v. diplomazia con un pizzico di panico

DARCY aveva scoperto tre cose riguardo i viaggi del tempo.

Uno: lei soffriva il mal d'auto come si trovasse in autostrada.

Due: quell'orsetto di peluche era più logorroico di suo fratello.

Tre: volare all'interno di un tunnel spazio-temporale era come sguazzare nel vomito di un unicorno.

«È sempre così colorata l'atmosfera da queste parti?» domandò Darcy, il naso incollato al finestrino.

Sentì Fei grugnire, senza rispondere.

«Sai com'è, è tutto così . . . arcobalenoso».

«È una conseguenza dell'energia che stiamo imbrigliando» spiegò l'orso, e Darcy storse il naso, afflosciandosi sul sedile. «Stiamo viaggiando attraverso il tempo, bucandolo, non hai idea di quanta energia serva per una cosa del genere».

«Giusto» borbottò Darcy, poggiando la testa sulla spalla di Arion. «Che stupida».

Notò Fei lanciarle un'occhiata, l'espressione incuriosita, e lei alzò un sopracciglio.

Il ragazzo scosse la testa e tornò a guardare davanti a sé.

Probabilmente, l'intera situazione le dava alla testa.

• [𖧷] •

Qualcuno doveva spiegarle come diamine erano arrivati a quel punto.

Insomma, quel giorno le aveva viste proprio tutte, tra orsetti di peluche parlanti, viaggi nel tempo e perdite di memoria, ma doveva ammettere che il destino continuava a sorprenderla.

«Siamo a una convention di fumetti e nessuno me l'ha detto?» domandò, guardando curiosa i tipi che avevano trasportato lei, Fei, Arion e Wonderbot in un enorme campo da calcio. «Perchè sembrate vestiti da Power Ranger».

Quando la macchina del tempo era atterrata — dio, quanto le pareva stupido dirlo — Darcy aveva capito subito che, dopotutto, forse quello non era un sogno.

Secondo Fei, erano atterrati nella Tokyo di 13 anni prima, e Darcy non aveva avuto dubbi a confermarlo vedendo lo stato in cui riversava la Raimon Junior High, la struttura completamente diversa e estranea.

Non ci avevano messo molto a trovare la ragione della loro visita, che consisteva in un ragazzino della loro età con una fascia arancione tra i capelli castani e un sorriso così largo che a Darcy facevano male le guance solo a vederlo. Mark Evans, l'avevano chiamato. A quanto pareva, quel tizio sarebbe stato la chiave per la squadra di calcio giapponese più leggendaria del loro decennio.

Anche se, a vederlo, Dars non ci credeva molto. Dopo averlo seguito per un po', era arrivata alla conclusione che, se avessero vissuto nello stesso periodo storico, non sarebbero andati molto d'accordo. Mark era fin troppo rumoroso, entusiasta e solare per i suoi gusti. Era cresciuta con un fratello che si spaventava a vedere la sua stessa ombra, e di sicuro lei preferiva rimanere quanto più distaccata da chiunque. Troppa espansione le dava alla testa.

Perciò, quando quegli sconosciuti in tutina attillata erano arrivati a creare problemi, Dars aveva preferito restarsene in disparte e lasciare al Ragazzo dal Futuro tutto il lavoro sporco. O almeno, fino a quando non erano stati teletrasportati via dalla scuola.

Un ragazzo Power Ranger dai capelli viola si portò una mano alla guancia, dove era attaccato un piccolo dispositivo. Bastò un secondo e il suo sguardo si posò su di lei: «Mi ricordo di te» disse, con voce apatica e fredda. «Non dovresti essere qui. Nessuno di voi dovrebbe. Sembra che abbiate viaggiato nel tempo per impedirci di implementare l'interruzione del flusso spazio-temporale».

«Che cosa carina, io invece non credo di averti mai visto in vita mia, e sono sicura che mi ricorderei di un tizio con un'acconciatura del genere». Inclinò la testa e si rivolse a Fei: «Secondo te dovrei aver capito il discorso sul tempo e lo spazio?».

Fei la ignorò.

«Cattivo».

«Che cosa sta succedendo?» esclamò Mark, facendo un passo avanti, una ragazza dai corti capelli castani, insieme a lui, che si guardava intorno spaventata.

«Ci sfiderai a una partita» rispose il capo dei Power Rangers, secco.

Dars alzò un sopracciglio, chiedendosi come un ragazzino solo soletto sarebbe stato in grado di giocare contro un'intera squadra.

«Allenatore Evans!» lo chiamò Arion, per poi arrossire come un peperone quando gli occhi di Mark si posarono su di lui, grandi e confusi. «Cioè . . . ehm, Mark. So che può sembrare strano ma . . . queste persone stanno cercado di eliminare il calcio!». Guardò Darcy, come in cerca d'aiuto, che però scrollò le spalle. Di sicuro, lei era l'ultima a poter aiutare.

«Eh? E tu chi sei?» domandò Mark, il cui sguardo continuava a fare avanti e indietro tra Arion e il tizio dai capelli viola.

«Ecco, io— io sono Arion Sherwind! Lei mi conosce! Cioè— tu mi conosci! Insomma, il te di tredici anni nel futuro—». Darcy dovette trattenere un sorriso. Che situazione assurda. «Ehm . . . ecco, è difficile da spiegare . . . Comunque io amo il calcio, ed è per questo che sono qui! Per salvarlo!». Si girò verso Fei, che annuì incoraggiante. «Devi credermi! Noi vogliamo aiutarti!».

Ci fu una pausa in cui Mark lo fissò e basta, e Darcy credette che stesse per scoppiare a ridere o prenderli per pazzi. Lei l'avrebbe e l'aveva fatto. Ma, ancora, lei era molto diversa da Mark Evans.

«Okay» disse lui.

Arion spalancò gli occhi: «Mi credi?!».

«Certo! Se dici di amare il calcio, non posso non crederti. Se qualcuno ama davvero qualcosa, non può mentire al riguardo». E rivolse loro un altro di quegli enormi sorrisi che a Darcy inquietavano tanto.

È stato facilepensò.

«Ehi, voi!» esclamò Mark, verso i Power Rangers. «Volete davvero eliminare il calcio?».

Per un attimo, Dars fu certa di aver visto il tizio dai capelli viola sbuffare. «Affermativo».

«Okay, se è una partita quella che volete, allora la avrete!».

Dars prese un profondo respiro dal naso e diede una pacca sulla spalla ad Arion: «Bene, io mi tiro fuori. Buona fortuna, fratellino!».

«Come?» chiese Arion. «Tu non giochi?».

Con un verso di scherno, la ragazza si sedette in panchina: «Perdita di memoria, ricordi? E comunque, non credo di esserne capace in ogni caso».

«Ma lo sei! Sei un difensore! E— E in questo momento ne avremmo veramente bisogno».

«Arion» lo interruppe Fei, scuotendo la testa. «Non c'è bisogno di obbligarla. È normale che si senta così. Ce la caveremo anche da soli».

A questo, Darcy aggrottò la fronte: «Come mai ne sei così certo? Insomma, questi tizi sembrano molto sicuri di sè. E forti».

«Li abbiamo già sconfitti una volta» la rassicurò Fei. «Non dovrebbe essere molto difficile farlo una seconda».

«Non ti facevo così arrogante» alzò le spalle lei. «Ma come preferisci».

«Come preferisci cosa?».

«Giocate da soli. Potreste anche cavarvela».

«Sei sempre così pessimista?».

«Solo realista».

«Io, invece, dico che sei invidiosa».

Darcy rise, mentre vedeva Mark e la ragazza con lui avvicinarsi: «Invidiosa? E perchè dovrei?».

«Perchè sotto sotto vorresti giocare. E ti senti inutile».

«Okay, Freud» disse, sarcastica. «Ti risponderei che hai ragione. Ma non posso farlo perchè, oh! Ci conosciamo da neanche mezza giornata, e non ricordo di aver chiesto la tua opinione».

«Eppure, non lo neghi».

«Ti assicuro che lo sto facendo. Sei tu a non capirlo. Perchè, ripeto, non mi conosci».

«Ragazzi—».

«O forse sei tu che non riesci ad ammettere a te stessa che vuoi giocare!» continuò imperterrito Fei. «So come funziona questa faccenda della memoria. Potrai non ricordare di aver giocato, ma ciò che hai imparato c'è ancora, devi solo metterti alla prova».

Ora, Dars stava iniziando a innervosirsi: «E perchè credi che voglia farlo? Perchè dovrei entrare in un campo e calciare un pallone che non significa nulla per me?». Non si spiegava cosa stesse succedendo, perchè più guardava Fei, più la sua mente si divideva in due: una parte che voleva dargli un pugno, di nuovo; l'altra che, invece, gli voleva tirare una pallonata, il che era strano visto che Dars non aveva mai toccato un pallone in vita sua. O forse si era scordata di averlo fatto.

Scosse la testa.

«Ragazzi . . . ».

«Perchè è l'unico modo per aiutarti a ricordare!».

«Chi ti dice che lo voglia fare?».

«Non puoi non volerlo! Noi—».

«Ragazzi!».

La voce di Arion li fece sobbalzare entrambi, e Dars notò solo in quel momento che Mark e l'altra ragazza erano rimasti fermi a guardarli, a disagio. Mark e Arion erano già in divisa.

Per qualche ragione, Darcy si ritrovò ad arrossire.

«Arion, io non gioco».

«Ma—» riprovò Fei, ma Darcy alzò una mano e lui chiuse la bocca.

«Non gioco, ma giuro che osservo. Secondo i miei ricordi anche Arion non dovrebbe saper giocare a calcio. Potete usare questa informazione per provarmi del contrario». Strinse i denti e sforzò un sorriso verso suo fratello: «Potrò non fidarmi della parola di questo qui—» indicò Fei. «—ma della tua sì. Quindi, vai e fammi vedere cosa sai fare. Convincimi a entrare in campo».

Arion parve preso alla sprovvista, però, alla fine, raddrizzò la schiena e annuì.

Darcy crollò sulla panchina e fece lui l'occhiolino, osservandolo correre verso il centrocampo.

Fei sospirò, ma si diresse comunque verso gli spogliatoi.

Si preannunciava una serata interessante.

• [𖧷] •

Darcy era sempre stata più testarda di suo fratello.

Probabilmente, se fosse stata lei quella in campo con i ricordi intatti, e suo fratello quello in panchina confuso come un canguro, lui non ci avrebbe pensato due volte a credere qualunque cosa gli avrebbero detto. Sarebbe entrato in campo e avrebbe sistemato tutto in meno di due secondi.

Darcy, invece, era orgogliosa e fottutamente testarda come un mulo.

Più guardava quella partita svolgersi davanti ai suoi occhi, ogni crossing, ogni dribbling, ogni punizione — come diavolo conosceva quelle parole? — più percepiva qualcosa muoversi nel suo petto, qualcosa che batteva a ritmo col suo cuore.

Darcy constatò con orrore che voleva entrare in campo. Voleva correre affianco ad Arion e calciare quella sfera bianca e nera; voleva dare le spalle alla porta e entrare in scivolata verso chiunque tentasse di avvicinarsi; voleva rilanciare la palla in avanti e osservarla insaccarsi in rete.

Voleva andare incontro a suo fratello e abbracciarlo perchè, diamine, aveva appena indossato una specie di armatura luminosa che pareva uscita da un fumetto di supereroi.

Seduta a bordocampo, la ragazza che era in compagnia di Mark ( che aveva scoperto chiamarsi Silvia ) accanto a lei, Darcy strinse la panca tra le mani fino a farsi male.

È vero, non voleva dare a Fei questa soddisfazione, non voleva ammettere che aveva ragione, ma . . . era anche molto più di quello.

Aveva paura.

Era come essere davanti a un bivio: una parte di lei che scalciava nel suo petto per spingerla in campo, l'altra che le diceva che era sbagliato. Che non si sarebbe dovuta trovare lì. Non poteva guardare quella partita. Non poteva toccare quella palla. Non poteva conoscere il calcio.

Per questo, la partita si concluse senza che lei avesse avuto la forza di fare niente.

Arion, Fei e Mark avevano vinto, e con loro era comparso un nuovo ragazzo, alto, con una zazzera di capelli blu scuro e un paio di occhi dorati, di cui Darcy non aveva memoria. Ma quanto pareva, suo fratello sì, invece, perchè si era subito rivolto a lui come Vladimir. Un'altra dimostrazione dei suoi ricordi non molto funzionanti.

Lei era ancora ancorata alla panchina quando Arion e Fei le si avvicinarono, cauti, insieme al loro nuovo— vecchio— oh, per l'amor del cielo — amico.

Fei si fermò davanti a lei e la fissò dritto negli occhi, così intensamente che Darcy abbassò il campo, imbarazzata.

Mark li aveva già salutati e con lui Silvia, teletrasportati da Wonderbot di nuovo a Tokyo. I Power Ranger erano spariti in un bagliore verde con la coda tra le gambe.

Un silenzio teso e denso riempì l'aria, e per un secondo le parve di soffocare.

Arion si schiarì la voce: «Dars, lui è Vladimir, il fratello di— Victor». Lo disse esitando, quasi avesse paura di ricevere una reazione negativa. Il che fu quella che ottenne. I Power Rangers dovevano aver sistemato il flusso temporale, o come si chiamava, ma Darcy non sentiva nessuna differenza.

Scosse la testa, affranta, al che Arion afflosciò le spalle, ma la ragazza rivolse comunque un sorriso tirato a Vladimir: «Piacere. Mi dispiace davvero non riconoscerti».

«Non importa» disse lui, gentile. «Io non sono il Vladimir che conoscete nel vostro mondo, quel Valdimir non può camminare. Ed è lui quello vero. Io sono solo . . . una variante temporanea».

Darcy lo ascoltò per poi sospirare: «Continuo a non capire questo genere di discorsi».

«Questo Vladimir viene da una linea temporale parallela» spiegò Fei, senza toglierle gli occhi di dosso. «Il suo mondo non è quello originale, ma solo una conseguenza della distorsione della nostra, di linea temporale».

Darcy annuì: «Continuo a non capire».

«Non sono sorpreso».

«E ora cosa dovremmo fare?» chiese Arion, la paura che si insinuava nella sua voce, lo sguardo che vagava da Darcy a Vladimir e da Vladimir a Darcy. «Pensavo che una volta ristabilito il flusso temporale, tutto tornasse alla normalità».

«E dev'essere così» lo rassciurò Fei. «Dobbiamo solo tornare nel nostro tempo. Lì vedremo se tutto questo è servito oppure no».

La cosa non sembrò tranquillizzare molto suo fratello, che prese e torturarsi le mani, nervoso.

«Arion, rilassati. Dobbiamo calmarci tutti».

«Io sono calmissima» protestò Darcy, scrocchiandosi le dita. «Non vedi come sono diplomatica? Ho persino salutato il paradosso temporale! Senza offesa» si girò verso Valdimir.

Lui scosse la testa con un sorrisetto: «Nessun problema».

«È Arion quello che si sta impanicando. Lo vedi? Diplomazia» indicò se stessa. «Panico» indicò Arion, che tentò di scoccarle, senza successo, un'occhiataccia. «Per quanto mi riguarda mi va benissimo tornare nel nostro tempo». Finalmente, trovò la forza di staccarsi dalla panchina e alzarsi in piedi. La testa le girava, ma sperò non si notasse troppo.

«A volte rimpiango che l'allenatrice Swift se ne sia andata» borbottò Arion, seguendoli. «Era l'unica in grado di tenere a bada il tuo sarcasmo».

«Cosa?» domandò Darcy, girandosi verso il fratello.

Lui impallidì, scuotendo la testa: «Niente!».

Fei sospirò, mentre chiedeva a Wonderbot di riportarli sulla Macchina del Tempo Inazuma.

Si radunarono, l'orso robot di peluche premette un pulsante.

E mentre scomparivano in una tenue luce blu, Darcy giurò di aver sentito le dita di Fei sfiorare le proprie.

—— angolo autrice!

spero che per ora la storia vi stia piacendo!! finalmente ho finito questa parte del primo atto, non ci speravo più ahah. d'ora in poi le cose si faranno molto più interessanti e non vedo l'ora che inizieremo a viaggiare nel tempo per cercare la squadra invincibile aaaa sarà bellissimo.

fatemi sapere cosa ne pensate e ci vediamo alla prossima <3

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