per la faccenda di Wintersea.» gli dice, quando è abbastanza vicino, le parole che si forzano fuori dalla sua bocca. «E anche per quanto riguarda Bobby»

Evans sembra sorpreso per un minuto prima che l'espressione scompaia, «Ah non preoccuparti Jude, è tutto apposto» dice, e Jude può vederla, quella scintilla nei suoi occhi, un po' pesante e calda. Come se davvero non importasse, come se perdonarlo non gli costasse niente. «E poi Bobby è in gamba, è stato un ottimo acquisto»

Jude gli regala un sorriso asciutto. Ingoia parole che hanno i denti. Commenti che tagliano.

«Non sai quanto vi invidio, tutti quanti,» ammette alla fine. La brutta verità. «Non ti prendo in giro Mark dico sul serio. Se la Royal continua a stare in testa a tutte le classifiche è solo grazie ai trucchetti del nostro capo. Non è merito della nostra abilità»

Mark emette un piccolo suono di protesta, «Sono un mucchio di sciocchezze›

«Avrei tanto voluto battermi lealmente, e avrei anche accettato la sconfitta se l'avessimo meritata, puoi credermi» Jude continua, i pugni chiusi, la sensazione che ronza. L'onestà non è naturale per lui. «Ma fino ad ora non abbiamo mai ottenuto una vittoria in modo pulito e senza imbrogli»

«Io non credo a quello che dici Jude» Mark sbotta, probabilmente perché non ha mai sentito parlare di una voce interna. Dice tutto come se lo stesse urlando sul campo da calcio. Jude vuole farlo a pezzi.

«Come sarebbe e tu che cosa ne sai?!»

«Lo so molto bene!» Mark alza una mano, tagliandolo via, guardandolo con spudorato rispetto «Avrai tirato decine di volte in porta e ho preso molti dei tuoi tiri!» lui sorride, un colpo dritto sul petto: «Ho scoperto sulla mia pelle quant'è grande la forza della Royal Academy» dice, e Jude lo odia tanto che quasi ride.

«Ho notato che per voi le partite sono quasi un divertimento.» dice, prima di riuscire a fermarsi.

Pensa che forse lo era anche per lui a un certo punto. Pensa che forse gli è piaciuto. Non riesce davvero a ricordare ora però.

Ogni tanto sentirà qualcuno chiamare il calcio un gioco e lo prenderà alla sprovvista.

I giochi non sono importanti. I giochi hanno una posta in gioco bassa. I giochi sono divertenti.

Per la maggior parte della sua vita il calcio è sembrato qualcosa di molto, molto serio. Qualcosa a cui le persone più anziane, più intelligenti e più potenti di lui tengono molto.

Jude non ha alcun valore al di fuori di questo. Non ha uno scopo. Nessuno che lo ami.

«Già,» Evans canticchia, tranquillamente «Anzi avrai modo di vedere quanto siamo cambiati rispetto a prima»

Jude lo fissa, «Pensi che riuscirete a giocare la finale?›

«Siamo senza allenatore ma in qualche modo faremo.» Mark inclina la testa, sorridendo più luminoso «A proposito ti andrebbe di stare qui ad allenarti con noi?»

Jude fa un passo indietro istintivo da questo. Autodifesa, davvero. «Ma- sono un vostro avversario»

«Cosa vuol dire che sei un nostro avversario?» occhi grandi, un sorriso enorme. Idiota. Idiota. Idiota. «Niente ci vieta di essere amici almeno per oggi, no?»

E poi, quando Jude continua semplicemente a fissarlo a fissarlo: «Allora, ti va?»

«Magari passo uno di questi giorni» risponde Jude, alla fine, un lampo di divertimento gli balena negli occhi prima che riesca o provi a fermarlo.

Perché Mark Evans è un idiota, ma è un idiota che potrebbe vincere il Football Frontier.

Un'idiota che Jude Sharp seguirebbe se glielo chiedesse, le chiavi della gabbia in mano.

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Sono di nuovo qui, Jude e suo padre dall'altra parte del tavolo. Lontani.

Villa Sharp silenziosa e assolutamente infelice.

«Che cosa c'è che non va, Jude?» chiede suo padre, cauto. Mani coi guanti intorno alle parole.

Jude lo fissa.

Ha passato così tanto tempo a stare zitto con lui che pensa di aver dimenticato come parlargli davvero.

«C'è che non sono neanche degno di portare il nome Sharp, non lo vedi?» è ciò che dice alla fine, parole che rimbombano. Ciniche e fredde e pronte a rompere i bicchieri. Spaccare il marmo.

Il silenzio che segue questa affermazione è pericoloso. Suo padre lo guarda come se non lo avesse mai visto prima. Come se non avesse idea di chi sia. Apre la bocca e poi la richiude, il silenzio tra loro si protrae dolorosamente a lungo.

«Mi dispiace?»

Più silenzio. Gli fa accapponare la pelle.

«Sì,» Jude dice, e poi, prima che suo padre possa anche solo pensare di rispondere. «Anche a me»



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«Spiega», dice finalmente Dark, la voce aspra.

E' quasi innaturale vederlo qui, fermo davanti al suo televisore, nella sua camera. Alla luce.

Suo padre deve averlo chiamato.

Mai sapendo come gestirlo altrimenti. Mai sapendo come prenderlo.

Da bambino, Jude viveva nell'adorezione di Dark. Sempre alle calcagna. Silenzioso, consapevole, assorbendo ogni parola che gli uscisse di bocca.

Guardandolo e pensando: un giorno, un giorno, sarò proprio così.

Ora lo guarda e non vede niente.

«Chi sono io?» chiede, sapendo che era una cosa stupida da dire ancor prima che gli uscisse dalla bocca.

Le mani di Dark si stringono come se volesse colpire qualcosa. Per un momento, Jude lo sfida a provarci... ma lui emette un sospiro. Si piega. Fa un passo indietro e guarda Jude. Lo guarda davvero. I suoi occhi sembrano scansionarlo come se stesse prendendo le misure per un nuovo completo.

«Ho passato anni a cercare qualcuno con un talento straordinario» dice Dark, le sue parole sono morbide. «E mi ricordo come se fosse ora la prima volta che ti vidi giocare a calcio: avevi solo sei anni ma possedevi già una perfetta padronanza del pallone. Non potevo credere alla mia fortuna»

Jude ricorda quel giorno. Un bambino nella polvere. Le urla di Celia che diceva è il migliore, mio fratello, mio fratello è il migliore.

Ricorda un uomo, dall'altra parte della recinzione. Guardarlo proprio così.

«Credevo tantissimo in te,» lui va avanti, «È per questo che ti ho immediatamente raccomandato agli Sharp e ti considero l'erede naturale della Sharp Corporation. Il tuo futuro è assicurato, ti aspetta una carriera brillante e guadagnerai più soldi di quanto immagini, che puoi desiderare di più?»

Non lo so, è la risposta onesta a questa domanda. Non lo so. Niente di buono.

«Giocare a calcio»

Gloria. Nomi incisi nella pietra. Storie tramandate nei secoli come miti.

L'universo gli sta stretto.

«Nessuno ti ha mai obbligato a giocare, e nessuno te l'ha mai impedito.» risponde Dark, tranquillamente «Sei sempre stato libero. Il calcio è un ottimo esempio, perché in campo sei tu che imposti le azioni, così come tu padre organizza il suo lavoro. Bisogna pensare, muovere le pedine, le strategie, guidando i movimenti dei giocatori e sapendo che uno sbaglio può provocare un fallimento.»

Jude stringe le mani, a denti stretti. Il sorriso di Dark è affilato e morbido e lui lo odia e non lo fa. «Ma con le scelte giuste, proverai il tuo valore a te stesso e sarai degno di portare avanti il nome della compagnia»

«Lei dimentica un piccolo dettaglio,» Guarda Dark. Il suo volto è duro, arrabbiato. Lui morde: «E cioè che non ho mai vinto in modo pulito. La mia forza è falsa»

E il viso di Dark si chiude mentre fa un passo indietro, una luce pericolosa negli occhi, «Sai quanto è odiosa la sconfitta» risponde, e Jude lo sa. Lo ha visto. Lo odia. «O forse ti piace essere un perdente?»

Quando Jude era bambino, non riusciva a concentrarsi.

Occhi rossi come insetti che volano di qua e di là senza il suo controllo, mai stati bravi a stare fermi o ad obbedire.

Tutto il suo mondo troppo rumoroso e troppo luminoso e troppo veloce e troppo troppo troppo troppo troppo.

Nessun insegnante, preside, assistente sociale o suora poteva calmarlo, non fino a Dark.

Ma avvolte lo sentirà ancora. Sentirà gli insetti. E le formiche lungo le braccia. Qualcosa che lo agita e lo tiene in movimento e gli fa cogliere tutto e troppo tutto in una volta.

È per questo che coglie il movimento. La mano di Dark che si allunga in avanti verso il giornalino. Dita che sembrano oleose e appiccicose come tentacoli.

«FERMO NON LO TOCCHI!»

Jude si strappa via. Stringere e stringere e stringere ciò che resta del suo cuore. Perché dentro di lui c'è un mostro. Lo sa. Urla e graffia. E non ha nient'altro che lo tenga umano.

Dark semplicemente lo guarda. «Aggrapparsi ai vecchi ricordi ti renderà solo più debole.»

Per un momento entrambi si bloccano lì. Un quadro. Un dipinto. Alla fine, Dark si volta.

«Buttalo via.»

"No lei non capisce," Jude gli lancia uno sguardo implorante. L'onestà arriva in frasi strappate dal fondo della gola. «Io voglio giocare e battermi lealmente, se sarò sconfitto pazienza ma almeno non avrò rimorsi.»

Si ferma. Aspetta. Trema. E si aspetta di vederlo urlare, arrabbiarsi, e ferirsi quanto lui...ma Dark è vuoto. È vuoto di tutto.

«Poco fa mi hai chiesto di rivelarti chi sei, te lo ricordi?» lui dice, un'ultima sguardo, un avvertimento, un pericolo «E' molto semplice, sei Jude Sharp»

Jude lo guarda allontanarsi. Ascolta la porta chiudersi dietro di lui. Sta lì e fissa. E cerca di non sentirsi come se avesse appena perso un padre per la terza volta.

«Spero che tu lo capisca.»



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«Si mette male ragazzi» dichiara Kevin, sdraiato sulla schiena, la testa appoggiata sulla coscia di Nicole. «Mancano due giorni alla finale, come lo troviamo un allenatore in così poco tempo?»

«Oh, se non fosse per quella stupida regola!» sbuffa Silvia, e Bobby geme mentre china pigramente la testa in avanti, girandosi leggermente per premerla contro il muro di pietra.

«Non vale la pena allenarci per conto nostro,» dice, gli occhi socchiusi mentre Nathan annuisce d'accordo «Senza allenatore siamo automaticamente esclusi dal torneo»

«Chi l'avrebbe detto che ci saremo trovati in una situazione del genere» sbuffa Mark all'improvviso, gettandosi sbraccia e gambe all'aria senza smettere di fissare il cielo, quasi si aspettasse che l'allenatore piombasse giù da lì portato dal vento come Mary Poppins «È proprio difficile essere ottimisti sta volta!»

Sotto di loro, qualcuno ride abbastanza forte da attirare brevemente la loro attenzione cinque teste che si girano di lato, inarcando un sopracciglio alla vista di Axel Blaze, in agguato dietro l'angolo, che si guarda intorno furtivamente come se fosse preoccupato che qualcuno possa notarlo.

Nessuno lo farà, i ragazzi sono sul terrazzo e possono vedere che non c'è nemmeno una persona nei dintorni.

«Cosa sta facendo?» chiede Kevin sospettoso, socchiudendo gli occhi mentre cerca di sporgersi più in là.

«Oh, probabilmente aspetta la sua lezione giornaliera di anatomia femminile» Nicky mormora, con nonchalance, sembrando anche assurdamente divertita.

«Lasciali in pace» la rimprovera Nathan, tirandola via quando tutti e cinque notano che Myriam si sta avvicinando, la divisa da tennis addosso e le guance arrossate dall'allenamento e Axel morde il suo sorriso.

Nicky fa schioccare la lingua, «Poveraccio, è ignaro come due muri mattoni, qualcuno di voi dovrebbe parlargli»

«A proposito, tu non dovevi parlare con Hillman riguardo alla faccenda dell'allenatore l'altro giorno?» chiede Mark, ansioso di cambiare discorso, inarcando un sopracciglio.

«Sì, e ho trovato un lavoro!» dice Nicky, e Kevin apre gli occhi per guardarla accigliato.
«Il vecchio pazzo ti paga per disastrargli il ristorante?»

Questo, predecidilmente, porta a una lotta giù per il pavimento, corpi e risate e strattoni.

«Ow, fottuto stronzo! Vattene, lasciami andare!»

«Oh, è fastidioso, eh?»

«I miei cazzo di capelli!»

«AHIO! Mi stai rompendo il maledetto ginocchio!»

«Allora lasciami andare.»

«Lascia andare prima tu.»

«No, lascia andare prima tu!»

«No tu-»

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Sulla via del ritorno a casa, Mark si appoggia al freddo cemento del muro e fissa la strada davanti a sé.

Sarebbe dovuto già essere a casa, ma non l'ha fatto.

Ha deciso di tornare a piedi nella speranza che questo lo calmasse ma in qualche modo è tornato di nuovo qui, davanti alla porta del ristorante del signor Hillman.

Chiuso. Avrebbe dovuto saperlo.

Emettendo un sospiro d'aria irritato, prende a calci il tappo di una bottiglia e lo guarda rotolare sulla strada e venire inghiottito da un'auto che passava.

Sarà dannato se perderà la finale con Jude per un vecchio cocciuto-

«Scusami, sei Mark Evans?» la voce di un uomo risuona dietro di lui e Mark si volta, gli occhi spalancati.

«Sono io»

Lo ha visto, ma non ricorda dove. Barba incolta e vestiti vecchi, logori e spiegazzati. Puzza di fumo, ma ha gli occhi buoni mentre sorride, «Bene, il mio distintivo»

«Lei è un'investigatore?» dice Mark, sorpreso, le palpebre che sbattono in un modo che sembra divertire il signor Gregory Smith.

«Ti dispiacerebbe seguirmi?» lui chiede, gentile e Mark annuisce, seguendo il Detective come un'ombra incerta.

«Mi dica come mai vuol parlare con me?» lui chiede alla fine, cavalcando un impeto di coraggio.

«Ho sentito che voi e la vostra squadra cercate un nuovo allenatore»

«Aspetti un'attimo, vuol dire che lei potrebbe allenarci?!» Mark si illumina, emozionato «Che bello!»

«Frena, temo che tu abbia frainteso» il signor Smith tossisce, le sue sopracciglia si uniscono in un inizio di cipiglio.

Mark si tira indietro, senza fare nulla per nascondere la propria delusione.

Il Detective gli sorride, «Io amo il calcio e lo seguo da una vita. Una volta ho visto una partita della tua squadra e a un certo punto...Mano di Luce!» dice, girando su sé stesso.

Mark si ferma, la bocca spalancata, e il Detective rilascia una risata sommessa, «Nell'amichevole contro la Royal, quando ho visto la tua Mano di Luce ho avuto i brividi, per un'attimo sono tornato indietro nel tempo e ho rivisto la leggendaria Inazuma Eleven»

«Che cosa? Lei conosce la Inazuma Eleven?» chiede Mark, sconvolto dalla combinazione.

Il Detective annuisce con un cenno del capo, «E' ovvio, era una squadra molto forte, pensa non ha mai perso una partita e poi a un certo punto successe la disgrazia, la sai la storia?»

Mark rimane in silenzio per un lungo istante, poi guarda il Detective, che ricambia lo sguardo, «Lo immaginavo.» ammette, spostandosi e sedendosi accanto a lui con un sospiro sommesso «Vedi, nel Football Frontier che si tenne quarant'anni fa arrivarono in finale la Inazuma e la Royal, considerata da tutti come la nuova stella del calcio, ma il pullman su cui viaggiava la Inazuma ebbe un'incidente, non si sa provocata da un guasto al motore da una ruota bucata o altro. Fatto sta che uscì di strada e si rovesciò.»

«I giocatori feriti tentarono lo stesso di raggiungere lo stadio, strisciando o camminando nonostante le lesioni, ma nel frattempo, una telefonata avvisò la gestione che la Inazuma non si sarebbe presentata in tempo per giocare. E così, la Royal vinse a tavolino e da quel giorno non ha più perso una partita per quarant'anni.» Detective resta in silenzio per un attimo, poi scuote la testa «I sogni di una squadra che si era preparata così a lungo per quell'evento spezzati in un secondo. Non si sono mai ripresi.»

Mark colpisce il terreno con le dita dei piedi, deglutendo un groppo in gola. Qualcosa di scomodo che gli tira il petto. Un pensiero. Un'immagine. Potevamo essere noi. «Chi fu a fare quella telefonata?»

«Questo non si è mai saputo,» dice il Detective «Ma sono certo che dietro c'è qualcosa di losco, sono diventato un'investigatore solo per indagare su questo caso.» e poi, sorridendo un po' più dolcemente «Scommetto che non te l'aspettavi una storia così brutta, vero?»

«Be', ad essere sincero proprio no.» borbotta Mark con una bassa risatina, e inclina leggermente la testa. «Mi dica una cosa, ma è vero che Seymour il cuoco faceva parte della Inazuma Eleven?»

Il Detective ride debolmente, passandosi la mano sulle guance. «Sì è così, anzi era il pupillo di David Evans. Pensa, aveva il tuo stesso ruolo nella squadra, era il portiere»

«Era il portiere?» Mark sbotta, entusiasta, alzandosi. «Fantastico! Grazie per le informazioni!»

Un pensiero. Un'immagine. Possiamo ancora essere noi.

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«Oh, ancora tu» dice il signor Hillman con un sospiro cinque minuti dopo, il giornale aperto sulle ginocchia. «Ma è un incubo»

«Sì, ancora io,» conferma Mark, sorridendo proprio mentre Nicky spalanca la porta dietro di lui, gli occhi luminosi e le guance rosee per il freddo, i capelli arruffati dal vento come se avesse corso, «Markie!» lei sorride, allegramente «Bello incontrarti qui.»

«Sei in ritardo,» le dice Hillman, in tono piatto.

«Sì, scusi, ho avuto un problemino, ieri ho scordato la borsa alla Steel Tower e-»

«Sei corsa fino a qui da scuola alla Steel Tower?» Mark apre e chiude la bocca.

«Be', ho-»

«Swift»

Gli occhi di Nicky scintillano «Sì, capo?»

«I piatti, ora. E tu,» il grosso dito di Hillman si punta su Mark per un secondo prima che torni a concentrarsi sul suo giornale, «E' inutile che continui a venire qui, la mia risposta sarà sempre no.»

«Certo, cero, va bene.» Mark annuisce, con apparente nonchalance, avvicinandosi «Ma che ne pensi di fare una scommessa?»

«Vuoi fare una scommessa con me?» dice Hillman, la voce grondante sarcasmo.

«Proprio così,» afferma Mark «Quell'investigatore che viene spesso qui mi ha detto che tu eri un portiere.»

«Immagino che parli del vecchio Gregory,» commenta lui, senza nemmeno battere ciglio, la guancia poggiata pigramente su una mano. «L'ho sempre saputo che era un chiacchierone. Uh, guarda, il prezzo del grano è salito di nuovo»

L'energia addensa l'aria, caricandola, e un'attimo dopo la borsa di Mark sbatte sul tavolo, gli occhi del vecchio che scattano su di lui per la prima volta.

«Ehi, che fai

Il potere di Mark è sempre stato impossibile da ignorare. Ribolle in cucina, palpabile, un'ondata di tempesta che riempie l'aria.
Quando è calmo, è ancora una presenza fisica. Quando è arrabbiato è come un temporale estivo.

«Come portiere dovresti essere in grado di bloccare qualsiasi palla, giusto?» lui dice, a voce alta, qualcosa che gli brucia nello sguardo «Ho sentito di quello che è successo, non sei arrivato in tempo alla grande partita. Be', boo-hoo, è ora di lasciar perdere

Nicky trattiene rumorosamente il respiro quando Hillman stringe le labbra in una linea sottile, continuando a scrutare il volto di Mark.

«Voglio darti l'opportunità di calcare di nuovo il terreno di gioco.» lui va avanti, «Perché ti sembrerà strano, ma la tua vita non è finita!»

«Se pensi di convincermi ti sbagli»

«No, ascolta, ci ho ripensato,» Mark si sporge bruscamente in avanti. «Un buon portiere deve fare forza sulle gambe e concentrare la sua energia sotto la vita per avere la forza che gli serve per tuffarsi sulla palla e proteggere la sua porta, giusto?»

Hillman abbaia una risata, «Hai ragione ragazzo, sotto l'ombelico. David Evans diceva sempre stronzate del genere quando mi allenava, un portiere deve infondere sicurezza alla squadra, in modo che i giocatori pensino a battersi con tutte le loro forze»

Il viso di Mark si illumina all'istante «Esatto, e questo è esattamente come ti batterò! Ti lancio una sfida. Voglio mostrarti le mie capacità di portiere.»

Hillman si acciglia, «Una sfida di che genere?»

«Tu dovrai tirare tre volte in porta. Se io ti parerò tre tiri su tre, diventerai il nostro allenatore.»

Hillman lo guarda di traverso. «Eh? tu dovresti pararmi tre tiri su tre? Be' credo di avere già la vittoria in tasca»

«Molto bene, quindi vuol dire che accetti»

«Certo, così poi mi lascerai in pace.» le labbra del signor Hillman si contraggono «Nicole, voglio trovare questo pavimento pulito come uno specchio per quando torno, ci siamo capiti?»

«Lei mi-mi sta affidando il ristorante? Dice sul serio signor Hillman?» soffoca Nicky, praticamente rimbalzando sul posto.

Il vecchio uomo alza gli occhi al cielo, «Te lo sto affidando perché è chiuso, e fammi trovare qualcosa di rotto, a fuoco o scheggiato al mio ritorno e rimpiangerai di essere venuta al mondo, chiaro ragazzina?»

«Signorsì signore!»

Quando escono, Nicky non può farne a meno; scoppia in un sorriso.

Hanno praticamente vinto.


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«Scusa, Jude, perché hai voluto vederci qui?»

Al buio, il volto di Joe passa da diffidente a torvo in un istante, «Perché non possiamo parlare nel club?»

Jude alza lo sguardo sui suoi compagni, poi altrove, lunghe ombre che si proiettano nel parcheggio «Perchè volevo essere sicuro che nessuno ci sentisse»

Può vederli, lanciarsi sguardi che non riesce a cogliere, messaggi segreti che non può decifrare.

È il loro capitano, ma non è mai stato una di loro.

È sempre stato da solo. Disparte.

Per qualcuno che pratica uno sport di squadra, non è mai stato un gran giocatore di squadra.

E non ho mai sentito molto bisogno di correggerlo. Fino ad ora.

«Ragazzi io non sono d'accordo con i metodi di Dark, e anche voi, non vorreste portare a casa una vittoria in modo pulito?»













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