vi. temporaneo = siamo fregati

Non appena scese dalla Macchina del Tempo Inazuma, Darcy svenne.

Cadde a terra come una bambola di pezza, senza avere il tempo di pensare, sbattendo la testa sull'asfalto, e Arion e Fei si precipitarono al suo fianco.

«Dars!» esclamò Arion, impanicato, inginocchiandosi accanto alla sorella. «Cosa— Perchè— Fei?!». Alzò lo sguardo verso il ragazzo dai capelli verdi, che cercò di tranquillizzarlo mettendogli una mano sulla spalla.

«Arion, non preoccuparti. È solo un effetto collaterale di quello che abbiamo fatto. Darcy è svenuta perchè siamo tornati nel vostro tempo e il suo cervello ha bisogno di assestarsi ai cambiamenti che abbiamo apportato». Gli rivolse un sorriso rassicurante. «Vedrai che fra poco starà meglio e, in più, avrà recuperato la memoria».

«Fra poco? Fra poco, quando?» domandò Arion, come se non avesse sentito il resto delle parole di Fei.
Guardò sua sorella, ferma e pallida come un cadavere. Un orribile ricordo gli risalì in testa, ma lo scacciò via prima che potesse sfuggire al suo controllo. Inghiottì la bile che gli si era formata in gola: «Intendi fra qualche minuto? Qualche ora? Giorno? Cosa vuol dire?». Suonava quasi arrabbiato.

Vladimir e Wonderbot scesero dell'autobus, e il ragazzo più grande si precipitò a dare una mano ad Arion, aiutandolo a prendere in braccio la sorella.

Fei scosse la testa, il sorriso che cadeva: «È difficile dirlo. Darcy è venuta con noi nel passato. Per quanto ne sappiamo potrebbe, ecco, rimanere così anche per qualche settimana».

«Qualche settimana?!». Il respiro di Arion iniziò a farsi più pesante, lo sguardo che saltava dalla figura immobile di sua sorella a Fei, che, invece, ora stava tentando in tutti i modi di evitarlo, come si sentisse in colpa.

«Non ti devi preoccupare, Arion» si fece avanti Wonderbot. «Darcy ha solo bisogno di tanto riposo. Dobbiamo dare tempo alla sua mente di assestarsi. Nel momento in cui è scesa dell'autobus il suo subconscio ha subìto le conseguenze di ciò che abbiamo fatto nel passato, e adesso i suoi ricordi alterati e quelli reali stanno combattendo per la supremazia!».

La spiegazione non sembrò rassicurare Arion, ma alla fine annuì comunque, pallido quasi quanto sua sorella.

«Posso aiutarti a portarla a casa» propose Fei. «Wonderbot e Vladmir iniziano a incamminarsi verso la scuola, e poi ci incontriamo tutti al centro sportivo, che ne dite?».

«Sì, sì, okay, va bene» mormorò Arion, mentre Vlad gli posava gentilmente Darcy tra le braccia.

Fei si grattò una guancia, imbarazzato, e per la prima volta da quando si era unito a quei ragazzi sembrò non avere la minima idea di cosa fare. «Bene, okay. Uhm, allora ci vediamo dopo».

«A dopo!» li salutò Wonderbot, senza perdere tempo, spronando Vladimir a seguirlo.

A quel punto, Arion e Fei precipitarono in un silenzio che non piacque a nessuno dei due. Non dissero niente mentre si incamminarono verso casa Sherwind, Darcy in braccio al fratello, e il ragazzo dai capelli verdi con le mani infilate in tasca. Continuarono a non farlo anche quando arrivarono, salirono le scale e posarono Dars sul suo letto.

Rimasero in quella stanza per quelle che parvero ore, ma alla fine Arion aprì la bocca e disse, piano: «Grazie».

Fei distolse lo sguardo da una delle due misere foto appese al muro — dove una Darcy di cinque anni spingeva suo fratello lontano dall'obiettivo — credendo di aver sentito male.

«Cosa?».

«Grazie» ripetè Arion, senza guardarlo, una mano che accarezzava leggera i capelli viola della sorella. «È merito tuo se lei si riprenderà. Io— Scusa se prima ho reagito male. Non volevo sembrare arrabbiato, ma, ecco, tutta questa faccenda dei ricordi, del calcio, e dei viaggi del tempo mi ha preso molto alla sprovvista». Sforzò una risatina. «Hai detto che il motivo per cui la sua mente è così danneggiata è perchè è venuta con noi nel passato. È— È colpa mia. Sono stato io a insistere che partisse con noi». Fei lo guardò stringere la coperta del letto tra le dita, e gli si strinse il cuore. «Ho bisogno di lei più di quanto mi piaccia ammettere e— Non sopportavo l'idea di lasciarla da sola. Non posso farlo. Non più». Strizzò gli occhi. «È stato egoista, lo so, e adesso lei ne paga le conseguenze».

«Arion, no». Fei si sedette accanto a lui. «In un caso o nell'altro sarebbe andata così. Darcy si riprenderà. Avrà solo bisogno di più tempo. Non è colpa tua».

Arion non rispose.

Fei spostò gli occhi sulla ragazza. Non la conosceva da molto, come lei aveva continuato a ripetere, ma in qualche modo lo incuriosiva. Lei e Arion erano il completo opposto l'una dell'altro, eppure c'era qualcosa — il modo in cui Darcy lo cercava sempre, o come Arion aveva reagito appena lei era crollata — che pareva più profondo. E magari era scontato, forse era quello il modo in cui una famiglia si comportava, eppure Fei sentiva ci fosse qualcos'altro, qualcosa di più.

«Toglimi una curiosità» disse, alla fine. Arion non rispose, ma Fei sapeva stesse ascoltando. «Come . . . Come mai sta mattina, quando ho, ecco, toccato Darcy, lei ha reagito in quel modo?».

Arion si irrigidì, e Fei si pentì subito della domanda. «Non devi rispondere, se non vuoi!» chiarì. «So cosa vuol dire non riuscire a parlare del proprio passato e . . . non voglio costringere né te nè tanto meno Darcy a farlo».

«Non è quello» sospirò Arion, girandosi finalmente verso il ragazzo dai capelli verdi. «Io te lo direi, davvero, ma . . . Darcy non— è un argomento delicato per lei e non ama parlarne. Non ho intenzione— non voglio, insomma, tradirla». Arrossì: «Io mi fido di te, Fei, sul serio, m—ma . . .».

«Lo capisco» lo fermò l'altro, con un sorriso e alzando una mano. «Ripeto, non devi parlarne. Ero solo curioso: accanto a te sembra così rilassata e a suo agio. E ha reagito in quel modo quando sono stato io ad avvicinarmi. Non so cosa sia successo, ma rispetto lei, te e la vostra privacy. Ne parlerà quando sarà pronta. E se non lo sarà mai, beh, allora rispetterò anche quello».

Arion rispose al sorriso, anche se il suo non raggiungeva gli occhi.

«Grazie» disse. «Ancora».

Fei scosse la testa, tornando a guardare quelle foto appese al muro: «Non devi neanche dirlo».

• [𖧷] •

In quel momento, la mente di Darcy ricordava vagamente una canzone dei Metallica.

Era come avere una chitarra elettrica sparata a tutto volume da un lato, e una batteria che non la smetteva di suonare dall'altro. Darcy si trovava nel mezzo di quel fragore, indecisa da che parte andare.

Era consapevole di non essere cosciente e, per qualche ragione, quello rendeva tutto ancora più strano.

Sono svenuta, probabilmente in un tunnel spazio temporale o chissà dove. Arion starà bene? È una conseguenza di quella situazione assurda? È possibile pensare stando nella propria testa?

Insomma, sì. Tante domande senza risposta.

Una miriade di immagini sfocate danzava intorno a lei, immagini in continuo movimento, cambiamento. Un secondo prima raffiguravano una cosa, quello dopo erano completamente diverse.

Vide tante scene, scene di una vita che non ricordava, ma una vita familiare: lei seduta su un divano di una casa lussuosa, insieme a suo fratello e una decina di ragazzi che faticava a riconoscere; lei che correva sul campo al fiume, un campo da calcio, sorridente, palla al piede; lei che parlava con un ragazzino dei capelli color mirtillo, seduta sulle scale della Raimon Jr. High; lei che lo abbracciava e poi gli diceva di farsi valere.

Lucian — le disse una voce sul retro della testa. — Lui è Lucian Dark.

Ricordò il giorno della partita contro l'Alpine, un ragazzo . . .

Si sforzò.

Un ragazzo . . . Riccardo, che suonava con lei nella sala di musica della scuola. "Sei sicura che pianoforte e batteria stiano bene insieme? Conosco solo melodie classiche". "Tu fidati e basta, Beethoven. Vedrai che sarà un figata".

Si girò, trovandosi davanti un altro ragazzo, basso, e con dei lunghi capelli verdastri, che le sorrideva furbo.

"Aitor Cazador. Piacere di conoscerti. Ho sentito tanto parlare di te".

"Oh, ma davvero? Non mi dire. E che cosa si dice di me?".

"Che sei una giocatrice incredibile e che senza di te la difesa sarebbe persa! A differenza di quel Gabriel Garcia, di lui dicono che è abbastanza inutile".

"Nah, amico, devi aver invertito i nomi. Io sono qui solo da un mese! Gabi, da due anni. Ti consiglio di andarci a parlare. Il povero Gabriel ha bisogno di nuovi, uhm, amici, dopo che con Ricky gli è andata male. Sono certa che andreste d'accordo".

"Uh?".

"Tu fallo e basta".

Un altro ricordo prese forma davanti a lei, e ogni volta la nebbia che li circondava era sempre meno densa.

"Mi spieghi cosa ci facciamo qui?".

"Stiamo guardando una nuova coppia nascere dalle ceneri dell'odio! Da nemici a amici. Non è emozionante?".

Riccardo aveva alzato le sopracciglia, osservando Gabi e Aitor allenarsi in lontananza. "In che senso 'coppia'?".

"Nell'unico senso che tu e quella tua testa bacata non riuscite a capire. Ovvero nel modo in cui Gabi è stato a flirtare con te praticamente per mesi, ma tu eri troppo idiota per accorgertene. Io, da brava amica, gli ho consigliato di lasciar pardere".

"Tu sì che sai come parlare al cuore di un ragazzo".

"Vero?!".

La scena cambiò di nuovo, ora era al centro di un altro campo, sta volta nel bel mezzo di una partita, gli spalti gremiti di tifosi.

"Luke! Questa è tua! Fai vedere chi sei a quel portiere da quattro soldi!". Aveva calciato la palla nella sua direzione, e il suo migliore amico l'aveva guardata, una volta ricevuta, gli occhi due gemme d'ossidiana e il sorriso carico di adrenalina.

Aveva spiccato un salto di dieci metri e l'aria si era fatta pesante, mentre la luce scompariva dallo stadio e venivano sommersi dell'oscurità.

Darcy non si era mai sentita più fiera quando Lucian aveva urlato: "Stella Nera!".

Il suono della palla che si insaccava in rete era uno dei suoi preferiti.

Ancora incosciente, Dars percepì qualcosa di caldo fiorirle nel petto, aumentando d'intensità ad ogni ricordo che le scorreva davanti.

Il tempo passava e, con lui, le catene che legavano la sua memoria si allentavano sempre di più, finchè Dars ne venne investita come un fiume in piena e non potè fare a meno di abbandonarsi ad esso.

Riccardo, Arion e JP osservavano a bordo campo, mentre lei cercava in tutti i modi di rubare palla a Lucian. Da quando questo ragazzino è diventato così bravo? — si era chiesta Darcy, canticchiando tra sè e sè.

"Devi concentrarti! Non puoi sperare di creare una tecnica se canti tutto il tempo!" le urlò Riccardo.

Darcy alzò gli occhi al cielo: "Stammi a guardare mentre lo faccio, miscredente!". Si fermò di colpo e con lei anche Lucian, che le lanciò un'occhiata dubbiosa. Corse verso la panchina, prendendo il telefono.

"Ehm, Dars, che stai facendo?".

"Sshhh".

Cliccò l'icona giusta e una canzone iniziò a risuonare nella quiete della sera.

Riccardo la fissò come se avesse appena fatto una stupidaggine: "Sul serio?".

"Cosa c'è? Non hai mai sentito One Woman Army di Porcelain Black? E poi saresti tu l'esperto di musica!".

Tornò in campo, scrocchiandosi il collo mentre la melodia aumentava d'intensità.

"Quando vuoi, Luke".

Il ragazzo le venne incontro palla a piede.

I'm on the battlefield,
like, oh my God
Knockin' soldiers down
like House of Cards
I'm a one woman army
Yes, I'm a one woman army

"Così si fa!" esclamò Darcy, sorridendo come una bambina, nel momento in cui la canzone esplodeva.

Corse verso Lucian, in scivolata, ma lui riuscì a saltarla. La ragazza imprecò, ma non si perse d'animo.

Canticchiò le parole mentre si rimetteva davanti a lui.

"Forza!".

High heels, big deal,
I'll kick your ass
They gunnin', they runnin'
and that makes me mad!

Senza rendersene conto, aveva iniziato a battere il piede a ritmo, e più la canzone andava avanti, più il terreno sembrava tremare ad ogni vibrazione.

Let's march tonight
The music is still playin'
So get up and fight

"Dars!".

"Ci sono!".

I'm on the battlefield,
like, oh my God
Knockin' soldiers down
like House of Cards
I'm a one woman army
Yes, I'm a one woman army

Si piegò nel momento stesso in cui Lucian la sorpassava, e chiuse gli occhi.

One, two, three, hut
March if you don't give a fuck
One, two, three, hut
One, two, three, hut
March if you don't give a fuck
One, two, three, hut

Li riaprì e il pavimento iniziò a tremare.
Bum, bum, bum. Era come essere sul piatto di una batteria.

Darcy saltò all'indietro, riatterrò davanti a Lucian.

Gli scoccò un'occhiolino: "Niente di personale".

Battè un piede a terra e un'onda d'urto mandò il ragazzo a gambe all'aria, il pallone che ricadeva inerme davanti a lei.

La canzone finì nel momento in cui i suoi amici esultarono, JP che correva in campo per farle i complimenti, Arion con lui, e Riccardo con Lucian, entrambi sorridenti.

"È stato fighissimo!" esclamò JP. "Era come un terremoto, ma-".

"Con un ritmo". Riccardo scosse la testa, incredulo. "Solo tu, Darcy, solo tu". Lei gli fece la linguaccia.

"Come la vuoi chiamare?" le chiese suo fratello.

Dars ci pensò un attimo. Poi ghignò: "Blastbeat".

Lucian aggrottò le sopracciglia: "Cosa significa?".

"È un termine tecnico usato dai batteristi per indicare un passaggio specifico nelle canzoni metal" spiegò Darcy, entusiasta. "È intraducibile. Che ne dite? Sono un genio, eh?".

Una luce accecante illuminò la sua mente come l'alba, come un nuovo inizio. Lei aveva dimenticato. Come aveva potuto dimenticare?

Così, quando Darcy spalancò gli occhi, stesa sul suo letto, era sicura di due cose: uno, il suo stomaco brontolava in maniera simile al ruggito di un drago — dio, ho una fame da lupi. Quanto diamine di tempo ho dormito? — e due, aveva diverse scuse da fare.

• [𖧷] •

Si prese qualche minuto per svaligiare il frigorifero prima di correre verso la Raimon Jr. High.

Sono un'idiota, sono un'idiota, sono un'idiota.

Aveva trattato suo fratello come un pazzo, e sapeva che, stupido com'era, aveva passato tutto quel tempo a darsi la colpa per ogni minima azione ( oltre, ovviamente, a preoccuparsi ).

Era rimasta in "coma", se così si poteva chiamare, per una settimana e tre giorni. Aveva dato un'occhiata al calendario appeso in cucina, per poi afferrare come una furia il telefono e dirigersi al centro sportivo.

Chissà quante cose si era persa. C'era Valdimir con loro, al ritorno dal passato, giusto? Un Valdimir in piedi sulle sue gambe. Arion le aveva chiesto di Victor, e lei aveva scosso la testa.

Idiota, idiota, idiota.

Erano riusciti a sistemare le cose? Se lei ricordava, allora era così anche per gli altri? Lucian, Aitor, Riccardo, Gabi?

Qualunque sarebbe stata la risposta, lei era pronta ad aiutare.

Sorpassò diversi gruppi di studenti lasciati a girare per il cortile dopo la fine delle lezioni.

Si precipitò come un furia attraverso il portone del centro sportivo, l'aria condizionata che la colpiva in faccia e le intimava di riprendere fiato.

«Dars!».

Oh, chi se ne frega del fiato.

Alzò lo sguardo, vide suo fratello che la fissava a bocca aperta, e riprese a correre.

Prima che Arion potesse dire qualcosa, Darcy si gettò su Lucian, alle sue spalle, e lo strinse fino a fargli male, quasi fosse una nuvola di fumo e avesse il terrore di vederlo scomparire con un soffio di vento.

Ti prego, dimmi che ti ricordi di me, ti prego, ti prego, ti prego.

Lo sentì sobbalzare, mentre ricambiava l'abbraccio in maniera più delicata: «Mi ricordo di te, Dars. Promesso».

Darcy si staccò con un sorriso che andava da un orecchio all'altro: «L'ho detto ad alta voce?».

Il ragazzino ridacchiò: «Giusto un pochino» e indicò attorno a loro, dove il resto della squadra la stava guardando, chi scuotendo la testa ( Riccardo e Aitor ), chi salutandola ( Adè e JP ), chi ignorandola ( Victor ).

Scrollò le spalle: «Beh, mi sei mancato molto, mirtillo».

«E io?» venne la voce di Arion, e Darcy lo vide gonfiare una guancia.

«Tu sei troppo palese» mosse una mano lei, come scacciando la cosa. «Sei il mio fratellino, è ovvio che mi sei mancato!».

A quello, Arion gonfiò il petto e raddrizzò la schiena, come volesse ricordare agli altri la sua importanza.

Darcy gli diede un pugno sulla spalla: «Cretino».

«È bello rivederti» parlò Aitor, le mani sui fianchi e quel suo ghigno da quattro soldi stampato in faccia. «Arion e quel suo nuovo amico sono stati più tesi di una delle corde da violino di Riccardo, per tutta la settimana».

E come se avesse udito quelle parole, dalle porte che davano sul campo, uscì Fei.
Non indossava la giacca arancione che lei ricordava, ma solo una t-shirt bianca e nera e un semplice paio di jeans e sneakers blu. Darcy ne rimase appena stupita. Vestito così, senza quelle robe futuristiche con cui si era presentato, sembrava un normale ragazzo del ventunesimo secolo.

Lui incrociò il suo sguardo e Darcy lo vide prima sobbalzare, poi sorridere e infine lasciare andare un sospiro di sollievo, come se gli avessero appena tolto un macigno dalle spalle e potesse tornare a respirare.

«Darcy!» esclamò, avvicinandosi, seguito da Wonderbot. «Sei qui! Sono contento di rivederti! Come ti senti?».

La ragazza battè le palpebre, come a risvegliarsi da una specie di trance. «Oh, uh, nulla. Cioè, bene. Alla grande. Ho fatto un lungo pisolino e ora sono pronta per viaggiare dove vuoi tu. O dove vuole Arion. Insomma, per fare tante cose». Riprese fiato. «Questo . . . Questo mi ricorda che la mia memoria è tornata a posto, e, ecco, ti— devo delle scuse, Fei Rune».

Si inchinò, le guance tinte di rosa. «Non capivo cosa stesse succedendo e ti ho attaccato senza motivo, quando avrei dovuto ascoltare te e mio fratello. Sono stata infantile e, beh, in tutta franchezza, un po' una stronza. Ti chiedo . . . scusa».

Okay, sì, era un po' imbarazzante ammetterlo, specialmente perchè circondata dal resto dai suoi amici, che la ben conoscevano e ben sapevano che mai si scusava, in modo particolare con qualcuno come Fei, che aveva incontrato appena pochi giorni prima.

Anche se, Darcy era piuttosto sicura di averlo inquadrato. Era lo stereotipo del ragazzo della porta accanto. Quello che aiuta una vecchietta ad attraversare la strada; il primo della classe; colui che ti restituisce i venti centesimi che hai perso il giorno prima, invece di intascarseli come ogni persona sana di mente.

Si era impegnata in quelle scuse perchè era convinta fossero ciò che il ragazzo volesse.

Poi, Fei rise, e Darcy cambiò idea.

Tornò a guardarlo negli occhi, troppo stupita per commentare.

Non era un risata rumorosa, cattiva o di tutto gusto. Era piccola, così leggerà che per un attimo pensò di essersela immaginata, ma impregnata di quello che Darcy immaginò fosse . . . scherno? Scosse la testa, come a voler oliare gli ingranaggi del suo cervello. Poteva essere malizia? Strafottenza? In ogni caso, era qualcosa che non si aspettava.

«Non devi chiedermi scusa, Ragazza dal Passato». Lui inclinò la testa e Darcy ebbe l'istinto di prenderlo a pugni per la terza volta in una manciata di giorni. «La tua reazione sarebbe stata quella in ogni caso. È il tuo carattere, no?».

«Il mio carattere mi sta dicendo di romperti di nuovo il naso» disse Darcy. «Credo che sia una reazione alla tua voce». Come mai si era scusata? Non ricordava più il motivo.

Fei schioccò le dita: «Eccoti qua! Per un attimo ho temuto che il viaggio nel tempo avesse provocato dei danni più gravi del previsto».

«Tu, piccolo—».

«In ogni caso, il mio lavoro qui non è ancora finito». Incrociò le braccia, tornando improvvisamente serio. Darcy notò una familiare scintilla di determinazione passare negli occhi di Arion, al suo fianco. «In questa settimana che tu hai passato a dormire, io ed Arion abbiamo sistemato il paradosso che si era creato tra Vladimir e Victor». Il suddetto ragazzo non battè ciglio, appoggiato ad uno dei pilastri dell'enorme stanzone d'ingresso. «Tuttavia, la Protocollo Omega ha trovato il modo di contrattaccare».

«Aspetta, la Protocollo Omega è la squadra dei Power Rangers che tu e Arion avete affrontato nel passato?». Fei annuì. «E allora non capisco! Sconfiggerli non doveva risolvere tutto? L'ha fatto, no? La linea temporale o come si chiama è sistemata e la nostra memoria è tornata quella di sempre».

«Abbiamo paura sia temporaneo» spiegò Wonderbot. «L'El Dorado ha rimpiazzato alcuni loro agenti e sono riusciti a creare una legge che vieta il calcio».

«Una legge che vieta il calcio?!». Doveva aver sentito male.

Eppure, Fei annuì ancora: «Hanno modificato gli eventi di una partita di qualche tempo fa, e ora l'intera nazione ha proibito la pratica dello sport».

«È una scemenza» borbottò Arion, stringendo i pugni.

«Intendi quell'amichevole tra America e Giappone di un mese fa?». Era difficile non ricordarsela: i giocatori giapponesi avevano sfoggiato un gioco molto duro, infortunando diversi giocatori americani. Non era stato esattamente un vanto per lei. «Insomma, sì, è stata piuttosto brutale e di sicuro non ha fatto un granché di pubblicità al nostro paese, ma abolire il calcio mi sembra un po' . . . ».

«Cosa?!» domandò Arion. «Anche tu ricordi una partita violenta?».

Darcy aggrottò la fronte: «L'abbiamo guardata letteralmente insieme. Tu per poco non mi svenivi addosso. Perchè dovrei—». La realtà la colpì come una delle pallonate di Victor. «Oh, no. Ti prego, non dirmi che i miei ricordi sono di nuovo sbagliati o potrei urlare».

Arion la guardò con aria sconfitta.

«Okay, ora urlo».

«Dobbiamo tornare al giorno della partita e sostituirci alla squadra americana. Solo così saremo in grado di riportare la linea temporale alla normalità» spiegò Fei, ignorando il commento di Darcy. «Abbiamo già il cimelio giusto» e indicò un biglietto che Sam, il loro ex portiere, teneva in mano. «Non ci resta che partire».

«Oh, meraviglioso. Mi sveglio da un viaggio nel tempo e devo subito imbarcarmi per un altro» borbottò la ragazza. Poi sospirò, battendo le mani: «Va bene, ma i posti in fondo all'autobus sono miei, e Lucian si siede con me!».

«Autobus?» chiese Luke, confuso.

«Lo so, ho avuto la stessa reazione».

«Allora diamoci da fare» annunciò l'allenatore Evans, e Darcy si rese conto solo in quel momento della sua presenza. Arrossì come un peperone senza volerlo. Era andata nel passato, aveva incontrato Mark Evans da giovane e cosa aveva fatto? Gli aveva dato dello schizofrenico. O quasi. Dio, era proprio un disastro.

La squadra si disperse, andando a recuperare le cose necessarie per il viaggio.

Una volta sola, Darcy perse il suo sorriso. Si afflosciò su se stessa, portandosi le mani ai capelli e prendendo un respiro profondo.

Aveva appena ritrovato i suoi ricordi e ora rischiava di perderli di nuovo. La sua fortuna non era mia stata delle migliori, ma sembrava che in quel periodo stesse dando gli straordinari per rendere la sua vita un inferno.

Che problema avevano quelle persone con il calcio? Era uno sport come tanti altri. Che cosa era successo nel futuro di così grave da spingerli ad eliminarlo?

«Dovresti prepararti».

Dars grugnì, rimanendo nella sua posizione: «Sono già pronta e attiva per la missione, sua maestà, re dei viaggiatori nel tempo! Non vedi come sprizzo energia da tutti i pori?».

«Abbiamo un concetto di energia molto diverso».

«Non mi sorprende».

Il ragazzo sospirò: «Senti, non c'era bisogno di scusarsi, okay? Quello che è successo tredici anni fa, non è qualcosa per cui darsi una colpa».

Questa volta, fu Darcy a scoppiare a ridere.

Fei alzò un sorpacciglio: «Ho detto qualcosa di veramente divertente o ti vendichi per prima?».

«Un po' tutti e due» ammise lei, tornandolo a guardare. «Hai detto "quello che è successo tredici anni fa" come se fossimo adulti e sposati. Devi ammettere che è un po' ridicolo».

«Cosa? La faccenda dei viaggi nel tempo o noi insieme?».

Darcy trattenne un sorriso: «Perchè non me lo dici tu, Ragazzo dal Futuro?».

«Oh, io la risposta la so» scrollò le spalle lui. «Per questo dipende da te».

Più parlavano e più Fei trovava nuovi modi di sorprederla. Dars non capiva se fosse una buona cosa o meno. Ma forse il divertimento — o il problema — sarebbe stato lì.

«Sai già come la penso» disse. «E continuo a consigliarti di lasciar perdere».

Fei le rivolse quel sorriso che la infuriava tanto: «Cosa ti fa pensare che stessi parlando di quello?».

Ho capito a che gioco stai giocando. — cantinellò Darcy nella sua testa. — Ma non funzionerà.

«Si chiama psicologia inversa. Ho la sensazione che tu la stia usando proprio adesso».

«Allora il tuo sesto senso non funziona bene come credi, Ragazza dal Passato».

«Okay, perchè invece di rubare i soprannomi degli altri non te ne crei uno tu? Un minimo di originalità, suvvia!».

«Avevi detto che apprezzavi "Sua Maestà"».

«Banale».

«Mia Signora?».

«Chi sei, il capo della cavalleria del Trono di Spade?».

«Gazzella?».

«Ora, si può sapere per quale diamine di motivo?».

«Quando ti ho vista la prima volta, stavi saltando da tutte le parti come una gazzella!».

«Stavo ballando!».

«Spina nel fianco?».

«Tu di sicuro».

«Principessa?».

«Smettila».

«Principessa sia» sorrise lui.

«Vaffanculo».

Le porse una mano: «Me l'aspettavo».

Darcy sbuffò, accettando il suo aiuto a malincuore e tirandosi in piedi.

«Vado a preparami» annunciò.

«Visto? Non era così difficile».

«Dì ancora una parola e avrai un paio di costole a fare compagnia al tuo naso rotto».

Saggiamente, il ragazzo non replicò.

—— angolo autrice!

questo è il mio capitolo preferito finora. è scritto da schifo ma lo adoro comunque.

non vedo l'ora di andare più nei dettagli con la relazione tra darcy e fei. li sto imparando ad amare tantissimo😭

anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ricordate di vota e commentare <3

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